Comunque, tornando alla vicenda Più libri Più liberi, se ci si pensa la partecipazione di una casa editrice filonazista è anche un po' un controsenso, dal momento che i nazisti storicamente non hanno mai avuto buoni rapporti coi libri, o almeno con certi libri. La pratica del "bücherverbrennungen", ossia i falò pubblici sulle piazze dei volumi di certi autori, era diffusissima all'epoca.
L’evento più noto avvenne il 10 maggio 1933, pochi mesi dopo la presa del potere da parte di Hitler, quando gruppi di studenti universitari, sostenuti dalle autorità naziste, bruciarono pubblicamente migliaia di libri in diverse città della Germania, tra cui Berlino. Furono presi di mira autori considerati “non tedeschi”, “degenerati” o “contrari allo spirito tedesco”. Tra questi: Heinrich Heine, Thomas Mann, Erich Maria Remarque, Sigmund Freud, Karl Marx, Bertolt Brecht, molti scrittori ebrei, socialisti e pacifisti. Lo slogan che accompagnava i roghi era: “Contro la lotta di classe e il materialismo, per la comunità nazionale!”, insieme ad altri appelli contro la “decadenza”.
Giova comunque ricordare che la pratica di bruciare libri non è stata inaugurata dai nazisti ma è ricorrente nella storia. Addirittura si faceva già all'epoca dell'impero romano, ad esempio con Tiberio, che faceva bruciare libri ritenuti “astrologici” o “profetici” (col senno di poi, forse non faceva neppure male); oppure con Diocleziano, che mandava al rogo i testi sacri cristiani durante le persecuzioni. Ovviamente, per converso, non poteva mancare la chiesa cattolica, la quale, nel Medioevo e ancora nel Rinascimento, bruciava allegramente sulle piazze opere considerate eretiche. La Congregazione dell’Indice (Index Librorum Prohibitorum, dal 1559 al 1966) vietava letture ritenute pericolose e talvolta prevedeva la distruzione fisica dei testi. Un esempio tra i più noti: il rogo dei testi di Jan Hus e altri riformatori medievali. Ma anche restando a tempi recenti, basta ricordare i roghi, organizzati nei cortili delle parrocchie, dei libri di Gianni Rodari dopo la scomunica inflittagli dal Vaticano per la sua adesione al partito comunista. Stiamo parlando dei primi anni Cinquanta, non del Medioevo.
Contro i libri e la cultura si sono sempre scagliati tutti. Si è fatto in Cina a partire dal III secolo a.C. fino alla Rivoluzione culturale cinese (1966-1976); lo facevano gli spagnoli e i portoghesi nell'America precolombiana durante la colonizzazione; lo faceva Mussolini qua da noi mandando al confino intellettuali e scrittori; lo faceva Stalin nella Russia degli anni '30 del secolo scorso tramite la censura e l'eliminazione fisica di scrittori e poeti. Pol Pot, il sanguinario dittatore a capo degli spietati Khmer Rossi nella Cambogia degli anni '70, fece invece un passo avanti, spingendosi all'eliminazione fisica di chiunque fosse anche solo sospettato di avversare il regime. E come individuavano, i Khmer Rossi, i potenziali oppositori? Dagli occhiali. Facevano irruzione nelle case dei villaggi in cui arrivavano e controllavano chi vi abitava: chi portava gli occhiali veniva ucciso seduta stante. Perché? Perché Pol Pot pensava che i portatori di occhiali fossero lettori, quindi persone pensanti, perciò maggiormente sospettate di essere oppositori del regime.
Oggi vengono organizzate grandi manifestazioni editoriali, come appunto Più libri Più liberi, alle quali spesso partecipano, come se niente fosse, case editrici che pubblicano testi nostalgici di quei tempi là, quando i libri venivano bruciati. Io le metterei alla porta anche solo per questo.
Mi limito a farti una standing ovation (spero si scriva così) senza aggiungere altro. Hai già detto tutto tu. 💚👋
RispondiEliminaE quello che dicevo e pensavo.
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