domenica 29 aprile 2007

Italianità giudiziaria

"Franzoni, una condanna all'italiana", riportato oggi dal quotidiano Il Giornale, mi pare il titolo che meglio riassume la sentenza d'appello per la mamma di Cogne

C'era bisogno di un post su Annamaria Franzoni? No. Sicuramente. Non ce n'era bisogno perché dal 2001 in qua ne hanno parlato e continuano a parlarne anche i sassi: fiumi di inchiostro su quotidiani, settimanali, libri, tv, internet.

Però due righe le voglio scrivere, perché la sentenza pronunciata dalla corte d'Appello di Torino è secondo me l'espressione massima del concetto di 'italianità' applicato alla giustizia. Ovviamente non mi metto a disquisire sulle motivazioni "tecniche" che hanno portato i giudici a emettere questo tipo di sentenza, visto che non sono un avvocato esperto di questioni giudiziarie.

Quello che mi interessa, e che penso sia quello che lascia perplessi molti, si può riassumere in una semplice domanda: perché la signora Franzoni, visto che è stata ritenuta colpevole anche in secondo grado, ha beneficiato dello sconto di metà della pena? Ufficialmente grazie alle famose e arcinote "attenuanti generiche", che in questo caso sarebbero da ricercare in una generica e non meglio precisata forma di nevrosi isterica. Penso però che in fondo in fondo il motivo sia un altro.

Premetto che non ho seguito, se non a grandi linee, lo svolgimento dell'intero iter giudiziario, e neppure mi sono fatto un'idea della vicenda che mi permetta di poter avallare le posizioni di una delle due categorie di pensiero dominanti, ossia i colpevolisti e gli innocentisti. Allo stato attuale mi classifico salomonicamente tra i possibilisti di entrambe le ipotesi: per quel che ne so io la signora Franzoni può benissimo essere colpevole come no.

Questo è il vero dilemma (mascherato appunto da "attenuanti generiche") che secondo me sta alla base delle motivazioni della sentenza d'Appello. E penso che in realtà siano queste le vere attenuanti: la mancanza da una parte e dell'altra di elementi veri e concreti che consentano di affermare in maniera inequivocabile l'innocenza e la colpevolezza della Franzoni. Anche perché, diciamo la verità, cos'hanno in mano il pubblico ministero, l'accusa e tutta la massa dei colpevolisti? Niente, se non il fatto che (riassumo brutalmente) "è stata lei semplicemente perchè in casa non c'era nessun altro".

Ma allo stesso tempo cos'hanno a loro volta in mano la difesa e chi crede che la Franzoni sia innocente? Niente neppure loro, se non il fatto che - come ha recentemente affermato l'avvocato difensore - "una mamma non punisce il figlio uccidendolo in uno scatto d'ira".

L'unica cosa chiara e inequivocabile di tutta questo lungo e complesso iter giudiziario è che non c'è la minima certezza né da una parte né dall'altra. Siamo di fronte al classico (che più classico non si può) processo indiziario, basato esclusivamente appunto su indizi che possono essere usati e utilizzati sia a supporto delle tesi difensive che colpevoliste.

Non voglio dare l'idea di prendere le difese della Franzoni (come ho detto prima secondo me potrebbe essere allo stesso modo colpevole o innocente), ma è lampante che - sempre dal mio punto di vista, si intende - all'accusa mancano almeno due elementi fondamentali per poter dimostrare la colpevolezza della Franzoni: l'arma e il movente. L'arma, come è noto, non è stata mai trovata (ancora adesso si fantastica di presunti mestoli e roncole passando per zoccoli e scarponi da montagna) e il movente non esiste (l'eventuale scatto d'ira non mi pare sia ascrivibile a questa categoria).

Perché, invece, a differenza di questo, altri casi tragicamente simili si sono conclusi in brevissimo tempo? Semplicemente perché è stata dimostrata subito e senza ombra di dubbio la colpevolezza di chi ha commesso il fatto. Prendiamo il caso del piccolo Tommy, ad esempio: l'arma con le impronte del colpevole è stata trovata (un badile) e l'autore - dopo alcune resistenze iniziali - ha confessato. Qui invece, come dicevo, l'arma non esiste e il (presunto) colpevole pare non abbia alcuna intenzione di confessare alcunché.

Io, per convinzione mia personale, appartengo ai cosiddetti garantisti, a quelli cioè che molto semplicemente pensano che in caso di dubbio sia meglio un delinquente a piede libero che un innocente in galera (tranne ovviamente i casi in cui sia lampante l'accertamento di responsabilità). Il dimezzamento della pena, quindi, può secondo me essere interpretato in questo senso come una spaccatura, una difficoltà nel prendere una decisione da parte del collegio giudicante, il quale potrebbe essersi chiesto: "si può comminare il massimo della pena (30 anni) basandosi esclusivamente su indizi?".

Ecco che quindi salta fuori l'italianità di giudizio - nascosta sotto le mentite spoglie delle attenuanti - di cui parlavo all'inizio: la Franzoni è sì colpevole, ma non è la spietata assassina descritta nelle motivazioni della sentenza di primo grado, visto che sono andati a farsi bendire pure tutti i tentativi di trovare una soluzione all'enigma frugando nella psiche dell'imputata (le perizie hanno dimostrato che non è pazza).

E quindi? Punto e a capo, con l'accusa che ha già annunciato che non ricorrerà all'ultimo grado di giudizio (Cassazione), a differenza della difesa. Ricomincerà perciò a breve il circo mediatico fatto di interviste, telegiornali, dichiarazioni, pianti (rigorosamente sotto i riflettori) dell'imputata, talk-show, apparizioni mistiche in qualche salotto televisivo, fino al pronunciamento definitivo della Cassazione, che metterà finalmente la pietra tombale su questa storia infinita.

Forse.

2 commenti:

Sbronzo di Riace ha detto...

Mi hai tolto le parole di bocca, io queste cose le pensavo fin dal primo processo. Se un PM arriva a chiedere all'imputato, durante le fasi finali del processo, di confessare il delitto mi pare evidente che nemmeno lui è così convinto delle prove/indizi che ha a disposizione.
Di solito accade il contrario, cioè con le prove che si hanno in mano si arriva a far confessare l'indiziato prima che inizi il processo, in CSI o in Colombo si fa così :-)
Forse nella vita reale funziona diversamente oppure chi doveva fare le indagini non l'ha fatto nella maniera corretta. Anche se nel mio intimo ritengo che sia altamente probabile o plausibile la colpevolezza della madre (madri che uccidono i loro figli non mancano) se dovessi decidere solo in base alle prove prodotte allora avrei seri dubbi. Tra l'altro nei casi dubbi mi pare che la legge sia a favore dell'imputato proprio per evitare di condannare un possibile innocente. Evidentemente in casi come questi (molto mediatico) bisogna comunque dare in pasto all'opinione pubblica un colpevole.

Andrea Sacchini ha detto...

> Se un PM arriva a chiedere all'imputato, durante le fasi finali del processo, di confessare il delitto mi pare evidente che nemmeno lui è così convinto delle prove/indizi che ha a disposizione.

Beh, no, lui è convinto eccome, il problema semmai è che quelle che ha in mano non sono prove che possono inequivocabilmente "incastrare" la Franzoni, ma solo indizi. Importanti, certo, ma semplici indizi.

> Anche se nel mio intimo ritengo che sia altamente probabile o plausibile la colpevolezza della madre (madri che uccidono i loro figli non mancano) se dovessi decidere solo in base alle prove prodotte allora avrei seri dubbi.

Certo, anch'io ritengo che sia altamente probabile che sia stata lei (come hai giustamente osservato i casi di figlicidio non mancano), ma in tali casi nella stragrande maggioranza chi ha commesso il crimine o è stato incastrato da prove inconfutabili oppure ha confessato. In questo caso la prova inconfutabile e definitiva non c'è e la Franzoni, oltre a non confessare, continua a ribadire la sua innocenza.

> Tra l'altro nei casi dubbi mi pare che la legge sia a favore dell'imputato proprio per evitare di condannare un possibile innocente.

Come ho detto non sono un avvocato e non conosco i meccanismi giudiziari. Il dimezzamento della pena comminata alla Franzoni ha sicuramente delle solide basi procedurali, come ha spiegato molto bene Romina nel suo blog, ma ritengo che accanto a queste nella decisione finale abbia influito molto il clima di incertezza e del non avere niente di concreto in mano sia da parte dell'accusa che della difesa.

Per quanto riguarda la questione del dare in pasto all'opinione pubblica un colpevole, non so, ci sono stati casi in cui - nonostante il clamore suscitato dalla vicenda giudiziaria - un colpevole non si è mai trovato (vedi ad esempio il caso di Simonetta Cesaroni), anche se questo, ovviamente, è totalmente diverso.

In ogni caso, comunque andrà a finire questa storia, ci sarà sempre un'ombra di dubbio, sia in caso di assoluzione che di condanna.

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