In un futuro forse non troppo lontano le persone che lavoreranno saranno poche, a causa soprattutto dell'inarrestabile processo di automazione, dello sviluppo dell'intelligenza artificiale, della robotica, e compiti come diagnosticare una malattia, redigere un contratto, scrivere notizie saranno sempre di più svolti da computer. La "minaccia", se così vogliamo chiamarla, di un mondo in cui non ci sarà lavoro per tutti è quindi più reale di quanto possa sembrare.
L'autore di questo interessantissimo saggio, l'economista Daniel Susskind, prefigura lo scenario di un mondo senza lavoro e suggerisce alcune soluzioni per gestirlo. Non è facile immaginare un mondo senza lavoro che si regga su altre cose, perché il concetto di lavoro è connaturato profondamente al nostro modo di intendere la vita. C'è vita se c'è lavoro. Scrive a questo proposito l'autore: "Quasi tutti possono contare su una certa quantità di talenti e competenze, il loro capitale umano, e si presentano nel mondo del lavoro in cerca di un impiego. Questi impieghi, a loro volta, procurano ai lavoratori una fetta della torta economica sotto forma di salario. Ecco perché consideriamo il lavoro così vitale oggi, e perché è così allettante l'idea di conseguire un'istruzione che basti a conservare un'occupazione. Ma è anche il motivo per cui la prospettiva di un mondo con meno lavoro è tanto sconcertante: metterà fuori uso il tradizionale meccanismo di spartizione della torta economica."
Come fare sì, quindi, che si possano creare altri meccanismi di spartizione della torta economica che prescinda dal lavoro? E quali possono essere questi meccanismi? Susskind fa alcune ipotesi, una delle quali è la creazione di un Big State, una sorta di ampliamento riveduto e modificato del già noto Welfare, che consenta di redistribuire la ricchezza prodotta dal lavoro tecnologico che ha soppiantato quello generato dal precedente capitale umano. Ovviamente, le modalità con cui avverrebbe questa spartizione sono tutte da vedere e da elaborare, impresa non certo semplice. Ma d'altronde, da qualche parte bisognerebbe cominciare.
Un mondo senza lavoro, naturalmente, non avrebbe solo implicazioni di tipo economico. Il lavoro, nella nostra civiltà, ha anche una forte valenza psicologica. Per tantissimi il lavoro è ciò che dà senso e uno scopo all'esistenza. Scrive l'autore: "Per la maggior parte di noi il lavoro è il nuovo oppio. Come una droga, offre a molti individui una piacevole sferzata di motivazione. Ma, allo stesso tempo, intossica e disorienta, distraendoci dalla ricerca di significato in altri ambiti. Questo rende difficile immaginare come potremmo vivere diversamente le nostre vite. Il lavoro è così radicato nella nostra psiche, ne siamo diventati così dipendenti che c'è spesso un'istintiva resistenza a prendere in considerazione un mondo in cui ve ne sia di meno, e un'incapacità di esprimere qualcosa di sostanziale quando lo facciamo."
Nei prossimi cento anni, è la tesi di Susskind, il progresso tecnologico ci renderà benestanti come mai prima, ma questo progresso ci condurrà inevitabilmente in un mondo con meno lavoro per gli esseri umani. E nasceranno nuovi problemi, come ad esempio quello del sistema migliore per condividere questo nuovo benessere con tutti i membri della società, o quello del senso, cioè tentare di immaginare come usare questo benessere non solo per vivere con meno lavoro, ma per vivere bene.
Credo che questo sia uno dei saggi più interessanti letti quest'anno.
Grazie davvero, credo proprio che lo leggerò.
RispondiEliminaMerita, a mio avviso. Offre infiniti spunti di riflessione.
EliminaTre ore al giorni, diceva Keynes, per accontentare l'Adamo che è in noi.
RispondiEliminaTroppo ottimista.
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