La questione del riarmo europeo e più in generale dell'eterna diatriba che sulla guerra russo-ucraina oppone i favorevoli al negoziato ai bellicisti sta lasciando sui social, e presumo anche fuori, una lunga scia di morti e feriti. Persone che si bannano a vicenda, che si insultano, che scoprono con dolore misto a costernazione che l'amico che si credeva la pensasse allo stesso modo in realtà sta dall'altra parte. Le fazioni in lotta rispecchiano su tastiera ciò che avviene sul campo.
Questa cosa ha dello stupefacente. Sembra di essere tornati alle "guerre" tra favorevoli e contrari alle restrizioni in tempo di pandemia. Le discussioni non vertono più, o raramente lo fanno, su una pacata e obiettiva analisi delle ragioni degli uni e degli altri. Pochi cercano di valutare obiettivamente le reciproche argomentazioni in un'ottica di altrettanto reciproco arricchimento. Nessuno è disposto ad ammettere che non esiste chi ha completamente ragione e chi completamente torto ma ci sono gradazioni e sfumature. Si "combatte" per fazioni e ogni fazione è convinta di essere nel giusto.
Viene in mente Telmo Pievani quando scriveva che noi esseri umani siamo sì riusciti ad andare nello spazio ma ci muoviamo sul web (e anche fuori) come quelle creature antropomorfe nostre antiche antenate, che vivevano esclusivamente in gruppetti di poche decine di persone in perenne conflitto tra loro. Viviamo in un mondo ipertecnologico, in teoria dovremmo esserci evoluti, ma ci muoviamo sul web e fuori con le stesse dinamiche psicologico-sociali dei nostri antichi antenati.
L'argomento sarebbe complesso e sfaccettato ma personalmente ritengo che una grossa responsabilità dell'abbrutimento, anzi dell'annullamento, del dialogo fra persone, spesso amici e talvolta parenti, sia proprio dovuto alle reti sociali.
RispondiEliminaPer poter profilare i propri utenti (da vendere poi agli inserzionisti pubblicitari) conviene dividerli per categorie nette e inequivocabili: il "mi piace" ha proprio questo scopo. A sua volta questo comporta una polarizzazione ed estremizzazione del pensiero: le persone sopravvalutano il numero di persone che la pensano come loro (dato che non vi è il tasto "non mi piace") e via via diventano sempre più "normali" le posizioni più "estreme".
Poi il pesce inizia a puzzare dalla testa: e la politica ha le sue responsabilità l'avversario politico non è più una persona che la pensa diversamente ma il male incarnato che attrae malvagi, stupi e ignoranti. Le sue idee sono immorali e non c'è niente di cui discutere perché col male non si deve scendere a compromessi. Questo atteggiamento è stato poi ripreso dai media tradizionali che hanno quindi abituato i propri utenti a giudicare non più sulla base di corretto/sbagliato ma male/bene; il giudizio morale, talvolta ipocrita, ha ora la priorità sul giudizio logico.
Vabbè, come premesso l'argomento sarebbe complesso....
L'argomento è complesso, certo, impossibile sviscerato qui. D'altra parte chi ha provato a sviscerarlo ha dovuto scriverci dei libri. Penso ad esempio a Nati per credere, di Telmo Pievani, o a Come funziona la mente, di Steven Pinker e ad altri.
EliminaIn generale, comunque, le dinamiche con cui oggi ci muoviamo nel web rispecchiano le antiche dinamiche tribali dei nostri antichi antenati. Rispetto a loro noi avremmo in teoria la cultura, che dovrebbe emanciparsi dalle conflittualità, ma campa cavallo.