Stamattina sono andato a prendere Michela alla stazione di Viserba. Rientrava da una breve vacanza di qualche giorno, ospite di una sua compagna di università che abita in un piccolo paesino del Veneto di cui mi sfugge il nome. La piccola stazione di Viserba si trova sulla linea secondaria (molto secondaria) che congiunge Rimini a Ravenna e Venezia ed è praticamente un piccolo monolocale, dove non c'è biglietteria ma solo una piccolissima sala d'attesa. Sembra quasi uno scherzo. Prospiciente ad essa c'è un piccolo bar con edicola.
Mi ha fatto una certa malinconica impressione rimettervi piede. L'ultima volta che lo feci ero bambino ed era il periodo in cui a Viserbella i miei genitori gestivano, in estate, una piccola pensione a conduzione familiare, e io andavo lì con la mia bicicletta a guardare passare i treni. Grosso modo credo siano passati da allora almeno tre decenni. Alcune cose sono cambiate, in tutti questi anni. Ad esempio, è rimasto un solo binario. Una volta ce n'erano due, uno di questi aveva una lunghezza limitata alla banchina della stazione e serviva come disimpegno, l'altro era la linea principale, sistema che consentiva il transito senza problemi di due treni che procedessero in direzioni opposte (la linea è una delle tante secondarie, in Italia, che sono ancora a binario unico). Il primo binario è stato eliminato, coperto da uno spesso strato di cemento e piastrelle, è rimasto solo il secondo, la linea principale. L'orologio meccanico affisso al muro della stazione, di cui si sentivano i ticchettii del meccanismo, non c'è più, al suo posto c'è un moderno orologio elettronico inglobato in un tabellone luminoso su cui, in tempo reale, vengono elencati gli orari dei pochi treni che ancora passano di lì. Nemmeno il capostazione di quella volta, col suo fischietto e la sua paletta, c'è più. Al suo posto... al suo posto non c'è nessuno, il treno si ferma e riparte da sé, senza che nessuno fischi o gli agiti la paletta davanti.
Quello che non è cambiato in questa piccola stazione, è l'aria di abbandono e solitudine che la caratterizza oggi come la caratterizzava trent'anni fa. Anche le erbacce che crescono lungo i binari e negli interstizi delle piastrelle della banchina sono le stesse di allora, e pure la panchina di ferro mezza arrugginita attaccata al muro, sotto al tabellone luminoso.
Anche quella mi pare sia sempre la stessa.
sabato 24 settembre 2016
Viserba
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