domenica 14 agosto 2011

Il quartier generale racconta/66

Io spero che Sallusti rimanga ancora per molto tempo direttore del Giornale. No, non sto scherzando, dico davvero. Perché ormai i suoi editoriali sono diventati per me dei "must", degli autentici capolavori. Quando avrà chiuso il suo ciclo, infatti, per fare le stesse risate dovrò ripiegare sui vari spinoza.it e simili.

Sotto un certo punto di vista il caso Sallusti andrebbe studiato, analizzato, magari con rigore scientifico, se non altro per scoprire i motivi per cui il servilismo giornalistico riesce a spingersi fino a certi limiti. Intendiamoci, di giornalisti prezzolati che scondinzolano a comando siamo pieni, ma qui si va decisamente oltre. Ecco perché la cosa meriterebbe un approfondimento.

L'editoriale odierno, naturalmente, in questo senso non delude. Anzi. Ecco un paio di passaggi fenomenali:

Il «non ne posso più» di Berlusconi non è comun­que per i quattrini ma per la presa d’atto di quanto sia difficile, a tratti impossibile, governare questo Paese come si vorrebbe e come si è promesso agli elettori. Colpa di un sistema di regole macchinoso e bizantino pensato quasi settant’anni fa

Qui abbiamo già un primo colpevole della difficoltà di legiferare per il bene del paese: un sistema di regole macchinoso e bizantino. In parte sarà anche vero, per carità, ma Sallusti omette di precisare che non è sempre così, in quanto ci sono certe leggi che invece viaggiano alla velocità della luce, eccome se viaggiano.

Se non ricordo male, infatti, il celeberrimo lodo Alfano, un esempio a caso, ha visto la luce in 25 giorni. Meno di un mese, quindi (per il nostro parlamento è un tempo record), dalla sua stesura nelle commissioni ai passaggi alle camere e alla firma di Napolitano. Questa è la prova che Sallusti si sbaglia: quando le leggi sono urgenti (e questa era urgentissima) e servono a tutti il sistema è tutt'altro che macchinoso.

È ovvio che quando sull’onda di fatti straordina­ri tutti i nodi arrivano contemporaneamente al pettine lo strappo è doloroso. Ma se c’è una accu­sa che non può essere rivolta a Berlusconi è pro­prio quella di non aver visto quei nodi formarsi e aver provato a scioglierli per tempo

Eh, certo, lui la crisi economica l'aveva vista già da un pezzo, e già da un pezzo aveva provato a porvi rimedio. L'aveva vista talmente bene che per i primi due anni di governo aveva ripetuto, in coro con tutti i suoi tirapiedi, che non esisteva, che era un'invenzione della stampa e della sinistra pessimista; e che comunque, in caso, non era certo così grave.

Sallusti dovrebbe spiegare nel suo editoriale come si fa a porre rimedio a un problema che non c'è. E infatti, se si va a vedere, la famosa e rivoluzionaria riforma fiscale, che avrebbe dovuto metterci in qualche modo al riparo, è sempre rimasta un annuncio (dal lontano 1994). L'attività governativa, se così si può chiamare, si è quasi sempre concentrata negli ultimi tre anni su lodo Alfano, processo breve, processo lungo, intercettazioni, leggi-bavaglio, lodi vari. Dove sarebbero le famose misure anti crisi?, quella che Berlusconi, vecchia volpe, aveva visto per tempo?

E allora, esorta il Sallusti, "crediamo ancora, solo Berlusconi può toglierci dal pantano". Massì, in fondo in questo pantano ci siamo da 17 anni: prima o poi ci tirerà fuori, no?

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