venerdì 14 maggio 2021

Perché vengono?

Ieri notte, a fine turno, chiacchieravo con alcuni colleghi (sì, sì, lo so, devo smettere di farlo) e si parlava della notevole ripresa degli sbarchi di persone di questo ultimo periodo. Uno di questi colleghi, che abita in un piccolo paesino in collina qua attorno, si lamentava del fatto che da qualche tempo queste persone hanno cominciato a spuntare anche lì dove abita lui, dove fino ad ora non si erano mai viste, e si chiedeva quale potrebbe essere la soluzione per arginare il fenomeno, visto che tutte quelle messe in campo finora (comprese le pagliacciate delle navi bloccate al largo da Salvini) non hanno funzionato.

Nel mio piccolo, ho provato a spiegargli che il problema, ammesso che di problema si tratti, non ha soluzione. Semplicemente, non ha soluzione. Perché la storia insegna che da che mondo è mondo la gente si è sempre spostata per tutto il globo terracqueo (e noi italiani in questo non abbiamo niente da imparare da nessuno, nemmeno oggi), e quando questi spostamenti avvengono perché l'alternativa è morire di fame o guerra nel posto in cui si nasce, figurarsi. 

Umberto Eco, più vent'anni fa, quando già si vedevano i prodromi di quanto sarebbe avvenuto, aveva perfettamente descritto la situazione che è sotto gli occhi di tutti, e oggi è parere della maggior parte degli studiosi che questo fenomeno, che noi ci illudiamo pateticamente di limitare costruendo muri e bloccando navi, si protrarrà almeno per i prossimi cinquanta o sessant'anni, quando l'Europa sarà nella sua interezza di fatto un meticciato (lo è già oggi, anche se pochi vogliono ammetterlo).

La domanda da farsi, invece di pensare a soluzioni per arginare un fenomeno inarginabile, sarebbe sulle cause che hanno prodotto questa situazione e, domanda ancora più intelligente, sarebbe come riuscire a convivere con questo epocale fenomeno e come gestirlo senza farsi troppo male. Ma sono domande su cui si tende a glissare, perché le risposte in genere risultano abbastanza scomode.

12 commenti:

  1. Ciao Andrea, cerco di darti un piccolo di mia vita quotidiana su questo tema. Sono nato e cresciuto a una ventina di chilometri dal confine svizzero e per la mia famiglia è sempre stato abituale andarci per far benzina ma anche per fare un giro fra le montagne e ho sempre respirato questo scontro/incontro coi ticinesi che sono di lingua italiana ma che quando parlano di italiani utilizzano il termine dispregiativo "itaglian". C'entra il fatto dei frontalieri e molto altro (c'è sicuramente la questione del dumping salariale visto che fra stipendi italiani e svizzeri c'è un abisso e quelli ticinesi sono i piu' bassi della Svizzera ma sempre vantaggiosissimi per i 70mila italiani che varcano ogni giorno la frontiera). Adesso che sto in Ticino quasi sempre sto vivendo una situazione paradossale, sono straniero in un cantone che parla italiano e pienissimo di "stranieri" scappati da guerre o solo in cerca di un futuro migliore. Lavoro quasi solo con persone che non hanno la cittadinanza svizzera e nel mio gigantesco palazzo risuonano una valanga di lingue straniere, dal tamil all'etiope, dal dialetto pugliese al croato ma resto sempre sbigottito quando gli italiani del palazzo che sono nati qui e figli di emigrati sono dannatamente razzisti coi cittadini delle altre nazionalità che sono i nuovi arrivati per non parlare, e lo vivo costantemente sul lavoro, fra le lotte fratricide fra le varie nazionalità. Per dirti che i portoghesi vengono considerati i leccapiedi perfetti: il lavoratore che non si lamenta mai e sta sempre al suo posto. Gli italiani godono di brutta fama tranne quando poi vanno oltreconfine per far spesa e sfruttare i bassi prezzi.
    Personalmente, nella mia esperienza, sono molto colpito da come i cittadini provenienti dalle regioni del sud italia che sono emigrati qui da tanto tempo sono veramente insofferenti verso gli altri immigrati... faccio una fatica terribile a parlare con loro.
    Faccio un lavoro umile, e anche la mia compagna, e viviamo costantemente questa situazione. Ma adesso la mia compagna ha la possibilità di prendere la cittadinanza svizzera, anche se bisogna studiare tanto, mostrare garanzie e pagare un po' di soldi.
    Credo pero' che oggi come oggi riusciremmo a tornare in Italia solo trasferendoci in grandi città come Milano o Torino o in metropoli dove si vive quotidianamente questo incontro fra lingue, suoni diversi.

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    1. Capisco perfettamente il tuo stupore di fronte a cittadini provenienti dal sud Italia che si mostrano insofferenti verso gli immigrati. Convivo con questa cosa ogni giorno nell'azienda dove lavoro.
      Nel post, ad esempio, ho omesso di dire che due dei miei colleghi con cui parlavo ieri sera non sono qui della Romagna. Uno viene dal sud e l'altro addirittura dall'Albania, entrambi emigrati qui per mancanza di prospettive nei rispettivi luoghi di provenienza.
      Cosa aggiungere? Di fronte a tanta miopia rimango spesso basito anche io.
      Ciao, Andrea.

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  2. Hai ragione.. devi smettere di farlo.. ;)
    (chissà che potrebbero dirti su Israele..)

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  3. Io credo che quando si emanciperanno le donne di quei paesi da cui si fugge, quando andranno a scuola invece di iniziare a fare bambini in età precoce, forse verrà meno gente anche da noi.
    Gli stranieri che vengono in Italia fanno comodo a chi li paga poco, a chi li sfrutta e vanno a gravitare sul welfare che paghiamo tutti.

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  4. Non condivido il tuo commento per una serie di motivi. Innanzitutto mi sembra difficile parlare di emancipazione femminile in realtà geografiche dove non c'è nulla. Non so se ti è mai capitato di vedere documentari sulle realtà sociali di alcuni dei paesi africani da cui partono molte delle persone che poi arrivano da noi. Si tratta per la maggior parte di territori devastati da carestie, siccità, disastri climatici, povertà estrema; territori dove spesso spadroneggiano gruppi armati di fanatici religiosi che seminano il terrore in porzioni più o meno ampie di quei territori. In realtà come queste, le scuole sono pie illusioni, e quelle poche che ci sono sono generalmente allestite grazie all'impegno di organizzazioni umanitarie che operano in quelle zone. Immaginare che in posti come quelli sia possibile avviare opere di istruzione di massa, per donne o per uomini, è pura utopia.
    Il discorso dei figli in età precoce affonda le sue radici nella cultura di quei paesi, ed è impensabile immaginare di poter cambiare un sistema culturale che dura da secoli. La Nigeria, giusto per fare un esempio, che oggi conta alcune centinaia di milioni di abitanti, nel 2050 avrà gli stessi abitanti della Cina, e altri paesi, come alcuni del Corno d'Africa, sono sulla stessa scia.
    Questo succede perché là, paesi generalmente poveri o poverissimi, i figli sono visti come una ricchezza, non come un costo, come succede da noi. Avere molti figli è garanzia di poter contare su aiuti e sostentamento quando arriverà la vecchiaia, e la cosa, se ci pensi, ha una sua ratio, dal momento che stiamo parlando di realtà dove l'assistenza previdenziale non esiste.
    Se ci pensi, quella realtà e quel modo di ragionare non è tanto diverso da quello che c'era da noi fino a sessanta o settant'anni fa. Le famiglie dei nostri nonni o bisnonni erano quasi sempre numerosissime: sette, otto, dieci o anche più figli, e pure in contesti di elevata povertà e assenza quasi totale di servizi educativi e di scolarizzazione. E ciò succedeva per gli stessi motivi che spingono le famiglie di paesi poveri ad avere una prole numerosa.
    Per quanto riguarda il welfare, non so quanto gli stranieri gravino su di esso, so però (dati Inps in un paio d'anni fa) che la componente straniera di chi lavora in Italia vale il 1O% del PIL annuale prodotto nel nostro paese. Naturalmente il dato è riferito ai lavoratori stranieri in regola, non certo al sottobosco di lavoratori invisibili che lavorano in nero e che sono vittime di profittatori con pochi scrupoli.

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  5. Keynes lo sosteneva fin dagli anni '30 che il problema che la crescita demografica sarebbe stata un problema.
    Il fatto che le donne di quei paesi subiscano una cultura secolare, vedi mutilazioni genitali, gravidanze precoci, non è un motivo valido per continuare ad accettarla.

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  6. Keynes lo sosteneva fin dagli anni '30 che il problema che la crescita demografica sarebbe stata un problema( sono ancora addormentata)
    Volevo dire che Keynes già ai suoi tempi individuava nella crescita demografica un problema da affrontare.

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    1. Vero, ma già cento anni prima di lui, Thomas Maltus (padre della nota teoria maltusiana), economista e demografo inglese, l'aveva capito e pubblicava saggi e scritti sulla correlazione tra aumento della popolazione e aumento della povertà. Oggi, che la sovrappopolazione sia un enorme problema mondiale credo non sia messo più in discussione da nessuno.

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  7. Ti leggo sempre con grande interesse, ma non commento: darti sempre ragione, potrebbe montarti la testa :)

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    1. No, tranquilla, rimango coi piedi per terra, dammi pure ragione.
      Ciao, Cristiana. :)

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