domenica 8 novembre 2020

WhatsApp è al nostro servizio o noi al suo?

Mi sono spesso sentito rimbrottare amichevolmente perché non ho replicato tempestivamente a un messaggio arrivatomi su WhatsApp. Perché devo rispondere tempestivamente? WhatsApp è uno strumento che è comodo, certo, ma tale comodità non deve rendere schiavi dello strumento, è lo strumento che è al nostro servizio, non noi al suo. Ho citato WhatsApp a mo' di esempio, ma il discorso vale per ogni altro sistema di comunicazione elettronica, comprese le mail, ad esempio (quante volte dopo l'arrivo di una mail arriva una telefonata in cui l'estensore chiede perché non gli sia ancora arrivata risposta?). 

Anche per i commenti al blog vale lo stesso discorso. Non mi sono mai sentito in obbligo di replicare tempestivamente ai commenti che chi passa di qui lascia in calce ai miei post. A volte, se notate, passano diverse ore, anche giorni, prima che replichi, ma non per snobismo o altro, semplicemente perché cerco di evitare in ogni modo che un passatempo si trasformi in ossessione. E comunque perché, in generale, il tempo che dedico al blog è largamente minoritario rispetto a quello che dedico ad altre attività che per me sono più gratificanti e interessanti. Tornando a WhatsApp, a chi mi fa notare l'assenza di risposte tempestive, generalmente replico chiedendo perché non mi abbia telefonato, se la faccenda era urgente.

Ricordo una bella conferenza di Paolo Crepet di qualche tempo fa in cui il noto psichiatra metteva in guardia contro i pericoli derivanti dal diventare succubi di questi tipi di tecnologie, e uno di questi pericoli è rappresentato dal fatto che nella nostra epoca si è perso il tempo per riflettere e pensare. La costante urgenza di essere sempre online, di interagire necessariamente in tempo reale coi nostri interlocutori, ha fatto accantonare l'abitudine di pensare a ciò che si risponde. La comunicazione elettronica si è ridotta a uno scambio di slogan e dettati ipnotici non supportati da adeguate elaborazioni.

Finché questa abitudine rimane circoscritta all'ambito di una chattata su WhatsApp, tutto sommato può anche andare bene, ma una volta che si è radicata la propensione a scrivere e a dire cose prive di elaborazione preventiva, poi lo si fa sempre, in qualsiasi altro ambito. Provate a seguire per dieci minuti un dibattito televisivo; non è nient'altro che una lunga sequela di battibecchi fatti di frasi fatte, veloci, e generalmente sempre prive di un ragionamento retrostante a supporto. Perché ciò che conta, oggi, è la velocità, non la riflessione.

Senza andare troppo indietro nel tempo, ricordo che quando ero giovane io e ancora non esistevano i telefonini, c'era l'abitudine, all'interno della scuola, di instaurare rapporti epistolari con alunni di altre scuole. Ci si scambiavano lettere di carta, vergate a penna, che viaggiavano per posta e impiegavano parecchi giorni, a volte settimane, per giungere a destinazione. E l'attesa della lettera con cui in nostro interlocutore replicava era carica di trepidazione. Siccome trascorreva molto tempo tra l'invio e la risposta, quando si vergava la lettera la si faceva lunga, articolata, cercando di utilizzare una una bella calligrafia ed eleganza di esposizione; mano a mano si aggiungevano cose che venivano in mente sul momento e che in un primo tempo non ci si era ricordati di menzionare. C'era tutto un lavoro di elaborazione e riflessione che oggi non esiste più. E c'è da ipotizzare che la mancanza generalizzata di pensiero, di analisi critica di ciò che accade intorno a noi, delle cose che leggiamo o ci sentiamo raccontare, mancanza di pensiero critico che caratterizza la nostra epoca e che produce i danni che sono sotto gli occhi di tutti, sia anche un cascame dell'utilizzo delle tecnologie comunicative di oggi.

8 commenti:

Orlando Furioso ha detto...

Sono daccordo con quanto scrivi e anch'io mi trovo spesso infastidito dalla fretta pretesa nelle risposte (di qualsiasi tipo).
Condivido anche la nostalgia per gli/le amici/amiche "di penna" (poi di macchina per scrivere) che con l'avvento del pc ho perduto. Anche se con alcune persone, da pochissimo tempo, si sta instaurando un dialogo a distanza via email che ricorda le vecchie lettere, proprio perché non ci siamo imposti/e nessuna fretta.
Ognun* di noi può, se vuole, combattere questa montante egemonia dell'immagine sulla riflessione, del tutto-e-subito sulla riflessione. Io cerco di farlo, non sempre con successo, ma mi impegno.
Un caro saluto e buona domenica.

Pino ha detto...

Non ho cellulari, non ho WhatsApp e nessun'altra diavoleria di questo genere, quindi non ho di questi problemi. Oggi - mio caro Andrea - abbiamo perduto il tempo dell’attesa, con tutto il suo carico di sentimenti e trepidazioni tra il momento in cui si scriveva una lettera ed il momento successivo in cui si riceveva la risposta, che era pur sempre un momento di piacere. E’ diventato tutto più veloce. Non si ha il tempo di pensare, perché nel momento in cui tu stai riflettendo, gli altri vogliono già la risposta. Sembra quasi che si debba sapere tutto prima ancora che le cose succedano. E’ come rinunciare alla vigilia e saltare immediatamente alla festa. La lettera di un tempo era pensata, meditata, un messaggio da leggere e rileggere nelle ore di dolce malinconia. Era un oggetto che si poteva stringere fra le mani, per cogliervi non solo il senso delle parole, ma lo stato d’animo di colui che scriveva, oggetto che si conservava e si rileggeva a distanza di tempo, ogni volta rinnovando sentimenti ed evocando ricordi ed emozioni

giorgio giorgi ha detto...

Sono totalmente d'accordo e aggiungo che spesso, guardando film degli anni '60-'70 trovo andamenti lenti che oggi azzererebbero l'audience, così come ascoltando brani musicali pop della stessa epoca, oggi insopportabilmente lenti e troppo lunghi (15-20 minuti).
La velocità può essere utile ma la lentezza è necessaria per approfondire. Oggi quasi tutto viaggia solo in superficie.

Andrea Sacchini ha detto...

Bella la cosa della macchina per scrivere, uno strumento che non ho mai usato, passando direttamente da carta e penna a PC.
Buona domenica, o ciò che ne resta, a te.

Andrea Sacchini ha detto...

Senza whatsapp, sinceramente, credo potrei stare anche io. Senza cellulare non credo, non più.
Per il resto sì, è diventato tutto più veloce. Viviamo nella nostra rutilante e luccicosa civiltà senza accorgerci che abbiamo perduto il gusto della lentezza e della riflessione.

Andrea Sacchini ha detto...

Verissimo. Accanto ai film e ai brani musicali dell'epoca di cui parli, quella lentezza a cui accenni si ritrova in certi classici del romanzo. Chi ha letto autori del passato come Mann, Dostoevskij, Flaubert, Dumas, solo per citare i primi che mi vengono in mente, riscontra nelle loro opere la stessa lentezza che oggi renderebbero quei romanzi insopportabili. Eppure avevano un loro fascino, quei libri, che tra l'altro a me piacciono molto.
Oggi, purtroppo, il mondo vive sulla velocità e sulla superficialità e se non ti adegui sei fuori.

{m} ha detto...

E' anche per le ragioni che hai descritto che ho WA dietro firewall sul mio telefono. L'idea di essere sempre raggiungibile e di dover sempre tenere il passo della conversazione non mi affascina. Sarà l'età :)

Andrea Sacchini ha detto...

Beh, può darsi che anche nel mio caso dipenda dall'età, dal momento che neppure io sono più un giovincello, ormai :)

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