sabato 18 aprile 2020

Trent'anni (di lavoro)

Nel mese di aprile del 1990 - il giorno preciso non lo ricordo, dovrei andare a controllare - venivo assunto dall'azienda in cui lavoro tuttora. Iniziai, insieme ad altri, come stagionale. A fine settembre o inizio ottobre, non ricordo bene, mi venne chiesto se fossi interessato a rimanere. Lo chiese l'azienda a me, non io ad essa, cosa che sembra surreale, oggi. Al momento non avevo grosse prospettive, né, a dire la verità, avevo voglia di cercare altro. E comunque quel lavoro non mi dispiaceva, anche se prevedeva il notturno. Accettai e firmai un contratto a tempo indeterminato. Un contratto fisso, insomma, che mi ha permesso di arrivare a oggi e, forse (la forma dubitativa è sempre da mettere in conto sotto questi chiari di Luna), mi permetterà di arrivare alla pensione senza arrabattarmi in altri modi - la strada è ancora lunga ma il grosso è fatto.

Sono passati trent'anni, dicevo, come la famosa guerra omonima. Ma se di guerra vogliamo parlare, anche se il termine è inadatto, quella iniziò due anni dopo. Nel 1992, infatti, vide la luce la legge chiamata Pacchetto Treu, con la quale nacquero le prime forme di lavoro "flessibile" (ricordate i famigerati contratti co.co.co, co.co.pro. ecc.?). Era l'epoca in cui cominciava a prendere piede l'idea, rivelatasi poi clamorosamente illusoria, che la miglior risposta alla veloce trasformazione delle dinamiche del lavoro fosse la flessibilità. Flessibilità è un termine edulcorato e altisonante col quale si è sempre mascherato quello di precarietà. Insomma, un lavoro flessibile è un lavoro precario, giusto per non girarci troppo attorno.

Naturalmente il Pacchetto Treu fu solo il primo di una serie di riforme del lavoro che, nel corso degli anni, si sarebbero mosse sullo stesso binario: rafforzamento della flessibilità (precarietà), indebolimento delle garanzie e dei diritti di chi lavora. Nei primi anni duemila, incanalato nello stesso solco, vide infatti la luce la Legge Biagi, nel 2014 il famigerato JobsAct di Renzi (l'inglese ammanta di autorevolezza e bontà anche le porcate più invereconde, non trovate?), per finire col Decreto Poletti del 2016. Quando iniziai a lavorare io la norma erano i contratti stagionali o indeterminati, non ne esistevano di altri tipi, almeno che io ricordi; oggi non esiste più nulla di tutto questo, la norma è rappresentata dalla precarietà spacciata per flessibilità, strumenti coi quali un giovane dovrebbe avere l'arditezza di pianificarsi un futuro. Ai miei tempi si poteva fare. Forte dei miei vent'anni e del mio contratto a tempo indeterminato, potei organizzarmi e mettere su famiglia; oggi un giovane con un contratto a chiamata rinnovato di settimana in settimana può pianificare qualcosa?

Intendiamoci, non è che negli anni Novanta la disoccupazione non esistesse; esisteva, certo, anche se in misura minore, ma trovare un lavoro, all'epoca, non prevedeva la ricerca dell'Araba Fenice, che tutti sanno che c'è e nessuno sa dov'è, era molto più semplice, e soprattutto, quando si veniva assunti, si veniva assunti con le garanzie e le certezze che su quel lavoro si poteva fare affidamento e, di conseguenza, cominciare a progettare qualcosa. Oggi, con un contratto a chiamata, un giovane è già molto se riesce a pianificare una pizza un sabato sera.

18 commenti:

Claudia Turchiarulo ha detto...

Sei fortunato a lavorare da trent'anni nello stesso posto, per quanto possa essere "noioso".
Resto fermamente convinta, però, che il precariato attuale sia ascrivibile all'eccessiva tassazione che un datore di lavoro deve sobbarcarsi per assumere i suoi dipendenti.
Immagina una commessa che guadagna mille euro. Per farle un contratto full-time, il suo capo deve versarne ALMENO altrettanti allo stato (volutamente in minuscolo).
Attenzione che non sto parlando di grandi imprenditori, ma di semplici commercianti (giusto per rendere l'idea).
A tutto ciò va aggiunto il costo dell'affitto, e le altre duemila imposte che la legge italiana prevede.
Insomma, il lavoro nero sarà pure la piaga dell'Italia ma, allo stato dei fatti, troppe volte non c'è altra scelta. Purtroppo.

Andrea Sacchini ha detto...

Perfettamente d'accordo. Io ho menzionato l'aspetto politico della diffusione del precariato, i provvedimenti che lo hanno istituzionalizzato, diciamo così, ma le cause sono tantissime, e il livello di imposte che gravano sui datori di lavoro è uno di quelli.

Sari ha detto...

Da anni tentano di convincerci che il lavoro flessibile è una cosa bella e giusta facendoci intendere che chi non si adegua capisce poco del favoloso mondo di opportunità che in tal modo si apre.
Invece...
Il mio primo impiego (moltissimi anni fa) fu presso un notaio. Tutto il giorno e per tutti i giorni ero china su una macchina da scrivere a ricopiare, in duplice copia, atti su atti.Una noia tremenda.
Mi licenziai d'impulso perchè non ne potevo più di quel trantran e dopo tre giorni già avevo un nuovo lavoro e dopo tre mesi un altro dove trovai pace. A raccontarla ai giovani d'oggi, pare una storia arrivata da Shangri-La e invece era la normalità.
Oggi il lavoro non è uno scambio ma una sopraffazione a cui ci si è abituati. Questo è un vero guaio.

Andrea Sacchini ha detto...

La flessibilità del lavoro non è una invenzione italiana, ma un meccanismo che si è diffuso a livello globale. La differenza tra noi e ciò che succede fuori è che, in molti altri paesi, la flessibilità/precarietà è stata accompagnata da meccanismi di tutela, dei "paracadute", se così vogliamo chiamarli, perché si era messo in conto preventivamente che la soluzione della flessibilità avrebbe anche potuto avere problemi. Da noi, come al solito, questo non è successo, tutto si è svolto all'insegna dello speriamo in Dio, e la flessibilità ha prodotto i guasti che sono oggi sotto gli occhi di tutti.
Oggi il lavoro è sopraffazione, è vero, e ciò dipende dal fatto che chi lavora è inquadrato esclusivamente come produttore/consumatore, la componente umana nella nostra era non esiste più.

Francesco ha detto...

eppure il problema è ben più ampio della semplice cornice dei diritti e dei doveri. il posto di lavoro non può più essere - e lo dico da dipendente - una variabile indipendente dal contesto economico. la mia azienda ha subito tagli dolorosi e io l'ho svangata tutte le volte. se questi tagli non venivano fatti andavamo a casa tutti, nessuno escluso. e non c'era nessun padrone cattivo, c'era semplicemente un'economia che non tirava. poi certo ci sono precarietà e sfruttamento, ma io che ho iniziato come te negli anni 90 ricordo che se ne parlava già allora

Sari ha detto...

Scusa se insisto... ma penso la flessibilità come un inganno perchè non lo sono l'affitto, la rata del mutuo, le tasse ecc...
Ho un'altra età e non posso pensare, per quanto riguarda il lavoro, a meccanismi di tutela perchè il tutelato in questo modo dipende dall'ente che lo soccorre e questo genera insicurezza e toglie dignità.
Ciao.

MikiMoz ha detto...

Verissimo, e te lo dico io che sono in quella situazione flessibile.
Mi fa strano comunque leggere... trent'anni. Ti rendi conto? 30 ANNI DI VITA passati non a godersela, non a vivere, ma A LAVORARE... :o

Moz-

Andrea Sacchini ha detto...

Non so se inganno sia il termine giusto. Nel mio post ho etichettato la flessibilità con illusione. Io penso che, almeno agli inizi, il concetto di flessibilità non sia stato introdotto con intenti ingannevoli, ma perché gli esperti di economia e di lavoro erano realmente convinti, sbagliando, che fosse il modo migliore di rispondere a un mercato del lavoro che non era più rigidamente regolato come una volta. Oggi le imprese nascono e muoiono con molta velocità, e nessun imprenditore si sognerebbe mai di fare un contratto a tempo indeterminato a un dipendente (senza contare il fatto che col JobsAct di Renzi il contratto fisso non esiste più né di nome né di fatto: adesso ci sono le Tutele crescenti).
Alla fine, comunque, inganno o illusione che sia, è sotto gli occhi di tutti come la flessibilità si sia rivelata la peggiore più deleteria soluzione all'evoluzione del mercato del lavoro.
Ciao Sari.

Andrea Sacchini ha detto...

Ma certo. Ricordo una bellissima conferenza di Umberto Galimberti in cui diceva che oggi la nostra vita è decisamente insignificante rispetto alle strutture economiche che la governano. Se l'azienda in cui si lavora non funziona, si va a casa e ci si arrangia come si può. E sicuramente, come dici giustamente, i prodromi di questa situazione erano ben noti negli anni Novanta, lo erano addirittura già da prima. La differenza rispetto a oggi è che allora era comunque molto più facile trovare un lavoro sicuro rispetto a oggi.

Andrea Sacchini ha detto...

Beh, un momento. Negli ultimi trent'anni è vero che ho lavorato, ma non ho solo lavorato, ho fatto tutte le cose che più amavo fare, tipo leggere migliaia di libri, suonare il basso elettrico in un gruppo rock, scrivere canzoni, racconti, andare in vacanza con la mia famiglia, girare per l'Italia e tanto altro ancora. Dal tuo commento sembra quasi che il lavoro sia una sorta di prigione che impedisce di godersi la vita. Magari ci sono anche lavori così, non lo metto in dubbio, ma nel mio caso è stato diverso, fortunatamente :-)

Marina ha detto...

Io ho esercitato la professione libera per qualche anno, la situazione era diversa, ma non comunque facile; ho passato il periodo dei co.co.co et similia di cui parli, un fallimento.
Sei fortunato ad avere un lavoro a tempo indeterminato. Preghiamo, piuttosto, per i nostri figli che non hanno davanti prospettive rosee, non qui in Italia, perlomeno.

Andrea Sacchini ha detto...

I nostri figli, bene o male, se la caveranno perché possono comunque contare sulle famiglie e su ciò che hanno accumulato padri e nonni, ma i figli di questi figli... meglio non pensarci, va'.

fulvio ha detto...

Ciao, se escludo i primi due anni finiti gli studi, ho sempre svolto la libera professione con la sola garanzia della mia professionalità, ma erano altri anni o addirittura una altra epoca.Se eri preparato e un po incosciente potevi conquistare il mondo. Oggi è tutto più difficile e le leggi che governano il mondo del lavoro non hanno certo reso le cose facili, anche se i contratti indeterminati esistono ancora.
Ciao fulvio

Andrea Sacchini ha detto...

Ciao Fulvio, grazie del tuo contributo.

Pia ha detto...

Un buon traguardo per te.
Tanti auguri per i tuoi trent'anni Andrea! Ciao. 💋

Andrea Sacchini ha detto...

Mo grazie :*

andynaz ha detto...

azz, il secondo compleanno in pochi giorni... pochi possono vantare un simile record :-)

Andrea Sacchini ha detto...

Sì, per me aprile è il mese dei "compleanni" :-)

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