sabato 29 agosto 2020

Non si consuma? Crolla tutto





Ho appena terminato il saggio Un mondo senza rifiuti? Viaggio nell'economia circolare, dell'economista Antonio Massarutto. Un libro estremamente istruttivo ma allo stesso tempo abbastanza inquietante e capace di suscitare più di una riflessione. Una di queste nasce dall'ormai noto fenomeno produttivo denominato obsolescenza programmata, descritto molto bene negli estratti che leggete qui sopra, ossia la pratica di costruire gli oggetti di consumo che utilizziamo ogni giorno in modo che si usurino o si danneggino il prima possibile, cosicché si sia costretti a sostituirli con altri. Perché è in uso ormai da molti anni questa pratica? Perché la nostra società è basata sui consumi, sopravvive e non collassa solo se si consuma, perché il calo dei consumi significa calo della produzione, calo della produzione significa calo dell'occupazione, calo dell'occupazione significa povertà (ho sintetizzato brutalmente per chiarire il meccanismo).

Questo meccanismo, descritto da Massarutto, è stato raccontato altrettanto bene da Umberto Galimberti in un suo bellissimo libro, di cui consiglio la lettura, chiamato I miti del nostro tempo. Qui, il noto filosofo, si spinge in considerazioni che vanno oltre la mera descrizione del fenomeno e abbracciano riflessioni di tipo più sociale e filosofico. In quanti, ad esempio, si sono mai interrogati relativamente al modo in cui abbiamo costruito e impostato la nostra società? È possibile che una società stia in piedi solo se consuma e che crolli se smette di farlo? Viene da pensare che questo modello non abbia basi e fondamenta molto solide. Una prova di questa fragilità l'abbiamo avuta ad esempio col lockdown di marzo e aprile: due mesi di chiusura della maggior parte delle attività ed ecco che milioni di persone si sono trovate dall'oggi al domani senza mezzi di sussistenza col rischio di precipitare nel baratro della povertà, perché il crollo dei consumi significa crollo dei mezzi di sussistenza.

Ecco allora l'importanza dell'obsolescenza programmata, una strategia per cui la fine delle cose diventa il fine per cui vengono costruite, in una sorta di circuito schizofrenico-nichilistico da cui non si esce e pensato per fare in modo che gli oggetti vengano il più velocemente possibile sostituiti da altri nuovi e la catena in cui siamo imprigionati (consumo = produzione = occupazione) non abbia a interrompersi, pena il crollo del nostro sfavillante castello. Naturalmente non è che da questo meccanismo è ormai possibile uscire, neanche a pensarci, chi lo pensa è un illuso; ci siamo dentro, abbiamo plasmato su di esso il nostro vivere e ce lo teniamo. Ciò che magari può essere utile sapere è che non è un meccanismo ineluttabile piovuto dal cielo o che ci è stato imposto da qualche entità superiore, no, ce lo siamo scelto noi, l'abbiamo costruito noi, per circa un secolo ne sono state pure decantate le lodi dai profeti del capitalismo, e ora ce lo teniamo, con tutte le sue pericolose e inquietanti fragilità.

7 commenti:

  1. Ricordo che questa cosa dell'obsolescenza programmata me la disse molti anni fa mio nipote che si occupava della manutenzione dei computer nella ditta dove lavorava: sembra che abbiano dentro un timer, diceva, non appena scade la garanzia si rompono. E ricordo quanto questa cosa mi fece imestialire. Ma niente, la nostra economia si fonda ormai in larga parte su questo, è una vera tristezza (e anche qualcosa che trovo in certa misura immorale).

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    1. Triste sono d'accordo. Immorale non so, viviamo ormai in un'epoca in cui la linea che separa l'immoralità dall'immoralità non è così netta.

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    2. L'immoralità dalla moralità, volevo dire.

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  2. Hai fatto bene a scrivere questo post. Il problema di cui parli è reale e serio. Mi hai fatto pensare a quanto ci stiamo abituando al fatto che le cose non hanno una durata lunga nel tempo. Secondo me ci siamo dentro completamente: vorremmo relazioni che funzionino bene per tutta la vita, ma le rompiamo con troppa facilità, vorremmo governi che durassero una legislatura almeno, ma li rompiamo prima... Insomma secondo me sul tema della nostra nostalgia per la durata di qualcosa si potrebbe ragionare a 360°.

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    1. Sì, ci stiamo abituando al fatto che le cose (materiali e immateriali) non durano nel tempo anche perché oggi non viviamo più nel tempo inteso come lo intendevamo i nostri genitori e i nostri nonni, coi suoi ritmi, i suoi rituali, i suoi tempi per riflettere; oggi viviamo nella velocizzazione del tempo, con ciò che questo comporta a 360° gradi, come dici tu.

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