Mentre sfogliavo La Stampa, seduto a un tavolino del bar sotto a casa, mi è passata sotto gli occhi l'immagine di Fogli, Riccardo Fogli, il quale, ho letto di sfuggita, starebbe partecipando a una specie di reality su una lontana isola di cui non so il nome e non mi frega niente di saperlo. Vedendolo con barba lunga, capelli lunghi, aria trasandata tipica dei mendicanti sotto i portici di qualunque città, mi sono chiesto cosa spinga a ridursi così, quale sia la molla che induce a rinunciare alla seppur minima forma di pudore per dare in pasto sé stessi, la propria interiorità ed esteriorità ai media e alle curiose morbosità di eserciti di teledipendenti che hanno assurto a ragione di vita il frugare nelle miserie altrui.
Forse per soldi? Forse perché risulta insopportabile l'idea di cadere nell'oblio dopo una carriera musicale che, pur tra alti e bassi, è comunque stata di un certo rilievo? Per carità, ognuno è libero di vivere il proprio crepuscolo artistico e biologico come meglio crede, ma io, personalmente, provo molta maggiore stima per chi, semplicemente, prende atto della fine di un ciclo, di una carriera, e si ritira in silenzio in una vita dove si abbandona una dimensione pubblica e si entra, o si rientra, in una privata, coltivando i propri interessi e facendo ciò che si ama fare.
Penso, che ne so?, a cantautori come Ivano Fossati, Francesco Guccini e tanti altri, anche in ambiti diversi da quello musicale, persone che a un certo momento hanno sentito che era arrivata l'ora di chiudere la loro carriera e si sono ritirati a vita privata, spesso addirittura con la preghiera di non essere più cercati.
Provo un misto di pietà e tenerezza per chi, invece, proprio come Fogli, lancia l'implorazione di non essere dimenticato attraverso lo svilimento mediatico di se stesso. Ma, come ho già detto, ognuno è in fondo libero di vivere il proprio crepuscolo come meglio crede.
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