Figli sì o figli no?
Ogni tanto mi capita di imbattermi in discussioni intorno a questo tema: una donna che genera figli è più "completa" di una che, per i più disparati motivi (compreso la scelta volontaria di non volerne avere), non ne genera? Oppure: la vita di una donna che mette al mondo dei figli ha più senso di una che non lo fa?
Il tema è delicato, naturalmente, perché va a toccare la sfera della soggettività, dell'identità, dei valori e anche della visione della vita e del retaggio culturale che è proprio di ogni persona, aspetti sui quali io non mi sogno neppure di mettere becco. In linea generale, ed è abbastanza ovvio che sia così, chi ha figli tende a considerare inconcepibile l'idea che si possa non averne; chi invece non ne ha (qui mi riferisco ovviamente a chi non ne ha per libera scelta) ritiene che la vita abbia comunque perfettamente senso e pari dignità di chi ne ha.
Ammesso che la vita abbia un senso (la questione meriterebbe riflessioni a parte, quindi lascio stare), io tendo a trovarmi in sintonia con chi ritiene che non siano i figli a darglielo, che non sia l'essere madre (o padre, il discorso ha una sua plausibilità anche per gli uomini) a dare alla vita patente di completezza. Il senso che ogni persona dà alla propria vita credo sia definito da ciò che ognuno sente liberamente di voler fare, da ciò che riesce a realizzare, dai comportamenti che decide di attuare come riflesso delle proprie convinzioni e idee.
Alla luce di questo, mi riesce estremamente difficile comprendere perché una vita senza figli non debba avere senso o non possa essere completa, e tendo, correndo naturalmente il rischio di sbagliare, a pensare che questa idea sia niente di più che il lascito di un certo retaggio culturale piuttosto che un'idea fondata su basi razionali. La società odierna è figlia di una cultura storica di stampo patriarcale che ben conosciamo. Uno dei pilastri del fascismo, ad esempio, è stato quello di concedere alla donna una qualche considerazione sociale solo nella misura in cui partoriva prole, e questa idea non è sparita con la fine del fascismo ma, in maniera più o meno latente, è viva ancora oggi.
Si tratta di una visione che continua a essere mantenuta in vita, oggi che il fascismo non c'è più, almeno formalmente, dalla politica e dalla Chiesa, entrambi uniti con una sole voce a deplorare il gravissimo problema della denatalità e della catastrofe incombente come conseguenza, ed entrambi impegnati con solerzia a predicare le gioie insite nel fare figli (se non ricordo male, c'è pure un rituale che vede il papa ricevere e benedire pubblicamente, una volta all'anno, una famiglia numerosa in Vaticano).
Davanti a questo scenario, questi rituali e questa incessante propaganda, tutti volti a sottendere che la vita ha senso solo nella misura in cui si generano figli, è tutto sommato normale che tale idea abbia una vasta diffusione e sia largamente condivisa e accettata, che sia ancora metabolizzata come psiche collettiva, e temo che la strada da fare per uscire da questo modo di pensare sia ancora lunga e impervia.
Il tema è delicato, naturalmente, perché va a toccare la sfera della soggettività, dell'identità, dei valori e anche della visione della vita e del retaggio culturale che è proprio di ogni persona, aspetti sui quali io non mi sogno neppure di mettere becco. In linea generale, ed è abbastanza ovvio che sia così, chi ha figli tende a considerare inconcepibile l'idea che si possa non averne; chi invece non ne ha (qui mi riferisco ovviamente a chi non ne ha per libera scelta) ritiene che la vita abbia comunque perfettamente senso e pari dignità di chi ne ha.
Ammesso che la vita abbia un senso (la questione meriterebbe riflessioni a parte, quindi lascio stare), io tendo a trovarmi in sintonia con chi ritiene che non siano i figli a darglielo, che non sia l'essere madre (o padre, il discorso ha una sua plausibilità anche per gli uomini) a dare alla vita patente di completezza. Il senso che ogni persona dà alla propria vita credo sia definito da ciò che ognuno sente liberamente di voler fare, da ciò che riesce a realizzare, dai comportamenti che decide di attuare come riflesso delle proprie convinzioni e idee.
Alla luce di questo, mi riesce estremamente difficile comprendere perché una vita senza figli non debba avere senso o non possa essere completa, e tendo, correndo naturalmente il rischio di sbagliare, a pensare che questa idea sia niente di più che il lascito di un certo retaggio culturale piuttosto che un'idea fondata su basi razionali. La società odierna è figlia di una cultura storica di stampo patriarcale che ben conosciamo. Uno dei pilastri del fascismo, ad esempio, è stato quello di concedere alla donna una qualche considerazione sociale solo nella misura in cui partoriva prole, e questa idea non è sparita con la fine del fascismo ma, in maniera più o meno latente, è viva ancora oggi.
Si tratta di una visione che continua a essere mantenuta in vita, oggi che il fascismo non c'è più, almeno formalmente, dalla politica e dalla Chiesa, entrambi uniti con una sole voce a deplorare il gravissimo problema della denatalità e della catastrofe incombente come conseguenza, ed entrambi impegnati con solerzia a predicare le gioie insite nel fare figli (se non ricordo male, c'è pure un rituale che vede il papa ricevere e benedire pubblicamente, una volta all'anno, una famiglia numerosa in Vaticano).
Davanti a questo scenario, questi rituali e questa incessante propaganda, tutti volti a sottendere che la vita ha senso solo nella misura in cui si generano figli, è tutto sommato normale che tale idea abbia una vasta diffusione e sia largamente condivisa e accettata, che sia ancora metabolizzata come psiche collettiva, e temo che la strada da fare per uscire da questo modo di pensare sia ancora lunga e impervia.
Commenti
Eravamo giovanissimi, ma ormai convinti di non poter avere figli.
Psicologicamente è stata dura, poiché condividevamo il sogno di diventare genitori e, preciso, ci eravamo sposati apposta.
Difatti, la vita matrimoniale non mi era mai andata troppo giù, quindi sarei rimasta fidanzata a vita se non avessi desiderato dei figli.
Ritengo che ogni donna sia libera di procreare oppure no, e non per questo debba sentirsi inutile o a metà. Va detto, però, che è ben diverso quando il fatto di non farlo sia una decisione personale e quando, invece, la scelta spetti alla Natura.
Ecco, nel secondo caso sarà sicuramente più dura, e non vorrei mai essere nei panni di una donna sterile (o di un uomo).
Mi limito solo a queste due immagini.
Scusate se le linko insieme nonostante non siano minimamente paragonabili come peso e stima ispirata.
https://live.staticflickr.com/65535/51108044935_3263a18bc0_o.png
https://upload.wikimedia.org/wikipedia/it/thumb/6/64/Rita_Levi_Montalcini_alla_Nunziatella_%281990%29.jpg/507px-Rita_Levi_Montalcini_alla_Nunziatella_%281990%29.jpg
Mi limito solo a queste due immagini.
Scusate se le linko insieme nonostante non siano minimamente paragonabili come peso e stima ispirata.
https://live.staticflickr.com/65535/51108044935_3263a18bc0_o.png
https://upload.wikimedia.org/wikipedia/it/thumb/6/64/Rita_Levi_Montalcini_alla_Nunziatella...
Molto belle le due immagini, e soprattutto molto pertinenti ed indicative.
Ciao Maurizio.
Tu e la tua compagna avete liberamente scelto di non averne ed a mio avviso è una scelta che ha la stessa legittimità e dignità di chi decide di averne.
Io non ne ho (e non per scelta), e una volta mi è capitato di sentirmi dire da una persona: un conto è che un tumore venga ad una donna che è mamma 8e che lascerebbe i figli orfani) e un altro è che venga ad una che non ha figli. E' peggio se dei figli vengono privati di una madre, no? Mentre se una non ha figli... insomma è diverso dai! o no??".
Cioè mi ha pure chiesto se fossi d'accordo.
Io - per quanto sia una persona che cerca in tutti i modi di mettersi nei panni altrui, di capire le sofferenze e gli stati d'animo degli altri (questa signora era preoccupata per sua figlia, sulla cui salute gravava, al tempo, il sospetto di un tumore all'utero, che tale non è stato, grazie a Dio) - rimasi comunque abbastanza allibita: si aspettava che dicessi "beh sì effettivamente è più opportuno che venga a me il tumore, che a una povera mamma".
Secondo questa logica, se un male incurabile (ma potremmo estendere sta cosa anche ad incidenti o altro) viene ad una persona che non lascia figli, è un po' meno drammatico che se capiti ad un genitore...
quindi... io come persona valgo meno in quanto non madre?
Per carità, io son la prima che, al sentire una tragica notizia su una persona, esprimo dispiacere con frasi del tipo "... e lascia pure dei figli, poverini, che ora saranno senza madre (o padre)", però mai riterrei che sia un po' più giusto che muoia un individuo piuttosto che un altro.
Non è che se mi ammalo o muoio io, di sicuro in qualche altra parte del mondo non morrà qualcun altro che ha prole. La morte c'è, ahinoi, non è una gara o il frutto di una jattura o di un frega-frega non meglio specificato.
boh io trovo proprio assurdo il ragionamento in sè...
Vorrei poter attribuire questo modo di pensare a "semplice" ignoranza, ma non lo so se è solo quello.
Ci vuole un sacco di pazienza ed autocontrollo per non mandare al diavolo certa gente.
Per il resto, che dire? Se non ricordo male fu Sartre a dire che "la morte è l'assurdo", e per noi umani, così pieni del nostro "io" (io faccio, io dico, io penso, io progetto, io programmo, io, io, io) la morte è veramente il culmine del non-senso, tanto che per lenirla ci siamo inventati di tutto: paradisi, risurrezioni, vite future e quant'altro.
Il ragionamento meglio che colpisca uno che non lascia prole piuttosto che il contrario è umano. Sbagliato e privo di senso, certo, ma connaturato al nostro modo di pensare.
E' disarmante vedere come molti ragionamenti che facciamo sono completamente prigionieri di retaggi culturali.
Quando, invece, la soluzione a tante sventure sarebbe semplice e ce l'abbiamo proprio sotto al naso.
E poi ci sono le istituzioni. Nonostante le chiacchiere, viviamo in uno dei paesi col più alto grado di civiltà e democrazia. Gli enti ci offrono servizi sociali. E, per fortuna, spesso anche le varie chiese sono attive negli aiuti a chi ha bisogno.