sabato 3 luglio 2021

Sulla mia via

Quando ero piccolo, si parla di quaranta e più anni fa, c'erano molti bambini e ragazzini sulla mia via, quella che sale fino a Palazzo Marcosanti. C'eravamo io, mio fratello e tutti loro. Ci si conosceva quasi tutti e si giocava assieme, una volta a casa di uno, una volta a casa di un altro, oppure si correva in bicicletta, o magari ci si infilava di nascosto negli scheletri delle case in costruzione giocando agli esploratori, pur sapendo che i nostri genitori ce lo proibivano tassativamente perché, dicevano loro, era pericoloso. Che poi sì, era effettivamente pericoloso, ma si sa che il concetto di pericolo che hanno i bambini è molto diverso da quello dei grandi.

Quei bambini, me e mio fratello compresi, sono poi cresciuti e sono diventati grandi. Qualcuno ha avuto figli, qualcun altro no. Qualche coraggioso è rimasto, la maggior parte di essi è andata via. Oggi di bambini e ragazzini non ce ne sono più, sulla via. E non ci sono più neppure i grandi. La maggior parte di quelli che abitano qui attorno sono persone molto anziane, alcune autosufficienti, alcune no, quasi tutte hanno una badante o qualche figlio o figlia che ogni tanto si fa vivo e viene a dare un'occhiata, più per dovere che per reale interesse.

Gli unici bimbi presenti oggi sono cinque fratellini di colore. I miei genitori li chiamano affettuosamente "i neretti". Sono i figli di una coppia di nigeriani che da un anno e mezzo circa è venuta ad abitare in uno degli appartenenti della palazzina di fianco a casa mia. Oltre ai nigeriani c'è un ragazzo sulla trentina che abita da solo. È del sud ma non so di preciso di dove. Lo si vede poco perché lavora in un panificio e quindi vive prevalentemente di notte. Fornaio e nigeriani a parte, i restanti appartamenti sono occupati da persone anziane con la badante.

Adesso che è estate mi capita di vederli, la sera, che si ritrovano a chiacchierare nel cortile del palazzo, all'ombra. Loro, gli anziani, con bastone e badanti ucraine al seguito, che chiacchierano con la mamma di questi bimbi e coi bimbi stessi che, piano piano, cominciano a ingranare con l'italiano. Il padre dei bimbi non si vede quasi mai, fa l'autista per una ditta di autrasporti e compare solo nei weekend. Lei è una bella ragazza sulla trentina, che indossa sempre quei bei vestiti lunghi tutti colorati tipici dell'Africa e una specie di foulard, altrettanto colorato, in testa. Guardo quei bambini irrequieti che parlano con gli anziani ottuagenari e penso che sono loro i nuovi bambini che, sulla via, hanno preso il posto di quelli che non ci sono più. E penso che, nel suo piccolo, la mia via è la rappresentazione in miniatura di ciò che accade in Italia e in Europa. 

I vecchi nostrani raccontano alla mamma e ai suoi bimbi le loro storie passate, come hanno vissuto la loro giovinezza, come era e come è la loro vita qui, e lei racconta a loro storie del paese da cui vengono, della loro cultura. E penso a tutti quelli che blaterano di muri, di chiusure, di frontiere, di ognuno a casa sua, ignorando l'arricchimento (e i problemi, è innegabile) reciproco che nasce da questi mescolamenti. Un arricchimento che a me, ai miei tempi, è mancato.

14 commenti:

andrea ha detto...

Come è successo nei palazzi dove sono cresciuto e piu' in generale in quel quartiere. Sono cresciuto in un paese superindustrializzato, pieno di fabbriche, capannoni, artigiani. In centro paese c'è la fabbrica con quasi 400 operai e un tempo c'era anche l'Officina, vicino alla ferrovia, con centinaia di operai che lavorano alla manutenzione dei treni. Davanti ai nostri palazzi c'era la tessitura dove lavorava mia madre. Noi bambini eravamo quasi sempre in cortile e ti confesso che era bellissimo giocare sul retro dei palazzi schivando spesso i tir che arrivavano nella fabbrica. C'erano tantissimi suoni: bambini, lavoro, sirene dei cambi turno, operai, macchine, camionisti che parlavano in tutte le lingue. Adesso è tutto deserto. La fabbrica di mia madre è stata abbattuta e ci sono delle villette anonime e anche la frazione piu' sotto è quasi scomparsa e tanti capannoni sono vuoti. La stessa piazza del paese con la scomparsa di molte attività produttiva e la chiusura delle banche si è fatta moscia e spente e vive solo al mattino.
Qui almeno a Lugano c'è tantissima vita sotto e i bambini sono spesso in cortile a giocare.
Confesso pero' che mi mancano un po' i capannoni e tutta quella vita incasinata della mia infanzia. Per dirti che proprio la via affianco era quasi sempre impraticabile dalle macchine perché occupata da tutti i furgoni e camion che passavano dai terzisti a ritirare il filato.

Gwendalyne ha detto...

Nel tuo post precedente accennavi che stai meditando se chiudere il blog. Ti prego di non farlo, a maggior ragione dopo aver letto questo post!

Andrea Sacchini ha detto...

Vicino a casa mia, dall'altra parte della strada, è stato attivo per molti anni un cementificio, in cui tra l'altro lavorò anche mio nonno materno. Nel 2008 fu chiuso e, ancora oggi, lo scheletro dello stabilimento rimane lì, in balia dell'incuria e dell'abbandono.
Quand'ero bambino, l'immenso piazzale in cui sostavano i camion che entravano e uscivano per caricare il cemento e la calce era uno dei nostri regni di giochi. Ci nascondevamo sotto i rimorchi, giocavamo a nascondino tra i camion parcheggiati, salivamo sui cassoni. Una volta feci conoscenza con un camionista piuttosto anziano, si chiamava Colombo, come il navigatore, e un giorno mi fece salire sul suo camion e mi portò con lui a fare un giro. I miei genitori non l'hanno mai saputo, non so cosa sarebbe successo se ne fossero venuti a conoscenza.
C'era viavai di camion, attorno a quella fabbrica e sulla strada davanti a casa mia, c'era polvere, operai che andavano e venivano, traffico, ma quel posto era il nostro far west, il posto dove scatenavamo la fantasia e inventavamo i nostri giochi.
Ho nostalgia di quel "casino", di quelle scorribande anche pericolose. Anche se credo che, più dei giochi e delle scorribande, sia di quell'età che ho nostalgia.

Andrea Sacchini ha detto...

Grazie.
No, tranquilla. Ogni tanto mi viene voglia di farlo, è capitato spesso nel corso degli anni, ma poi la voglia di continuare ha sempre il sopravvento.

Franco Battaglia ha detto...

Gwen mi ha anticipato. Questo post è la risposta migliore al tuo precedente. Certo le tue considerazioni puoi sempre scriverle in un rassicurante Word, ma mancherebbe la platea, il confronto, donare qualcosa di te. Qualcosa che ha fatto crescere tutti noi, come giocare nella nostra adolescenza spensierata assieme agli altri. Scrivere sul blog è un po' come sedersi al piano, senza sordina, e dare corpo ad una melodia che ti frulla in testa.

Andrea Sacchini ha detto...

Oppure che mi invento sul momento, come accade spesso.

Joanna ha detto...

Hai risvegliato in me ricordi sopiti da tempo, anche dove abitavo io da bambina ci conoscevamo tutti e giocavamo insieme nel grande prato che avevamo davanti casa e che scandiva il cambio delle stagioni, si litigava, si faceva pace, nelle sere d'estate la sera ci ritrovavamo e ammiravamo le stelle. Ora quando ritorno al mio paese tutto è cambiato, al posto del grande c'è un mostruoso centro commerciale, non ci sono più bambini e tutto ha un sapore amaro di decadenza e desolazione.
Ho letto che hai avuto un momento di sconforto e meditavi di chiudere il blog, non farlo sei uno dei pochi blogger che leggo sempre volentieri.
Joanna

Andrea Sacchini ha detto...

Mi fa piacere di averti risvegliato ricordi sopiti da tempo. Per quanto riguarda il blog, ci penserò. Grazie.
Ciao.

Sara ha detto...

Nei piccoli centri, a meno di non trincerarsi dietro un muro, ci si integra meglio. Un dialogo prezioso quello tra i vecchi e i piccini!

Andrea Sacchini ha detto...

Vero. I trinceramenti dietro un muro sono una realtà dei condomìni delle grandi città, dove moltitudini di persone, divise solo da una parete, nemmeno si conoscono.

Enri1968 ha detto...

Che bella storia hai raccontato.

giorgio giorgi ha detto...

Non sono un critico letterario ma il tuo post mi ha davvero stupito per la qualità della tua scrittura, per la costruzione delle frasi e per il sentimento che mi hai trasmesso. Alla fine della lettura non ero più in casa mia ma ero nel tuo scritto, o meglio, lui era dentro di me. Lo trovo indimenticabile come i migliori romanzi che ho letto. Credo che tu l'abbia scritto di getto, poi magari limato nei particolari, mi sembra il frutto di un tuo ricchissimo mondo interiore che hai tradotto con la tua scrittura.

Andrea Sacchini ha detto...

Grazie, Enri.

Andrea Sacchini ha detto...

Beh, ti ringrazio, Giorgio, ma temo tu abbia esagerato un po', specialmente con l'accostamento ai romanzi che hai letto.
Dal mio punto di vista è una semplice trasposizione scritta di una cosa che ogni tanto vedo - le chiacchierate serali dei miei vicini - condita con qualche mia riflessione.
Comunque, grazie di nuovo.

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