venerdì 22 gennaio 2021

Cristianesimo, la religione dal cielo vuoto

Difficile recensire un saggio sul cristianesimo di questa portata. Ci è riuscito molto bene Ettore Fobo in questo suo post. Di mio, aggiungo solo qualche breve nota a margine, ora che ne ho terminato la lettura. La tesi sostenuta dal filosofo Umberto Galimberti, e cioè che la religione cristiana ha perso la sua dimensione sacrale per ridursi sostanzialmente ad "agenzia etica", non è in realtà nuova, è già stata esposta da molti teologi e pensatori cattolici, sia passati che contemporanei, come ad esempio Gianni Baget Bozzo, di cui nel libro vengono citati vari passi dei suoi scritti. Perché il cristianesimo ha perso la sua dimensione sacrale?

Nella sua visione filosofica il termine sacro indica un ambito in cui vige la confusione dei codici, il sacro è il luogo dell'indifferenziato, dove nello stesso momento e allo stesso tempo possono coesistere il benedetto e il maledetto, il giorno e la notte, il giusto e l'ingiusto, il vero e il falso. Le religioni, tutte le religioni, sono nate con la funzione di circoscriverne l'area (religione deriva dal latino religio -onis, a sua volta derivato da relegĕre, cioè "raccogliere"), onde evitare la sua irruzione che sconvolgerebbe l'ordine di una comunità. Il cristianesimo ha desacralizzato il sacro sopprimendo questa sua particolare ambivalenza, assegnando tutto il bene a Dio e tutto il male al suo avversario, Satana, a cui è da ricondurre la vulnerabilità dell'uomo e il suo cedimento al male.

Altro motivo per cui, secondo l'autore, il cristianesimo ha perso la sua valenza sacrale risiede nel fatto che questa religione, a differenza di tutte le altre religioni monoteiste, ha fatto scendere Dio in terra, e con la sua incarnazione ha determinato, come sorta di contrappasso, la divinizzazione dell'uomo, il quale si sente in questo modo autorizzato a ergersi artefice unico della sua storia, indipendentemente dalla presenza o meno di Dio.

Al di là degli aspetti teologici, il saggio è interessantissimo perché abbraccia una grande quantità di temi e offre infiniti spunti di riflessione. Uno dei più interessanti riguarda sicuramente il rapporto tra sacro e follia, un rapporto strettissimo che origina dall'antica cultura greca e che ha attraversato anche tutta la storia dell'Occidente. L'episodio mitologico emblema di questo rapporto è raccontato nella tragedia Le baccanti di Euripide, dove si narra dell'ingresso di Dioniso, dio della follia, a Tebe con conseguente stravolgimento della vita della città. A nulla servono riti e sacrifici per tentare di allontanarlo e riportare la comunità alla normalità: Dioniso se ne andrà solo quando lo deciderà lui. Perché è emblematico questo racconto? Perché ancora agli inizi del Novecento, scrive sempre Galimberti, gli psichiatri che dimettevano un paziente da un manicomio apponevano sotto la loro firma la sigla D.C., che significa Deo concedente. Cioè, se Dio vorrà, se lo concederà, se uscirà dalla testa di quest'uomo, quest'uomo sarà guarito e tornerà alla normalità.

Ma del rapporto tra sacro e follia, tra Dio e confusione dei codici, vi sono vari esempi anche nella tradizione giudaico-cristiana. Dove altro si potrebbe inserire, ad esempio, l'episodio biblico in cui Dio chiede ad Abramo di sacrificare il figlio Isacco per dimostrargli la sua fedeltà, episodio su cui pensatori come Tommaso d'Aquino e Kierkegaard e altri hanno scritto pagine bellissime? Ma anche la vicenda biblica di Giobbe si potrebbe citare tranquillamente, perché, nel suo epilogo, Giobbe commette l'errore più grande che uomo possa fare: tentare di fare ragionare Dio. Con Dio non si ragiona, Dio è di là della ragione, di ogni codice razionale, di ogni morale, e si inserisce in quell'ambito compreso tra la follia e il sacro di cui oggi il cristianesimo ha perso ogni traccia. E l'ha persa da quando ha abbandonato il timore di Dio in favore di un dio padre descritto noiosamente come sempiterno buono e infinitamente misericordioso, l'esatto opposto del dio delle scritture, che è sì buono, ma anche terribile.

D'altra parte, su quali basi si può ammantare di sacralità una religione, quella cristiana, ormai ridotta ad agenzia etica? Come può essere espressione di un Dio che per sua natura è aldilà di ogni regola, di ogni morale, di ogni ragione, una religione che occupa gran parte dei suoi sforzi a dettare regole su temi etici prettamente umani come aborto, divorzio, fecondazione assistita e tutto il resto? Dov'è la dimensione del sacro in questo parossismo di codici e regole, espressioni di categorie umane che la società potrebbe benissimo definire e regolare da sé? Semplicemente, non c'è. E la crisi profonda del cristianesimo, che oggi è sotto gli occhi di tutti e si accompagna alla crisi dell'Occidente perché cristianesimo e storia dell'Occidente sono intimamente legati, appare oggi, come mai prima d'ora, senza ritorno.

10 commenti:

Enri1968 ha detto...

Una bugia lunga due millenni, con tutti i danni che ha fatto.

Andrea Sacchini ha detto...

Beh, un po' riduttivo come giudizio, mi pare.

Franco Battaglia ha detto...

La crisi della religione cristiana io la identifico principalmente come crisi della Chiesa come istituzione. Una Chiesa che ha da tempo perso i valori del Nuovo testamento, quello che conta davvero. Lascerei stare il dio terribile del Vecchio testamento. Basterebbe concentrarsi sulla figura attuale di chiesa imborghesita e incapace di veicolare messaggi d'amore, perché per prima non portatrice dell'unica cosa che può essere universalmente di insegnamento: l'esempio.

Andrea Sacchini ha detto...

Il "dio terribile" del vecchio testamento credo invece sia da tenere in conto più che mai, dato che l'antico testamento è comunque uno dei due pilastri su cui si regge la religione cattolica. Anzi, uno dei motivi per cui il sacro non è più ascrivibile alla religione cattolica è proprio l'abbandono del famoso "timore di dio" da parte della chiesa, quel timore di dio che chi andava a catechismo fino a 50 o 60 anni fa sapeva benissimo cos'era.

giorgio giorgi ha detto...

È un tema che dà le vertigini, tanto è grande. Credo che per un bambino sa utile pensare che c'è un dio buono che ti aiuta nei momenti di difficoltà. Poi quando si cresce credo sia importante che l'io non si senta dio (Oggi capita spesso). Il concetto di dio come totalità può essere utile come stimolo per cercare di conoscere sempre più la nostra totalità, il dio che siamo noi, la nostra autenticità, nel bene e nel male come tensione continua verso la consapevolezza del bene che posssiamo essere e fare, misurandoci con i nostri limiti, una spiritualità che nasce dal basso e non è tentativo costante di essere perfetti. Dio come spinta verso l'alterità nella consapevolezza dei nostri limiti. È mi piace ricordare l'idea che dio ha fatto l'uomo inquieto e cercatore di senso perché si sentiva solo, annoiato dalla sua onnipotenza.

giorgio giorgi ha detto...

In questo senso "deo concedente" diventa riconoscimento della nostra limitatezza umana.

Andrea Sacchini ha detto...

Interessantissimo il pensiero che dio abbia fatto l'uomo inquieto perché si sente solo. Ogni tanto, anche se in una sua variante, viene ripreso da Galimberti, nelle sue conferenze, quando dice dio ha bisogno delle preghiere degli uomini perché è solo e si annoia.
Comunque sì, è un tema che dà le vertigini, tanto è grande, e leggere di come alcuni dei più grandi pensatori della storia (Kierkegaard, Tommaso d'Aquino, Agostino d'Ippona e altri) vi si sono approcciati, è un esercizio che dà parecchie soddisfazioni.

Enri1968 ha detto...

Certo può essere il titolo per un altro saggio. Sarà sicuramente interessante il libro di Galimberti ma non sono credente sebbene alcune domande sul sacro me le faccio. Quello che trovo tutt'ora insopportabile è come si continui ad dare importanza alle religioni, utilizzando il tema del "sacro", sebbene possa essere affascinante e suggestivo. Scusa, se ti ho dato fastidio, poi non intervengo oltre.

Andrea Sacchini ha detto...

Neppure io sono credente. Leggo libri sul cristianesimo perché il fenomeno religioso mi affascina dal punto di vista storico, sociale e antropologico. Leggere libri sul cristianesimo non significa essere cristiani. Ho letto anche libri sull'Islam e sull'ebraismo ma ciò non implica che sia seguace di tale. Io sono serenamente ateo, da molti anni.
Riguardo ai tuoi commenti, non mi danno alcun fastidio, anzi, ogni commento che arriva è uno spunto che arricchisce la discussione.

Enri1968 ha detto...

Si, volevo essere educato perché il commento mi è sembrato un pochetto rude e mi dispiaceva lasciare quest'impressione. Mi fa piacere frequentare il tuo spazio blog.

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