mercoledì 16 marzo 2016

Quattro sigarette (racconto)

"Non avevi detto che avresti smesso? O ricordo male?” Maria appoggiò il pacchetto di Marlboro sul tavolo della cucina, dopo essersene messa una tra le labbra e averla accesa, poi riprese a cucinare.
“Sì, è vero, l’avevo detto, infatti questo sarà il mio ultimo pacchetto. Ormai mi conosci bene, sai che quando mi riprometto una cosa poi la mantengo.”
Alfonso era seduto al tavolo della cucina, sfogliava le pagine di cronaca locale del giornale.
“Sì, sì, lo so bene, conosco le tue promesse,” le rispose.
“Vedi il pacchetto? Ci sono dentro quattro sigarette, fumerò queste quattro e non ne toccherò più una. Questa volta sono decisa.” Alfonso fece un sorrisetto ironico, poi tornò alla lettura del giornale. Quel pomeriggio di fine marzo volgeva ormai al declino, lo stesso declino in cui navigava da tempo il loro matrimonio. Dalla finestra, il sole che calava dietro i palazzoni del quartiere illuminava di arancione una delle pareti della cucina. “Cosa si mangia stasera?” chiese poi Alfonso dopo aver chiuso il giornale.
“Polpette.”
“Che palle, ancora?”
“Se non ti vanno bene c’è Shamir qui di sotto, all’angolo, vatti a prende un kebab.”
“Non mi piacciono i suoi kebab, secondo me li riempie con carne marcia, mi meraviglio che non abbia ancora mandato nessuno all’ospedale, con quella robaccia.”
“Ah, quindi adesso aggiungiamo all’elenco anche i suoi kebab.”
“Quale elenco?”
Maria finì di preparare le polpette, mise il tegame sul fornello e accese il gas a fuoco moderato, poi si girò verso il marito, appoggiandosi al piano della cucina e prendendo tra le dita la sigaretta dopo aver tirato una boccata.
“Il lungo elenco di cose che non ti vanno bene: tua moglie, il tuo lavoro, questo appartamento, le rate del mutuo, i vicini di pianerottolo, la strada trafficata e rumorosa… tutta la tua vita, insomma. Ciliegina sulla torta: i kebab di Shamir. C’è altro? Anzi, modifico la domanda: c’è qualcosa che ti piace, o che ti è mai piaciuta, nella tua vita?”
Alfonso si alzò e uscì dalla cucina, si infilò la giacca e si avviò verso la porta. “Ci vediamo per cena,” borbottò. Scese le scale del palazzo, uscì in strada e si avviò verso il bar. La strada era trafficata, sul marciapiede camminava un sacco di gente, e tutto quel viavai gli ricordò il viavai di certe strade di certe metropoli americane, di quelle che si vedono nei film, tipo New York, ad esempio. Entrò nel bar e si diresse al flipper, inserì una moneta e il flipper prese vita, dando inizio a una girandola di musichette e lucine intermittenti. Non c’era nessuno, all’interno del bar, mentre fuori alcuni ragazzini se ne stavano senza fare niente e a cazzeggiare a cavallo dei rispettivi motorini. Alfonso rientrò a casa alle sette e mezza, dopo aver dato in pasto al flipper una discreta quantità di monete. Maria era già a tavola.
“Potevi anche aspettarmi,” le disse lui sedendosi a tavola.
“Era pronto, e sai che alle sette la cena è sempre in tavola, saresti potuto tornare in orario.”
“Una volta m’avresti aspettato.”
“Una volta era diverso: ti amavo, così come tu amavi me, e vivere insieme, qui, era bello, era un sogno, non un’agonia come adesso.” Alfonso non replicò e rimase in silenzio per un po’. Attraverso le tende della cucina guardava le finestre illuminate del palazzo di fronte. Immaginava che dietro a quelle finestre ci fossero persone felici, realizzate, contente della propria vita. Sapeva che le probabilità che ci fossero anche relitti umani come lui erano pressoché identiche, ma preferiva pensare che ci fossero solo persone felici. Maria aggiunse: “Domattina ho appuntamento dall’analista, lasciami i soldi prima di uscire.”
“Quante sedute hai fatto, finora?” le chiese Alfonso mentre si versava il vino nel bicchiere.
“Quattro.”
“E hai notato dei miglioramenti?”
“E tu? Tu li hai notati?” Alfonso restò in silenzio. “Eh già, figurati. Cosa te lo chiedo a fare? Alfonso, come abbiamo fatto a ridurci così? Perché dopo soli sette anni di matrimonio non ti frega più niente di me?”
“Potrei farti la stessa domanda.”
“È diverso, sai bene che io ti amo ancora, ma non posso andare avanti a vivere con un uomo a cui non frega più niente di me.”
“Non è vero che non mi frega più niente di te, è che spesso, col passare degli anni, molte cose cambiano.”
“Per me non è cambiato niente. Comunque le sedute dall’analista non mi servono a niente, se vuoi saperlo, ci vado perché in fondo è un diversivo dalla noia quotidiana e perché lì ho almeno qualcuno con cui parlare. Ah, l’ultima volta mi ha detto che ho tendenze suicide.”
“Eh?” fece Alfonso mentre si accendeva la sigaretta del dopo cena.
“Presento qualche indizio che potrebbe farlo sospettare, mi ha detto mercoledì scorso, comunque me lo confermerà con maggiore certezza dopo che avremo fatto un altro po’ di sedute.”

Il cellulare trillò nella tasca destra della sua tuta da lavoro verso le 11 e un quarto. Sul display comparve il numero di Maria e Alfonso si domandò cosa volesse a quell’ora. E poi non era l’orario in cui doveva essere dall’analista? Schiacciò il pulsante di ricezione. “Ehi, cosa c’è?” Con grossa sorpresa, Alfonso si sentì rispondere da una voce maschile.
“Buongiorno, sono un maresciallo dei Carabinieri e mi trovo nel suo appartamento. Dovrebbe venire subito a casa.”
“Perché? Cosa è successo?” disse Alfonso allarmato.
“Mi dispiace dirglielo ma è successa una disgrazia a sua moglie, dovrebbe venire a casa.”
“Oh cazzo…” Alfonso scese giù dal muletto e cominciò a correre verso la macchina, uscì sgommando dalla ditta e corse verso casa, incurante del traffico e dei limiti di velocità. Arrivò dopo 10 minuti e vide una gazzella dei Carabinieri e un’ambulanza davanti al portone del suo palazzo. Un capannello di curiosi si era radunato lì nei pressi e quando lui arrivò le persone si allargarono e lo lasciarono passare. Alfonso si gettò verso le scale e fece di corsa le rampe fino al suo pianerottolo. Arrivò mentre i due operatori dell’ambulanza uscivano mestamente e senza fretta. Sapeva cosa significava tutto ciò e una vampata gelida di dolore cominciò a farsi strada dentro di lui. All’interno trovò il maresciallo che aveva parlato con lui al telefono e un altro appuntato. In terra, un lenzuolo bianco copriva quello che doveva essere il corpo di Maria. Poco distante c’era sul pavimento un coltello da cucina e sangue dappertutto. Il maresciallo bloccò Alfonso, che voleva correre a sollevare il lenzuolo per avere quella conferma di cui sapeva benissimo non esserci bisogno.
“Mi spiace molto,” gli disse il maresciallo mentre continuava a tenerlo bloccato, “sua moglie si è suicidata tagliandosi le vene con uno dei vostri coltelli da cucina.” Alfonso si calmò, si liberò dalla stretta del militare e si mise a sedere sul pavimento della cucina appoggiandosi al muro, poi si prese la testa tra le mani e cominciò a singhiozzare. “Non possiamo toccare il corpo finché non saranno arrivati il medico legale e il magistrato di turno, che ovviamente vorrà farle qualche domanda, quando se la sentirà. Ah, dimenticavo, sopra il ripiano della cucina abbiamo trovato questi.” Il maresciallo diede un pacchetto di Marlboro vuoto ad Alfonso. Al suo interno c’era un foglietto di carta gialla, con scritto a matita un messaggio.

UN SACCO DI VOLTE HO PROMESSO DI SMETTERE DI FUMARE SENZA MAI MANTENERE LA PROMESSA. QUESTA VOLTA L’HO MANTENUTA.
CIAO.
MARIA.

Alfonso rilesse più volte il biglietto, poi lo abbandonò in terra, continuando a singhiozzare.

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