Non si prova nemmeno più sorpresa nell'assistere allo spettacolo, tra l'osceno e l'indecoroso, offerto dalla compilazione delle liste elettorali da parte dei capi partito, Renzi o Di Maio che siano.
Chi andrà a votare, diritto-dovere a cui lo scrivente si sottrae da tempo senza alcuna remora, potrà tutt'al più provare un senso di umiliazione nell'assistere allo spettacolo di capi politici che distribuiscono ai propri sottoposti collegi elettorali che non sono loro ma dei cittadini, specie se questa pratica viene posta in essere in oscuri e blindati consessi notturni, dove i concetti di pluralismo e squadra vengono senza troppi patemi lasciati fuori dalla porta, così che il Renzi di turno possa spianare e annullare la voce delle minoranze e imporre suoi fedelissimi nelle circoscrizioni di tutto lo stivale, laddove, invece, lo spirito del collegio uninominale dovrebbe trovare la sua ragione d'essere nella candidatura di un soggetto legato alla storia, al contesto territoriale del collegio stesso.
Renzi e Di Maio non hanno inventato niente, intendiamoci, si limitano a perpetuare nel tempo una triste consuetudine, quella del partito personale diretto da un capo circondato da yesmen, inaugurata da Berlusconi nel 1994 col suo partito-azienda. Un capo carismatico con tanti fedeli servitori attorno, servitori perché sempre debitori di qualcosa nei suoi confronti, pronti in virtù di questo obbligo a servirlo e compiacerlo svilendo se stessi fino al punto di rinunciare alla propria dignità, come quando 300 e rotti parlamentari giurarono in Parlamento di essere convinti che Ruby era la nipote di Mubarak, in quella che può considerarsi una delle pagine politiche più ignobili della storia repubblicana.
Come scriveva ieri Vittorio Zucconi, in un suo raro pensiero con cui mi trovo d'accordo, non siamo ormai niente più che carne da collegio, miglior espressione possibile per descrivere l'inutilità di andare a votare.
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Mi chiedo cosa mai potrà ancora esserci oltre questa indecenza.
RispondiEliminaCredo poco.
RispondiEliminaBeh, sapete, c'è quel famoso detto secondo cui quando si tocca il fondo c'è sempre qualcuno che comincia a scavare per scendere ancora un po'.
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