Ogni domenica La Stampa ospita pregevoli articoli del noto filosofo francese Bernard-Henry Lévy, figura di spicco del movimento Nouveaux Philophes, il quale movimento ha tra i suoi punti cardine una feroce critica al marxismo.
Il pregevole articolo di stamattina titola: Perché Israele ha ragione ad agire ora: i tiranni non possono avere l'atomica.
In questo pregevole articolo il noto filosofo cerca di rispondere all'interrogativo che tanti si pongono da quando Israele ha aggredito l'Iran per fermare il suo progetto nucleare (motivazione ufficiale, ma sotto c'è ben altro). Innanzitutto Lévy cerca di rispondere a chi teme che questa aggressione sarà una ulteriore fonte di destabilizzazione di tutto il Medioriente (e non solo) dicendo che la suddetta regione è già destabilizzata da tempo da Hamas, da Hezbollah, dagli Houthi e dall'Iran stesso. Al che nasce spontanea una domanda: se questa area era già fortemente destabilizzata prima della nuova guerra scatenata da Israele, l'aggiunta di un nuovo conflitto aumenterà questa destabilizzazione o la placherà? Lévy non ha dubbi: la placherà. È noto infatti che i pompieri quando corrono a spegnere un incendio lo fanno buttando benzina sul fuoco, non certo acqua. Tra l'altro, a proposito di destabilizzazioni, il filosofo sembra non sapere, anche se in realtà lo sa benissimo, che le destabilizzazioni e i casini che da sempre regnano in quelle regioni, storicamente li abbiamo creati per la maggior parte noi. C'è un bellissimo libro dello storico tedesco Wolfgang Reinhard, uscito qualche anno fa: Storia del colonialismo, in cui si descrivono le conseguenze di 600 anni di espansione europea anche in quelle zone, una espansione che ha portato certamente vantaggi dal punto di vista della diffusione delle tecnologie, dell'industria, delle strutture statali, ma al tempo stesso, specialmente con la successiva decolonizzazione, ha creato immensi problemi politici e sociali. L'instabilità che secondo Lévy è da addebitare ad Hamas, Hezbollah, Houti ecc. è quindi, in realtà, una instabilità sovrastrutturale, che si innesta però su cause storiche che il filosofo si guarda bene dal menzionare.
Ma alla domanda principale (perché Israele può avere l'atomica e l'Iran no?) Lévy risponde in modo chiarissimo: "La prima ragione è che esiste una differenza sostanziale tra una democrazia e una tirannia, e un'arma non significa la stessa cosa né ha la stessa importanza negli arsenali dell'una o dell'altra." Seconda ragione: "Un'arma nucleare dissuasiva fatta per non essere utilizzata e un'arma offensiva il cui scopo dichiarato è la disintegrazione di un Paese confinante si chiamano nello stesso modo, hanno lo stesso nome, ma indicano due realtà diverse. L'Iran è una tirannia e il suo programma nucleare non ha mai avuto altro obiettivo se non quello di cancellare Israele dalla faccia della terra. Motivo in più per cui ciò che è concesso agli uni (Francia, Gran Bretagna ecc.) non potrebbe esserlo a quest'altra (la Repubblica Islamica)."
Qui Lévy si àncora saldamente a tre certezze. La prima è che l'Iran era a un passo dall'atomica (non è dato sapere su quali basi appoggi questa certezza, dal momento che i maggiori analisti, compresi quelli americani, affermano il contrario); la seconda è che aveva intenzione di usarla per distruggere Israele (altra affermazione non supportata da alcuna prova. È anzi verosimile il contrario: dal momento che Israele l'atomica la possiede già, una eventuale realizzazione da parte iraniana costituirebbe semmai un deterrente al suo utilizzo per entrambi); la terza è che l'atomica è giusto che ce l'abbia una democrazia piuttosto che un regime basato su una tirannia. Qui Lévy evita accuratamente di menzionare il fatto che, storicamente, l'unico paese ad avere utilizzato la bomba atomica è stata l'America, per ben due volte, nella Seconda guerra mondiale. Poi, per carità, si può discutere se sia stato giusto o no farlo, ma sta di fatto che finora gli unici a usarla sono stati gli americani, che mi risulta siano una democrazia, almeno formalmente. Tra l'altro non si capisce su quali basi Lévy dà per scontato che una democrazia sia migliore e più affidabile di una dittatura. Certo, vivere in una democrazia è meglio che vivere sotto una dittatura, non ci piove, ma il filosofo ignora che anche la più oscena delle dittature ha sempre una legittimazione popolare e quando questa legittimazione viene meno il tiranno/dittatore viene deposto e al suo posto va un altro. Israele è una democrazia ma sta compiendo un genocidio; Hitler è stato eletto democraticamente e ha fatto ciò che ha fatto; gli Stati Uniti sono una democrazia ma nell'ultimo secolo si sono macchiati di un così elevato numero di abusi e crimini di guerra da fare impallidire qualsiasi dittatura. Per non parlare dell'Europa. Quindi, alla fine, non si capisce perché un sistema democratico meriti di avere l'atomica e una dittatura no. A meno che non si voglia istituire il teorema secondo cui la bontà o meno di un Paese è conseguente al tipo di forma di governo che sceglie di adottare. A questo punto Bernard-Henry Lévy ha ragione su tutto.