Avevo già letto questo concetto da qualche altra parte, ma qui Galimberti lo approfondisce molto bene: il troppo grande annichilisce e porta all'indifferenza. È un concetto che ha a che fare con la nostra psiche.
Più o meno tutti sappiamo che a Gaza siamo di fronte a un genocidio ormai conclamato, un genocidio per la prima volta nella storia trasmesso via social, ma allo stesso tempo siamo coscienti che non possiamo fare niente e io, francamente, credo servano a ben poco le tante e lodevoli iniziative pubbliche di sensibilizzazione verso questa tragedia. Così come sono cosciente che non serve a niente che io e altri quasi ogni giorno scriviamo di questo sulle nostre pagine.
Chi sta portando avanti questo genocidio ha delle motivazioni che sono molto più forti di tutte le iniziative che a livello globale vengono intraprese e non si fermerà davanti a niente. Le uniche armi che potrebbero avere una qualche efficacia sarebbero sanzioni e blocco della vendita di armi a Israele, cose che l'Europa si guarda bene dal fare visto che Israele è nostro partner e amico.
Quindi si va avanti nell'indifferenza, quella psicologica e quella strategica. Fino a quando il genocidio sarà completato e il popolo palestinese non esisterà più.
Buongiorno, secondo me è perché, in questo tempo le notizie corrono troppo velocemente, tra bufale, fake, vere notizie, veri fatti, tutti che dicono la loro...tanto poi chi è altamente sopra di noi, deciderà le sorti di tutti i popoli che siano in guerra o no.
RispondiEliminaSì, c'entra anche il fatto di essere sommersi da un fiume ininterrotto di notizie, tutti i giorni e tutte le ore. La nostra psiche non è strutturata per gestire la velocità ma la lentezza, l'analisi, il pensiero e l'approfondimento. Quando tutto diventa un amalgama ininterrotto di notizie la nostra mente non ce la fa e subentra l'indifferenza.
EliminaBuongiorno.
Andrea, permettimi: il “troppo grande annichilisce” sarà pure un concetto elegante da salotto filosofico, ma qui non siamo a un simposio di Galimberti con calice di vino in mano. Qui si parla di un genocidio, mica di un’opera di Rothko che ti lascia spaesato davanti alla tela rossa. La scusa dell’“indifferenza psicologica” somiglia un po’ troppo a una carezza alla coscienza: “poveri noi, siamo sommersi dalle notizie, la mente non regge, quindi restiamo immobili”. Certo, che comodità: l’orrore diventa un problema di banda larga emotiva, non più un crimine da fermare. E invece no, non funziona così. Se il troppo grande annichilisse davvero, non avremmo mai avuto le piazze del ’68, né le lotte operaie, né i milioni contro la guerra in Iraq. La verità è che oggi non è il “troppo grande” a paralizzare, ma il troppo comodo. Fa meno male raccontarsi che è “la psiche che non regge” piuttosto che ammettere che l’Europa non muove un dito non per impotenza psicologica, ma per complicità economica e militare. Altro che “indifferenza strategica”: qui è business allo stato puro, e se la coscienza pubblica viene narcotizzata non è perché la mente cede, ma perché conviene a chi governa che ceda. Il genocidio a Gaza non è una “questione troppo grande per noi poveri individui”. È un crimine perpetrato con il silenzio-assenso di governi democratici che armano, finanziano, giustificano. Se poi vogliamo continuare a fare filosofia da pianerottolo, accomodiamoci pure: mentre parliamo di psiche annichilita, a Gaza i bambini continuano a morire.
RispondiEliminaAndrea, qui nessuno è a "un simposio di Galimberti". Molto semplicemente, riguardo all'indifferenza verso questa tragedia ognuno tenta di dare una sua spiegazione. Galimberti, da psicoterapeuta, ne fornisce una di tipo psicologico. Tutto qua. Non è una scusa né una giustificazione, è un tentativo di spiegazione che si somma agli altri tentativi.
EliminaNon pensavo servisse precisarlo, sinceramente.
Andrea, capisco bene: non era un simposio di Galimberti, e nemmeno un seminario di Lacan. Solo che vedi, il problema è proprio questo: la tragedia reale finisce compressa in una nota a piè di pagina, archiviata come “spiegazione psicologica”. Così l’orrore diventa psicanalisi da salotto, e l’indifferenza si fa quasi legittima, perché “eh, è la mente umana che reagisce così”. Un po’ come dire che davanti a un incendio l’importante non è l’acqua, ma la teoria sulle fiamme.
EliminaPerdonami se la trovo una consolazione da talk show: elegante, ordinata, ma del tutto innocua.
Io non la vedo così, ma tu sei liberissimo di vederla come credi.
EliminaAndrea, io credo che ormai non si tratti più di convincere nessuno. È come stare davanti a una tela: ognuno vede colori e forme che un altro non coglie, ed è inutile discutere su quale sia la "vera" immagine. Forse il problema nasce quando si pretende che tutti debbano riconoscere lo stesso dettaglio, come se esistesse una chiave universale. Io guardo e vedo una crepa, tu magari un riflesso di luce: entrambe le visioni sono lì, nella stessa tela. Solo che, alla fine, non è l’occhio a ingannare ma la nostra illusione di poter imporre un unico sguardo.
EliminaVa di moda il ciuccio per adulti. Non è una barzelletta, è la fotografia perfetta della specie umana nel 2025: regressa, pacificata, pronta a essere spupazzata dal sistema. Non serve più reprimere, non serve più manganellare: basta offrire un surrogato, un giocattolo, un calmante travestito da moda, e il popolo si acquieta. Una volta si parlava di oppio dei popoli, oggi basterebbe dire “ciuccio dei popoli”.
RispondiEliminaIl sistema lo sa benissimo: l’essere umano ha limiti stretti, e se li accarezzi con qualche gesto infantile si consegna spontaneamente. Non reagisce più, non resiste più, si culla da solo. Così il potere non ha nemici: ha adulti con il ciuccio, che pensano di essere “ribelli” solo perché hanno scelto un colore fluorescente.
Siccome io sono una mente semplice, poco avvezza alla complessità, mi potresti tradurre in termini mangiabili il senso di questo commento? E, soprattutto, mi potresti indicare il nesso del suddetto commento col contenuto del mio post? Perché davvero fatico a vederlo.
EliminaGalimberti ha dato una spiegazione di tipo psicologico dell'indifferenza generalizzata nei confronti di questa tragedia. E l'ha fatto, tra l'altro, non aggiungendo niente di nuovo a quanto già assodato dalle neuroscienze. Che l'eccesso di informazioni generi nella psiche umana indifferenza e psicoapatia l'avevano già scritto Steven Pinker in Come funziona la mente, Giorgio Vallortigara e Telmo Pievani in Nati per credere e tanti altri. Galimberti non ha fatto altro che ribadire quanto già assodato dalle neuroscienze. È semplicemente una chiave di lettura psicologica dell'indifferenza verso il genocidio dei palestinesi, che può essere estesa alla strage continua di migranti nel Mediterraneo o a qualsiasi altra tragedia del nostro tempo.
Permettimi, ma temo che tu faccia confusione tra i concetti di spiegazione e giustificazione. Galimberti non ha giustificato un bel niente, ha semplicemente offerto una spiegazione. Non doveva farlo? Ha sbagliato qualcosa?
Tornando quindi alla premessa, mi potresti spiegare il senso del tuo commento precedente e la sua attinenza col mio post? In termini semplici, se puoi, in modo che io e forse qualche altro lettore del mio blog, un blog per la maggior parte frequentato da menti semplici, possiamo capire.
Grazie.
Mi mancava il sale grosso per salare le melanzane. Mi credi che col fino rovino sempre la pietanza. Allora ritorniamo a noi Andrea, provo a mettere tutto in termini “mangiabili” per menti semplici come le nostre 😏
EliminaGalimberti spiega benissimo perché l’indifferenza dilaga: eccesso di notizie, tragedie continue, immagini che si susseguono senza tregua. Tutto chiaro, perfetto, elegante. Bravissimo. Ma qui arriva il punto: spiegare non cambia nulla. Noi sappiamo, comprendiamo, analizziamo… e intanto il sistema ride sotto i baffi. Sa che la nostra psicoapatia è la sua migliore alleata. Possiamo leggere mille libri di neuroscienze, ma il tetto della nostra casa lo porta via comunque il vento. La tragedia resta, l’inerzia pure, e la macchina del potere va avanti indisturbata. In termini “semplici, semplici”: Galimberti ci spiega perché restiamo indifferenti, io dico che resta irrimediabile, e intanto tutto il resto continua come se nulla fosse. Non è giustificazione, non è colpa, è pura constatazione. E se vogliamo essere onesti, non c’è ciuccio per adulti o meditazione da blog che tenga: siamo vittime e spettatori, e lo spettacolo va avanti.
Ok, fin qui è tutto chiaro. Che la macchina del potere andasse avanti indisturbata e che noi siamo mere pedine, generalmente inconsapevoli, del sistema sono cose che su questo blog scrivo da circa vent'anni. Qualche post fa ho addirittura citato un libro di Ilaria Bifarini che tratta proprio i temi del capitalismo e della manipolazione di massa (ti invito a leggerlo, è interessantissimo).
EliminaQuello che non capisco è cosa c'entri questo con una spiegazione psicologica dell'indifferenza. Mica ho riportato quella spiegazione con la speranza di cambiare le cose (non sono ingenuo fino a questo punto). L'ho riportata perché mi sembrava una chiave di lettura interessante tra le tante. Tutto qua. Nessun fine salvifico e nessun altro fine. Prendila se vuoi come una mera curiosità scientifica.
Ah, perfetto, quindi siamo solo osservatori curiosi del grande circo del potere… con tanto di biglietto da fila d’ingresso. Capito!
EliminaHai qualche idea su come sia possibile cambiare questa situazione? Un'idea fattibile, intendo, compatibile con l'essere circondati da una popolazione i cui interessi primari sono il calcio e Sanremo. Se ce l'hai, prego, sei il benvenuto.
EliminaCambiare le cose non richiede proclami… rivoluzioni spettacolari… o applausi da salotto… Serve concretezza… pazienza… lucidità… Come ho scritto su Pornodidattica… il percorso è chiaro e praticabile… Prima di tutto bisogna conoscere e capire… decifrare la realtà… smascherare la manipolazione di massa… senza farsi distrarre da chi urla o spettacolarizza… Poi isolare la menzogna dalla verità… distinguere ciò che serve a distrarci da ciò che è reale, documentato e verificabile… Quindi creare reti di consapevolezza… non convincere tutti… ma connettere chi è pronto a ragionare… a condividere… a moltiplicare l’informazione critica… Agire localmente… ma con visione globale… con piccoli interventi concreti sul territorio… capaci di riverberarsi oltre i confini… Resistere all’indifferenza… perché il sistema si nutre di distrazione… superficialità… e abitudini passeggere… Nessuna epica… nessuna illusione… è un lavoro di artigianato mentale e civile… paziente… costante… che erode il muro dell’indifferenza… E funziona… Anche in mezzo a una massa distratta da calcio… Sanremo… e mode passeggere… Chi ha occhi per vedere… e gambe per muoversi… sa dove iniziare… Il resto… per chi non vuole vedere… rimane comodo come sempre…
EliminaComunque, se si vuole capire davvero cosa fare, basta dare un’occhiata a quanto scritto sul blog Pornodidattica un paio di mesi fa, anche tre: lì ho elencato, passo dopo passo, tutti i punti necessari per muoversi concretamente. Non è teoria da salotto o indignazione social: è un percorso strutturato, chiaro e fattibile. Chi ha voglia di informarsi può prenderne visione e capire come agire, senza dover reinventare la ruota ogni volta.
RispondiEliminaHai detto bene: chi ha voglia di informarsi. A me piace il tuo ottimismo, vorrei averlo anch'io ma non ce l'ho. Un cambio di rotta lo può fare un paese giovane, dinamico, vivo, arrabbiato. Le rivoluzioni le fanno i paesi in cui ci sono i giovani, non i vecchi. Non lo potrà mai fare un paese come il nostro che ha l'età media più alta del mondo, ancora un discreto benessere e che ancora si adagia sui rimasugli del boom; un paese che non legge, non si informa e che ha come memoria storica ciò con cui si è cenato ieri sera e come obiettivo primario l'apericena. Non siamo più un paese da rivoluzioni, noi, e temo che se anche i pochi volenterosi si coalizzassero nella rete di cui parli per cambiare le cose, non caverebbero un ragno dal buco. Mi piacerebbe essere smentito, hai voglia se mi piacerebbe, ma non vedo alcun segnale che autorizzi ottimismo in questo senso.
Elimina
EliminaLa politica e gli scenari catastrofici… che passatempo inutile, vero? No, anzi: è il nostro divertissement preferito, quello che il popolo dell’apericena scrolla senza capire nulla, mentre noi annotiamo tutto. Perché qualcuno deve pur vedere chi muove le pedine e chi fa finta di dormire tra un cocktail e un like. Vediamo la scena: prezzi dell’energia che volano alle stelle, ma il popolo pensa solo a “quanto costa il prossimo spritz?”; guerre in Ucraina o Yemen che fanno esplodere bollette e inflazione, mentre la gente discute su chi ha sbagliato a fare la carbonara; ministri che firmano protocolli senza rendersi conto che milioni di persone potrebbero subire effetti collaterali, ma l’apericena continua imperterrita; i grandi media che spingono bufale su bufale, ma nessuno cambia canale perché “tanto c’è Sanremo tra poco”.
Scrivere di politica e geopolitica serve a ricordare a chi non dorme tra un aperitivo e un post su Instagram che il mondo non si ferma, che le pedine muovono, che i giochi sono fatti da altri mentre noi ci limitiamo a fare selfie e storie. Serve a tenere accesa la scintilla della consapevolezza, anche se il resto della nazione continua a scivolare in modalità zombie: scroll, like, chiacchiere da bar, zero memoria storica. Chi scrive non cerca applausi, né ottimismo da Instagram. Scrivere serve a chi vuole capire prima che il sistema decida tutto al posto suo, a chi vuole avere strumenti per agire quando tutti gli altri continueranno a misurare la vita in calorie e follower. E se il popolo dell’apericena ride e scrolla? Bene: almeno qualcuno sta già prendendo appunti per il giorno in cui dovremo contare sulle nostre gambe e non su meme e cori da stadio.
Tutto bellissimo. Peccato che quelli che non dormono tra un'apericena e un post su Instagram al momento non sembrano fare la differenza rispetto al resto. E qui non si tratta di pessimismo ma di realismo.
RispondiEliminaSe fosse davvero solo “realismo”, caro Andrea, allora Marx non avrebbe scritto una riga, Rosa Parks si sarebbe alzata dall’autobus, Gandhi avrebbe smesso di camminare a piedi nudi, i partigiani avrebbero atteso l’arrivo degli americani, Mandela avrebbe scontato la pena in silenzio e basta. La verità è che ogni “realista” del loro tempo li considerava irrilevanti, pittoreschi, voci che non avrebbero mai spostato nulla. E invece i mutamenti si fanno proprio con quei pochi che “non dormono”, anche quando sembrano granelli di sabbia in mezzo al deserto. Il “realismo” di oggi è sempre stato il sonnifero del passato: serve a legittimare la rassegnazione. Dire che i pochi non fanno differenza è la forma più comoda di autoassoluzione: si rinuncia in partenza, si accetta lo status quo, e ci si racconta che “così va il mondo”. Ma senza quei pochi, la storia sarebbe rimasta ferma al medioevo. Insomma: se i pochi che non dormono oggi non contano, è solo perché troppi, attorno, preferiscono continuare a russare.
EliminaPuò darsi. Ma mica realismo è sinonimo di acquiescenza.
RispondiEliminaRealismo non è acquiescenza, dici. Giusto. Ma sai qual è il problema? Che in Italia il confine tra i due è talmente sottile che spesso ci si scivola dentro senza nemmeno accorgersene. È un po’ come quando uno dice: “non vado a votare perché tanto non cambia niente”… ecco, in quel momento ha già consegnato le chiavi di casa al primo cialtrone di turno.
EliminaIl vero realismo è sapere che il sistema è marcio ma, invece di limitarsi a prenderne atto, continuare a graffiarlo, a sporcarne la vetrina. Anche solo per fastidio, anche solo per lasciare un segno. Perché se il realismo diventa contemplazione del disastro da bordo campo, allora sì che è acquiescenza. E non cambia nulla che lo si chiami col suo nome o con un sinonimo più elegante.
Vero, ma per graffiarlo occorre fare una cosa che la stragrande maggioranza degli italiani, per vari motivi, non ha alcun interesse a fare: alzarsi dalla poltrona. Da qui il mio pessimismo.
EliminaAltro che poltrona: quando gli italiani decidono di alzarsi, anche solo in pochi, il palazzo trema. Nel ’92 bastò il popolo di “Mani Pulite” a spazzare via una classe politica intera. Nel 2011, due referendum portarono milioni di persone alle urne e cancellarono in un colpo il nucleare e l’acqua privatizzata. Nel 2018, una generazione di studenti portò in piazza lo sciopero globale per il clima: erano liceali, non veterani della politica, eppure costrinsero persino i telegiornali a parlarne. Il vero problema, quindi, non è che nessuno si alzi: è che ci hanno convinti che alzarsi non serva. Ma la storia dice il contrario: ogni volta che ci si alza in massa, il sistema scricchiola eccome. Pessimismo? No, semmai paura di chi ha tutto da perdere se ci alziamo davvero.
EliminaTutto bello, ma un conto sono le fiammate, un altro gli effetti. Mani Pulite spazzò via una classe politica, ma poi? Ti sembra che la situazione di oggi sia tanto diversa da quella pre-'92? A me no. Anche il nucleare sta piano piano rientrando dalla finestra. E come dimenticare poi il plebiscitario referendum per l'abolizione del finanziamento pubblico ai partiti? Risultato: rientrato dalla finestra sotto forma di rimborsi elettorali.
RispondiEliminaIl clima? Bellissime ed encomiabili le proteste. Effetti una volta sopito tutto? Nulli. La situazione climatica globale sta sempre più peggiorando, come indicano tutte le rilevazioni. E si potrebbe continuare.
Se ci alziamo davvero non cambierà niente, come empiricamente si è dimostrato finora. Con l'idealismo fine a se stesso purtroppo si va poco lontano, servirebbe una rivoluzione, ma tu non vuoi accettare il fatto che questo paese le rivoluzioni non le farà più.
Andrea, capisco la linea, ma ridurre tutto a “nulla cambia” è troppo comodo. Mani Pulite non ha certo generato la rivoluzione etica, ma ha fatto saltare in aria un intero sistema politico e ha spalancato le porte a un imprenditore televisivo che senza quel terremoto non avrebbe mai messo piede a Palazzo Chigi. Ti sembra poco? Il referendum sul finanziamento pubblico? È vero, rientrato sotto forma di rimborsi, ma nel frattempo ha inciso sui bilanci dei partiti e ha alimentato la stagione dell’antipolitica che ci ha portato fino al “vaffa day”. Anche quello non è “cambiamento”?
EliminaIl nucleare torna? Sì, ma dopo trent’anni persi e intanto abbiamo bruciato carbone e gas a palate. Pure lì, non è come se non fosse accaduto nulla: è accaduto, ma in modo storto, distorto, inefficiente.
Sul clima hai ragione, le proteste non hanno fermato il collasso. Però non puoi negare che hanno cambiato la sensibilità di milioni di persone, obbligato governi e aziende a inserire parole come “green”, “sostenibilità” e “transizione” in ogni programma politico ed economico. Certo, a volte è solo fuffa, ma dire che non ha avuto effetti significa chiudere gli occhi. Insomma: ogni volta che qualcuno “si alza dalla poltrona” non otteniamo il paradiso, ma otteniamo comunque uno spostamento di equilibri, spesso storti, spesso imperfetti, ma reali. Dire “serve una rivoluzione” è troppo facile: la storia insegna che le rivoluzioni non si fanno a comando, ma arrivano quando meno te lo aspetti. E questo Paese, che tu dai per rassegnato, ne ha già viste parecchie.
Chiudo...notte!
Dire che non ha avuto effetti è realismo, non è chiudere gli occhi. E questo paese è ormai antropologicamente refrattario alle rivoluzioni. Anche questo è realismo. È un dato di fatto.
RispondiEliminaNotte.
😳 "L'esercito delle 12 scimmie"...
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