Il Gabibbo è morto qualche giorno fa, più o meno nell'indifferenza generale. In realtà si chiamava Andrea - il cognome non lo ricordo - Gabibbo era solo una specie di soprannome affibbiatogli dalla gente del paese, ed era un ragazzo disadattato, abbandonato dai genitori subito dopo la nascita, che ha trascorso i suoi trenta e rotti anni in una comunità protetta qui poco distante da casa mia.
Era molto grasso, condizione maturata dal non avere probabilmente avuto nessuno che gli abbia insegnato le basi di una alimentazione decente. Alcuni lo ritenevano un po' svitato, altri no, semplicemente uno abbandonato a se stesso.
Lo vedevo spessissimo attendere l'autobus alla fermata di fronte a casa mia. A volte per andare su verso Montebello e a volte per andare giù verso Santarcangelo o forse Rimini. Sgranocchiava sempre qualcosa e con sé aveva sempre una borsa di plastica con chissà cosa dentro. A volte pure io gli davo uno strappo quando lo incontravo a Santarcangelo che faceva l'autostop.
Era un rompipalle, certo, spesso invadente, un rompipalle invadente, ma di animo buono, dolce perfino, e quell'invadenza era solo generata dal quasi mai corrisposto desiderio di poter parlare con qualcuno, perché se non si ha mai nessuno con cui parlare si può pure morire. Dicono che sia morto di infarto, oppure diabete, vista la sua obesità, ma sono chiacchiere. Sui manifesti c'è scritto solo che se n'è andato. Forse è morto appunto perché non aveva mai nessuno con cui parlare.
Mi sei venuto in mente, Andrea, quando stamattina ho aperto la finestra e alla fermata del bus non c'era nessuno.
domenica 26 febbraio 2017
Andrea
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