giovedì 25 gennaio 2007

Il senso della realtà? Perso nel videofonino

C'è qualcosa che secondo me si sta allontanando. O, meglio, si sta allontanando dai ragazzi: il senso della realtà, quella vera, quella spicciola di tutti i giorni. Oggi c'è la realtà virtuale, immateriale, ma che racconta cose terribilmente vere. C'è un bisogno di mostrarsi, di farsi vedere, di divulgare le cose peggiori che si possano immaginare; e per fare questo basta poco: ad esempio un videofonino, oggetto oggi praticamente in mano a tutti indipendentemente dall'età.

E così ci ritroviamo con notizie come questa oggi, come quest'altra ieri, come quest'altra l'altro ieri, e così via (se ne potrebbero linkare a non finire): tutti sentono il bisogno di immortalare quello che fanno e di renderlo di dominio pubblico, in una sorta di demenziale emulazione del grande fratello. E, non so se ve ne siete accorti, sta prendendo piede la "moda" (se così si può chiamare) dei filmini amatoriali girati all'interno delle scuole, spesso a carattere semi-pornografico, per usare un eufemismo.

Davanti a queste cose assistiamo allo scervellarsi collettivo di psicologi, psichiatri e genitori sul perché succede questo. A rotazione viene data la colpa alla famiglia, alla televisione, alla scuola, alla pubblicità o a tutte queste cose insieme. E chi può dire di chi è la colpa? Così, di primo acchito, viene istintivo mettere sul banco degli imputati la famiglia, adducendo la motivazione che sia il pilastro fondamentale dal quale deve partire l'educazione. E potrebbe anche essere vero, come è però altrettanto vero che spesso il "lavoro" svolto all'interno della famiglia viene vanificato dalla stessa scuola. Ho esperienza diretta di questo: mi è capitato ad esempio di scambiare occhiate stupefatte con mia moglie davanti a certe espressioni verbali pronunciate dalle nostre figlie. E alla richiesta di spiegazioni sentirmi dire: "l'abbiamo sentito a scuola!".

E' anche purtroppo vero che siamo nella civiltà dei culi e delle tette, non c'è bisogno di essere dei fini Sherlock Holmes per capirlo: basta guardare la pubblicità in tv, i cartelloni per la strada, i giornali: in ogni occasione c'è la stragnocca di turno utilizzata anche per reclamizzare lo sturalavandini. Più della metà dei compagni di classe della mia figlia più grandicella (5a elementare) ha il telefonino, e già da tempo anche lei ha cominciato a chiederlo. Quest'altr'anno andrà in prima media e non so cosa augurarmi, con professori e docenti alle prese con una popolazione studentesca "tutta da comprendere". Una qualche speranza mi viene dal fatto che in famiglia abbiamo sempre fatto (e facciamo) di tutto per tirare su i figli in un certo modo, cercando di spiegare cosa è bene e cosa è male. Resta da vedere se è servito a qualcosa o se sono state solo parole al vento.

2 commenti:

Anonimo ha detto...

Secondo me, il ruolo della famiglia resta fondamentale, perché essa è la base da cui parte l'educazione e la formazione dei figli.
Ma per educazione intendo "valori forti", ed è la famiglia che deve occuparsene per prima.
Non importa poi se a scuola si imparano un po' di parolacce e altro, l'importante è che si sappia distinguere il bene e il male nelle questioni fondamentali. E' questa l'educazione che conta, quella vera, almeno a mio avviso.
Poi si sa che, a una certa età, tutti fanno marachelle, si ribellano ai genitori, fanno sciocchezze varie, usano un po' di turpiloquio, anche per far parte del "gruppo", ma non sono cose gravi: sono fasi della vita che, in genere, si superano.

Resta il fatto che, al giorno d'oggi, la famiglia è assalita da ogni parte, è messa in estrema difficoltà: è come se fosse sottoposta ad attentati continui, spesso mortali.
Sarebbe un discorso lungo, che qui non si può fare. Certo che è una situazione molto triste.

Andrea Sacchini ha detto...

Sì, effettivamente è vero: le nostre belle marachelle le abbiamo fatte anche noi ;-), ed è altrettanto vero che il pilastro fondamentale rimane comunque la famiglia; e dal quel lato lì penso (ripeto, penso) di essere abbastanza sicuro, nel senso che, come dicevo, crediamo di aver dato alle nostre figlie una solida base su cui impostare tutto il resto.

Speriamo bene.

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