Ho terminato di leggere poco fa il libro postumo di Umberto Eco, che mi aveva regalato qualche giorno fa Michela in occasione della festa del papà. Il libro racchiude nelle sue 460 pagine 20 anni di articoli scritti dal semiologo/filosofo/tuttologo per Repubblica e Espresso. Io sono di parte, ovviamente, quando si parla di Eco, perché il personaggio è da tempo uno dei miei idoli letterari, almeno a partire da Il nome della rosa in qua, e quindi apparirà sicuramente più dettato da questa ragione che dal fatto che mi è piaciuto davvero il mio modesto invito a leggerlo, ma ovviamente non è così.
Io mi sono principalmente divertito, oltre che a volte commosso e altre volte irritato, perché l'analisi della società, dei suoi mutamenti (messi sotto la lente dal punto di vista politico, della comunicazione, di internet, della linguistica, della storia, della cultura ecc.), delle sue assurdità e contraddizioni Eco la fa appunto utilizzando spesso l'arma dell'ironia, quel'ironia che ha buon gioco a utilizzare chi è possessore di un bagaglio culturale e di intelligenza praticamente sterminati.
Alcuni suoi articoli li ho riletti più volte, tanto mi sono piaciuti, e in più di un'occasione mi sono ritrovato di punto in bianco a profondermi in improvvise e gustose risate che hanno attirato l'attenzione e la curiosità di chi si trovasse in qualche stanza attigua, e che a volte faceva capolino dalla porta per assicurarsi che stessi bene.
Ovviamente stavo bene, come sto sempre bene quando ho in mano un libro. Se poi è un libro di Eco...
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