"Clicco, scarico, non pago. Tre semplici atti che hanno portato alla crisi, in pochi anni, un'intera industria, quella discografica". Inizia così un articolo, a firma Ernesto Assante, pubblicato l'altro ieri su Repubblica. Un articolo pregevole, nel suo insieme, ma abbastanza infarcito dei soliti luoghi comuni e delle solite generalizzazioni che alla fine tendono un po' a svilire il tutto e danno l'impressione a chi magari se ne intende poco che le cose stiano effettivamente così.
In sostanza, il popolo della rete viene dipinto come una mandria di scrocconi sempre pronti ad avere tutto, subito e gratis beni o servizi che prima si pagavano. Scrocconi che avrebbero (secondo Assante) portato addirittura a una crisi irreversibile l'industria discografica. Beh, forse qualche distinguo è necessario.
E' indubbio che con l'utilizzo di massa di internet (che poi, se facciamo il confronto con altre realtà europee, ci accorgiamo che tanto di massa non è) qualcosa è cambiato. Si fanno tante cose e si può usufruire di tanti servizi prima impossibili: penso alla possibilità di gestire il proprio conto corrente da casa, di pagare le fatture da casa, di prenotare una vacanza o un albergo da casa, di ricevere le bollette via web eliminando la carta, e così via. Vantaggi e comodità indiscutibili rese possibili dal fatto che la rete è per sua natura traffico di dati: tutto ciò che prima aveva una consistenza fisica si trasforma in bit e viaggia da un computer a un altro, da un paese a un altro, da un capo all'altro del globo. Istantaneamente.
E tutto questo, volenti o nolenti, è irreversibile, non si può più tornare indietro. Sarebbe interessante chiedere ad Assante se tornerebbe volentieri indietro nel tempo, magari ricominciando a scrivere i suoi articoli con una macchina da scrivere manuale, o magari addirittura con carta e penna invece che col pc. Così come sarebbe interessante chiedere a chi utilizza tutti i servizi online di cui parlavo prima di rinunciarci e ricominciare a fare la fila alla posta. Ma tutto questo non solo riguardo a internet (pensate ad esempio che sarebbero molti quelli che tornerebbero al carro coi cavalli al posto della comoda, calda e confortevole macchina?).
Ecco perché il "clicco, scarico e non pago" citato da Assante non è stata la causa della crisi del disco, ma semmai una concausa, o, se vogliamo, la mano che ha mosso la prima pedina del domino. La crisi dell'industria della musica (una definizione che già di per sé fa orrore) è da addebitare in massima parte all'industria stessa, al non aver capito fin da subito la portata di ciò che stava per succedere e alla pia illusione iniziale di poter ingabbiare e mettere sotto controllo il fenomeno (un sogno accarezzato ancora da molti politici). Una miopia e una scarsa lungimiranza che l'hanno portata a combattere il fenomeno del file sharing agitando lo spauracchio delle aule di tribunale, delle minacce legali, degli avvocati, coi risultati che sappiamo. Oppure ad adottare sistemi tecnologici anticopia di fatto controproducenti, proprio perché aggirabili con una certa disinvoltura anche da chi non ha una laurea in informatica. Adesso l'industria pare averlo capito (le major hanno ricominciato a vendere musica libera da lucchetti digitali), ma ormai è tardi, il danno è fatto. Cercano solo, pateticamente, di salvare il salvabile.
Altro punto interessante è la questione "rubare", tirata in ballo sempre da Assante ("Che si tratti di "furto" è evidente, copiare una canzone senza pagare i diritti d'autore significa semplicemente privare i musicisti dei frutti del loro lavoro. Ma ai frequentatori della rete il termine "furto" è sempre sembrato inappropriato.").
Ai frequentatori della rete il termine "furto" non è che non sembra appropriato: é inappropriato. Se si guarda sul dizionario, il primo significato di "furto" o "rubare" è portare via qualcosa a qualcuno in modo che quel qualcuno non ne sia più in possesso. Se io condivido una canzone in rete non la rubo a nessuno, semplicemente prima ce l'aveva un utente e ora ce l'abbiamo in due. Il concetto di rubare si applica alle cose materiali, non a quelle immateriali. E non è assolutamente vero (qui mi meraviglio di Assante, che se non erro è anche critico musicale) che tutto ciò "significa semplicemente privare i musicisti dei frutti del loro lavoro". Questo è uno di quei luoghi comuni che ogni tanto rifanno capolino dalla viva voce dei bronto-discografici (che per la verità sembrano essere più preoccupati dei loro introiti, vista la percentuale che va ai suddetti musicisti), e che in qualche modo riguardano chi non ha ancora abbandonato il sistema tradizionale.
Provi Assante a chiedere agli artisti che mettono la musica su Jamendo se sono penalizzati dal download delle loro opere, oppure ai Radiohead o ai fautori di iniziative come quella dei Barenaked Ladies. Penalizzati (se lo sono effettivamente) sono tutti quelli che continuano ostinatamente a rimanere sotto l'ala protettrice delle major, le quali ancora intendono un modello di distribuzione e di fruizione della musica che aveva la sua ragione di esistere nel paleozoico cambriano. Chi ha deciso di adeguarsi ai tempi, i frutti del proprio lavoro li raccoglie. Eccome.
Insomma, l'era digitale offre in definitiva le stesse opportunità a tutti, che si tratti di utenti o di case discografiche e cinematografiche, il tutto sta a saperle cogliere. Cosa che condanna chi non è in grado di farlo a restare inevitabilmente tagliato fuori.
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Ma forse qui si trova la totalità degli scrocconi!!! -> www.scrocconi.it
RispondiEliminaMa almeno per una giusta causa :)
Confermo.
RispondiElimina:-)