domenica 10 luglio 2022

Ipocognizione

Sto leggendo Passeggeri notturni, una raccolta di racconti brevi, scritti vari e riflessioni di Gianrico Carofiglio. In uno di questi scritti si parla di ipocognizione, un termine a me fino a oggi ignoto con cui si indica la situazione di chi non possiede le parole necessarie per gestire la propria vita interiore e i rapporti con gli altri. Il termine fu coniato da Robert Levy, antropologo e psicoterapeuta che negli anni Cinquanta condusse degli studi per cercare di capire le cause dell'elevatissimo numero di suicidi che si registravano in quel periodo a Tahiti. 

Levy scoprì che la causa principale di quei suicidi risiedeva nel fatto che i tahitiani non erano in possesso delle parole per definire ciò di cui soffrivano, e in situazioni di sofferenza molto intensa una mancanza dei termini con cui definirla può condurre al gesto estremo. 

Scrive Carofiglio: "Racconto spesso questo impressionante aneddoto perché mi sembra faccia comprendere, molto più di un lungo discorso, quale sia l'importanza pratica - direi quasi materiale - delle parole. Queste infatti - le parole che sentiamo, leggiamo, usiamo - hanno un effetto sostanziale e profondo sulla nostra percezione prima ancora che sulla nostra rappresentazione della realtà.
Immaginiamo di avere fatto un'esperienza spiacevole - un litigio, un incidente stradale, un insuccesso professionale - e pensiamo ai vari modi in cui potremmo descrivere lo stato d'animo che ne è derivato. Se dicessimo di essere pazzi di rabbia sentiremmo tensione al collo e alle mascelle, stringeremmo i pugni, saremmo pronti a gesti scomposti. Se dicessimo di essere arrabbiati avvertiremmo tensione emotiva ma saremmo in grado di dominarci e di evitare azioni di cui potremmo in seguito pentirci. Se dicessimo semplicemente di essere seccati saremmo pronti a reagire in modo razionale all'infortunio, scegliendo le soluzioni più adeguate. Soprattutto saremmo pronti a uscire presto dall'esperienza negativa per tornare a una situazione di benessere emotivo.
Le parole che utilizziamo possono avere un impatto straordinario non solo sulle nostre vite individuali, ma anche su quelle collettive. Le parole creano la realtà, fanno - e disfano - le cose; sono spesso atti di cui bisogna prevedere e fronteggiare le conseguenze."

Questa interessante analisi sull'importanza delle parole, del loro uso, della loro conoscenza e capacità di padroneggiarle mi ha fatto venire in mente un concetto - credo sia di Heidegger - che ama ribadire con insistenza Umberto Galimberti, e cioè che il linguaggio non è, come spesso si crede, un mezzo per esprimere i pensieri, ma è la condizione indispensabile per poter pensare. Io non posso pensare a qualcosa se non ho le parole per definire questo qualcosa. Non posso pensare a un tramonto, ad esempio, se non ho la parola tramonto. E la povertà di pensiero oggi così diffusa è molto probabilmente figlia di questa generalizzata povertà di linguaggio.

2 commenti:

  1. Ci metterei dentro anche la tendenza all'eccessiva semplificazione... chissà chi è figlia di chi. 🤔

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