domenica 16 giugno 2019

Il piacere della lettura

Chi non ricorda come me quelle letture fatte all'epoca delle vacanze, che nascondevamo, poi, in tutte quelle ore del giorno che erano abbastanza tranquille e inviolabili da poter dare loro asilo? La mattina, rientrando dal parco, quando tutti erano usciti a fare una passeggiata, io scivolavo nella sala da pranzo dove, fino all'ora ancor lontana del pasto, non sarebbe entrato nessuno salvo la vecchia Félicie, relativamente silenziosa. Qui avrei avuto per compagni, assai rispettosi della lettura, solo i piatti dipinti appesi al muro, il calendario da cui era stato di fresco staccato il foglietto del giorno prima, la pentola e il fuoco che parlano senza chiedere che gli si risponda e i cui dolci discorsi privi di senso non vengono, come le parole degli uomini, sostituite con un senso diverso quello delle parole che state leggendo. Mi mettevo su una sedia, presso il fuocherello di legna.
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Prima del pranzo, che purtroppo avrebbe posto fine alla lettura, c'erano ancora due ore buone.
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Sfortunatamente la cuoca veniva ad apparecchiare la tavola molto tempo prima di pranzo: se almeno l'avesse apparecchiata senza parlare! Invece si riteneva in dovere di dire: 'Così non state comodo, se vi avvicinassi un tavolo?' E solo per risponderle: 'No, grazie', dovevo fermarmi di botto e richiamare da lontano quella voce che, tra le labbra, ripeteva senza rumore, velocemente, tutte le parole che gli occhi avevano letto; dovevo fermarla, farla uscire e, per dirle come si conveniva: 'No, grazie', darle un'apparenza di vita ordinaria e una intonazione di risposta che aveva perdute. Il tempo passava; spesso, molto prima dell'ora di pranzo, cominciavano ad arrivare nella stanza quelli che, stanchi, avevano abbreviato la passeggiata.
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Alcuni, senza attendere oltre, si sedevano in anticipo a tavola, prendendo i loro posti. Era desolante, poiché questo avrebbe costituito un cattivo esempio per gli altri che arrivavano, inducendoli a pensare che fosse già mezzogiorno, e avrebbe fatto pronunciare troppo presto ai miei genitori la frase fatale: 'Su, chiudi il libro, si va a pranzo'.
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Come mi sembrava lungo il pranzo!
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Dopo, riprendevo subito la lettura. Soprattutto se la giornata era un po' calda, ognuno si ritirava di sopra, nella propria camera, il che mi consentiva di raggiungere la mia, per la scaletta dai gradini ravvicinati, all'unico piano così basso che sarebbe bastato un salto da bambini dalle finestre sporgenti per trovarsi in strada.
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Non ero rimasto a lungo a leggere nella mia camera che già si doveva andare al parco, a un chilometro dal villaggio. Ma dopo il gioco, obbligatorio, acceleravo la fine della merenda portata nei panieri e distribuita ai ragazzi sull'erba della riva del fiume, dove era stato spostato il libro con la proibizione di riprenderlo in mano.
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Lasciavo gli altri a finire la merenda nella parte bassa del parco, accanto ai cigni, e salivo di corsa nel labirinto fino a un boschetto di carpini dove mi sedevo, introvabile, addossato ai noccioli tagliati.
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In quel boschetto il silenzio era profondo, il rischio di essere scoperto pressoché nullo, il senso di sicurezza reso più dolce dalle grida lontane che, da giù, mi chiamavano invano, a volte si avvicinavano persino, salivano un poco il pendio cercando dappertutto, Dopo di che tornavano indietro senza avermi trovato; poi, più nessun rumore: di tanto in tanto, il suono aureo delle campane.
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In fondo al parco i rintocchi arrivavano solo deboli e dolci e non sembravano rivolgersi a me, ma a tutta la campagna, a tutti i villaggi, a tutti i contadini soli nel loro campo; non mi costringevano affatto ad alzare la testa, mi passavano accanto portando l'ora ai paesi lontani, senza vedermi, senza conoscermi, senza disturbarmi.
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E talora a casa, nel mio letto, molto tempo dopo la cena, anche le ultime ore della sera davano asilo alla mia lettura, soprattutto in quei giorni in cui ero arrivato agli ultimi capitoli di un libro e non mancava più molto alla fine. Allora, rischiando di essere punito se mi avessero scoperto, e rischiando l'insonnia che, terminato il libro, sarebbe durata forse tutta la notte, non appena i miei genitori andavano a letto riaccendevo la candela.

(M. Proust, Il piacere della lettura)

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