Ho terminato in un paio d'ore questo agile saggio di Umberto Eco, pubblicato l'anno scorso. In esso il grandissimo scrittore evidenzia come il fascismo, oggi, palesi tracce di sé in maniera più subdola, più sfumata, più strisciante rispetto al famigerato ventennio, e delinea alcuni atteggiamenti, spesso esternati da personalità pubbliche, in presenza dei quali è bene alzare le antenne e mettersi in guardia.
Il culto della tradizione, ad esempio. Mica è tanto difficile, anzi non lo è per niente, oggi, sentire certi personaggi menarla col culto della tradizione, delle radici, delle origini ecc. Che va anche bene, volendo, entro certi limiti; il problema nasce quando il richiamo al culto della tradizione travalica il fisiologico per scadere nell'ossessivo. Qui bisogna alzare le orecchie. Scrive Eco: "È sufficiente guardare il sillabo di ogni movimento fascista per trovare i principali pensatori tradizionalisti. La gnosi nazista si nutriva di elementi tradizionalisti, sincretistici, occulti".
Altri "segnali" che devono mettere sull'attenti sono il sospetto verso la cultura (viene attribuita a Göbbels la celebre frase "Quando sento parlare di cultura, estraggo la mia pistola"); e poi ancora la paura delle differenze, quindi il razzismo; l'ossessione del complotto, possibilmente internazionale; il machismo, che implica il disdegno per le donne e una condanna senza appello delle preferenze sessuali non conformiste, vedi ad esempio l'omosessualità. Questi sono solo alcuni degli esempi che Eco prende in esame nel suo saggio, ma ce ne sono tanti altri.
Ciò che maggiormente sorprende, alla fine, è che questo breve saggio è la trasposizione scritta di un intervento che Umberto Eco fece alla Columbia University nel 1995, ossia più di vent'anni fa. Chi non lo sa può tranquillamente pensare che sia stato scritto oggi, tanto è attuale, tristemente attuale.
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