mercoledì 5 gennaio 2022

Scritti corsari


Mentre leggevo questo libro, che è una specie di testamento di uno degli intellettuali più lucidi e geniali che l'Italia abbia mai avuto, mi chiedevo cosa direbbe Pier Paolo Pasolini oggi, se fosse ancora vivo, vedendo che le cose che raccontava/profetizzava negli anni Settanta non solo sono diventate realtà, ma di un tipo di realtà peggiore rispetto a ogni previsione.

Il libro è una raccolta sparsa di scritti vergati negli anni che vanno dal 1973 al 1975, prima del suo assassinio, pubblicati da quotidiani e periodici dell'epoca. Mentre li leggevo mi chiedevo come facessero giornali come il Corriere della Sera a pubblicarli. Si tratta infatti di editoriali taglienti, corrosivi, diretti, a volte quasi brutali nella loro lucida schiettezza (il politically correct tanto in voga oggi ne sarebbe risultato asfaltato), che denunciavano con accanimento e sofferenza la "rivoluzione conformistica", l'"omologazione culturale", la "mutazione antropologica" degli italiani, il tutto avvenuto con la complicità della classe imprenditoriale, politica e dei media, in particolare della televisione, responsabile della maggiore opera di omologazione culturale al ribasso mai vista prima e maggiore responsabile di quella generalizzata perdita della capacità di pensare oggi così palesemente sotto gli occhi di tutti.

Tra i tanti esaminati, l'aspetto su cui maggiormente si focalizza l'attenzione di Pasolini è la "mutazione antropologica" generata dall'avvento, a partire dagli anni Cinquanta, del consumismo. Dice Pasolini in una intervista rilasciata nel 1974 a Massimo Fini: "Io credo, lo credo profondamente, che il vero fascismo sia quello che i sociologi hanno fin troppo bonariamente chiamato 'la società dei consumi'. Una definizione che sembra innocua, puramente indicativa. E invece no. Se uno osserva bene la realtà, e soprattutto se uno sa leggere intorno negli oggetti, nel paesaggio, nell'urbanistica e, soprattutto, negli uomini, vede che i risultati di questa spensierata società dei consumi sono i risultati di una dittatura, di un vero e proprio fascismo. Nel film di Naldini [il riferimento è al documentario Fascista, realizzato nel 1974 da Nico Naldini, cugino dello stesso Pasolini] noi abbiamo visto i giovani inquadrati, in divisa... Con una differenza però. Allora i giovani nel momento stesso in cui si toglievano la divisa e riprendevano la strada verso i loro paesi e i loro campi, ritornavano gli italiani di cento, di cinquant'anni addietro, come prima del fascismo. Il fascismo in realtà li aveva resi dei pagliacci, dei servi, e forse in parte anche convinti, ma non li aveva toccati sul serio, nel fondo dell'anima, nel loro modo di essere. Questo nuovo fascismo, questa società dei consumi, invece, ha profondamente trasformato i giovani, li ha toccati nell'intimo, ha dato loro altri sentimenti, altri modi di pensare, di vivere, altri modelli culturali. Non si tratta più, come all'epoca mussoliniana, di una irregimentazione superficiale, scenografica, ma di una irregimentazione reale che ha rubato e cambiato loro l'anima. Il che significa, in definitiva, che questa civiltà dei consumi è una civiltà dittatoriale. Insomma, se la parola fascismo significa la prepotenza del potere, la società dei consumi ha bene realizzato il fascismo."

A leggere oggi ciò che Pasolini scriveva all'epoca, si avverte la sua pressante urgenza di capire, di arrivare alla verità riguardo agli accadimenti di una società che a partire dal '68, ma i prodromi c'erano già da prima, stava cambiando profondamente. Pasolini scrive negli anni cruciali delle grandi svolte sociali: gli anni turbolenti del '68, della strategia della tensione, del referendum sul divorzio. È un intellettuale che vuole capire e le persone che vogliono capire danno fastidio perché vanno a fondo, non si fermano a quanto può superficialmente apparire, diventano presenze difficili da sopportare in un mondo sempre più costruito sulle apparenze. E questo suo testardo voler capire sarà ciò che gli attirerà le antipatie e gli strali sia della destra che della sinistra, e che farà tirare qualche sospiro di sollievo, rigorosamente bipartisan, alla notizia del suo assassinio.

8 commenti:

  1. Pasolini um grande della mia terra!

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    1. Un po' anche della mia, visto che è nato a Bologna ;-)

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    1. In qualche post fa... almeno credo quando si parlò per la prima volta di PP Pasolini.

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    2. Forse è nel post sulla sua morte che ho linkato.

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    3. Son sicuro di avertelo scritto, sebbene commentare con Blogspot è sempre difficoltoso.

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    4. Sì, me l'avevi segnalato qui.

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