Splendido saggio, uno dei più belli che abbia letto quest'anno, in cui il filosofo e teologo Byung-chul Han spiega come con l'avvento della digitalizzazione abbiamo perso il rapporto con le cose, con la realtà e abbiamo iniziato a rapportarci con la loro rappresentazione digitale: leggiamo libri elettronici invece che cartacei, scriviamo con le dita invece che con le mani, creiamo connessioni con "amici" virtuali invece che relazionarci con persone fisiche, ascoltiamo musica da supporti digitali invece di prendere in mano un supporto fisico, come ad esempio un disco, e farlo nostro.
Un capitolo drammatico è quello in cui si spiegano gli effetti deleteri dello tsunami di informazioni che ogni giorno ci sommerge, tramite il quale acquisiamo una notizia ma non approfondiamo la conoscenza. Da qui la frammentazione e la parcellizzazione dei processi cognitivi che inficiano la nostra capacità di prestare attenzione.
È un libro che apre gli occhi sul cambiamento antropologico derivante dalla digitalizzazione della nostra vita e che richiama al bisogno di tornare a vivere le cose, gli oggetti, le persone. Un fervente invito a tornare a vivere il reale.
Splendido.