Se c'è qualcosa che contraddistingue il mondo di internet, e dell'informatica in generale, è la sua intrinseca mutevolezza. I formati, l'hardware, gli standard: tutto cambia. A volte nel breve volgere di una stagione. Quello che oggi è al top domani può essere obsoleto. Eppure c'è uno standard che da quasi 10 anni (che nel campo dell'IT può essere paragonato all'equivalente di un'era geologica di preistorica memoria) è rimasto pressoché immutato: l'mp3.
Questo formato, che ancora oggi viene visto dalla maggior parte dei dirigenti delle major discografiche come la personificazione sotto forma di bit del diavolo, è sopravvissuto (e bene) ai vari "attacchi" perpetrati, spesso a colpi di carte bollate, tribunali, cause, ecc., dalle varie federazioni delle industrie della musica e in generale dell'entertainment. E, pur essendo ancora sostanzialmente visto da queste come qualcosa da debellare e da eliminare dalla faccia della terra, ci sono alcuni segnali che indicano una sorta di "ripensamento", una specie di "riabilitazione storica" di questo formato.
E infatti di storia sto parlando: dal vituperato (dalle major) e osannato (dagli utenti) Napster in poi, non c'è stata mai vera partita: l'mp3 è diventato la codifica standard della diffusione della musica online, e, come dicevo, lo è tuttora. Ora, i primi timidi e incerti passi della riabilitazione (legale) di cui parlavo prima, hanno varie sfaccettature e varie forme. Di alcune di queste ho già parlato in altri articoli, ad esempio quando EMI ha deciso di mandare a quel paese il DRM e chi l'ha inventato eliminandolo dai nuovi supporti ottici in produzione, anche se pare (ripeto, "pare") che in questi ultimi giorni abbia avuto una specie di ripensamento.
Tuttavia le iniziative che vedono al centro l'utilizzo legale e legittimo di questo formato non mancano, seppure alcune di queste siano ancora in fase embrionale. C'è ad esempio eMusic, il portale specializzato nella vendita di brani di etichette indipendenti totalmente DRMfree e in esclusivo formato mp3; una cosa bellissima: la rivincita della musica indie che può essere ascoltata sia sull'iPod, che su Zune, che su qualsiasi altro player multimediale che supporti gli mp3 (cioè tutti). C'è MySpace, che pur essendo ancora in versione beta fa sostanzialmente le stesse cose di eMusic. Per non parlare di Amazon, il portale storico, re indiscusso a livello mondiale dell'e-commerce, che dovrebbe attivare in primavera un servizio di vendita online di brani DRMfree (indovinate in che formato?).
Insomma, l'mp3 non è stato ucciso, sta anzi vivendo una "seconda giovinezza" che si sta instradando (seppure lentamente e a fatica) sui binari della legalità e del libero utilizzo. Perché succede questo?
Analizzare nei dettagli il fenomeno richiederebbe la stesura di un libro (la cosa mi appassiona, se ho tempo può darsi che mi ci metta dietro), ma sostanzialmente, e per certi versi paradossalmente, il merito dell'affermazione di questo formato va per la maggior parte a chi ha fatto finora di tutto per combatterlo: e cioè l'industria discografica. Un'industria che per cercare di proteggere e salvaguardare i mostruosi interessi che ruotano attorno al fenomeno della musica (online ma non solo), non ha esitato a studiare e mettere in atto le più sofisticate (e al tempo stesso stupide) forme di "lucchettazione digitale" (passatemi l'espressione), che si possono riassumere in una parola che ormai più o meno tutti conosciamo o abbiamo sentito nominare: DRM.
Il drm rappresenta il più abietto (e inutile) tentativo di piegare l'utente (che stupido non è) al volere dell'industria discografica: uno dei più grossi "granchi" e al tempo stesso una delle più grosse contraddizioni in cui sono potuti cadere i difensori degli interessi delle industrie discografiche (mi ricorda un pò, facendo i dovuti distinguo naturalmente, la famosa "guerra preventiva" di Bush, un concetto che è per sua natura contraddittorio).
Il ragionamento che hanno fatto i discografici, e cioè quello di sbattere fuori dalla porta l'mp3, si è rivelato un pericoloso boomerang. Hanno chiuso Napster, Kazaa, Audiogalaxy, ma non è servito a niente semplicemente perché nessuno (di lorsignori, naturalmente) ha capito che internet e i suoi contenuti non si possono ingabbiare. Cosa credete, che se Apple non avesse reso il suo iPod compatibile al formato mp3, avrebbe avuto il successo che sappiamo? Mi scappa da ridere. Provate a fermare un ragazzino per strada con l'auricolare collegato all'iPod e chiedetegli quante delle tracce che sta ascoltando le ha acquistate regolarmente su iTunes e quante ne ha scaricate da eMule.
Quello che ancora oggi lascia sbalordito è come hanno potuto pensare i geni del marketing discografico di poter vedere premiata in qualche modo la loro aberrante teoria di poter vendere musica "controllata", limitata e priva di un formato univoco. Giusto così, per fare un paragone, pensate se ogni produttore di autoradio adottasse una misura personale della larghezza della plancia in cui va inserita all'interno dell'auto: sarebbe il caos. Coi formati personalizzati della musica sta succedendo questo. E i dati parlano chiaro: non esiste canzone, album, cd, che per quanto blindato non finisca, magari attraverso altri canali, nei circuiti p2p nell'universale e liberissimo formato mp3, perdendo senza soluzioni intermedie il suo fardello di "mancata interoperabilità". Ecco allora che il DRM rimane come una palla al piede in mano all'utente che ha regolarmente acquistato il suo file ad esempio in formato AAC, ascoltabile solo sul già citato iPod di Apple, andando così a confermare quello che solo gli abitanti della stella Vega di "goldrekiana" memoria non hanno capito: le protezioni non servono a niente.
Il guadagno che farebbero le industrie discografiche cambiando politica sarebbe duplice: in primo luogo un ritorno a una qualche forma di credibilità e, perché no, di simpatia da parte dei normali utenti. Penso infatti di non dire una castroneria affermando che un normale utente appassionato di musica, dovendo scegliere se buttare nel pozzo un dirigente dell'industria discografica o bin Laden butterebbe il primo. In secondo luogo avrebbero un vantaggio anche economico (che in fondo, essendo aziende a tutti gli effetti, è quello a cui sono più interessate). L'esempio è prioprio quell'eMusic di cui parlavo prima, al secondo posto per volumi di vendite dietro solo al già arcinoto iTunes di Apple.
Io sono convinto che l'utente che avesse la possibilità di pagare un prezzo (equo, si intende) per acquistare un file mp3 liberamente utilizzabile a proprio piacimento (da poter masterizzare e ascoltare dappertutto senza limitazioni) lo farebbe. Io stesso, spesso, acquisto cd musicali degli artisti che mi interessano che trovo in quei famosi cesti a prezzi scontati che si possono incontrare nei mega-store e nei centri commerciali. E il successo del portale eMusic parla da solo.
Insomma, le avvisaglie e le premesse di quello che potrebbe essere l'anno (il 2007) della consacrazione definitiva dell'mp3 ci sono tutte. L'anno in cui questo formato, con la definitiva (anche se tardiva) "benedizione" delle major, sarà finalmente lo standard di fatto. Lo standard che fa sì che la musica regolarmente acquistata sia effettivamente dell'utente, senza "ma" e senza "se".
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