sabato 9 settembre 2017

Il papa in Colombia

I papi girano, si sa, da quando poi i fratelli Wright hanno fatto dono all'umanità della loro invenzione, si può addirittura ipotizzare che passino più tempo in cielo che in terra, che come immagine non è neppure male considerando appunto di chi si sta parlando. Ma io, nella mia ben nota incapacità di capire, mi chiedo sempre a cosa serva. Stavolta è in Colombia, e il copione bene o male è sempre il medesimo messo in scena in tutti gli altri posti in cui è stato e in tutti quelli in cui andrà, che si può genericamente riassumere in una accorata stigmatizzazione dei mali che affliggono la località di turno - in genere sono sempre gli stessi: corruzione, ingiustizia sociale, povertà ecc., a dimostrazione della fondatezza del noto detto secondo cui tutto il mondo è paese.

C'è sicuramente il valore della testimonianza, certo, c'è l'importantissimo segnale di una chiesa che si schiera dalla parte delle vittime dei mali di cui sopra, che è giustissimo, ci mancherebbe, e poi? Concretamente, i viaggi dei papi cosa risolvono? Niente, mi pare. Abbiamo forse testimonianze di miglioramenti o cambi di marcia dell'andazzo generale nei paesi visitati in questi decenni dai papi? È cambiato qualcosa in Africa? È cambiato qualcosa in Sicilia dopo gli strali con cui - ricorderete - Wojtyla cercò di intimidire la mafia, intimando ai mafiosi di convertirsi pena la tradotta all'inferno? Non mi pare. Però c'è in tutto questo viaggiare molta scena, molta teatralità, molta ritualità, e forse è più che sufficiente.

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