"Potrebbe andare un po' più veloce? Ho paura di non riuscire a prendere il treno."
"Ah, guardi, io posso pure provare ad accelerare, o fare qualche acrobazia tra le macchine e i pedoni," disse il tassista, un po' seccato, guardando Marco nello specchietto retrovisore, "ma siamo a Rimini, e sono le sette e trenta del mattino, non è esattamente la fascia oraria in cui le strade sono deserte ed è possibile spingere un po' di più sull'acceleratore. Se magari mi avesse chiamato prima..."
Marco non rispose. Sapeva che la ragione era dalla parte del tassista, e quindi perché insistere, col rischio magari di andarsi a infilare in un battibecco che avrebbe potuto indispettirlo più di quanto non fosse già? E se poi avesse rallentato di proposito, magari per dispetto? Un autista di taxi a cui girano le scatole potrebbe essere capace anche di questo, pensò Marco. Guardò l'orologio. Il tassista, effettivamente, ci stava dando dentro e Marco, un po' più tranquillizzato, calcolò mentalmente che senza imprevisti sarebbe arrivato in stazione in tempo, forse anche qualche minuto prima. Così fu. Scese di corsa dall'auto, allungò una carta da 20 euro al tassista, lo ringraziò e gli disse di tenersi i tre euro che gli spettavano di resto. Non riuscì a comprendere perché gli avesse lasciato quei tre euro, poi pensò che forse l'aveva fatto perché si era ricordato di averlo visto fare un sacco di volte nei film.
Lo salutò e si avviò a grandi passi verso l'entrata della stazione, con in mano la sua ventiquattrore. Era il suo primo viaggio di lavoro, quello, e una certa trepidazione aveva cominciato ad assalirlo fin dal giorno prima. Resistette alla tentazione di fermarsi al bar per un caffé - aveva già consumato a casa la colazione, premurosamente preparata da sua moglie Francesca - e si diresse al terzo binario. Il treno che l'avrebbe portato a Bologna era già lì e sarebbe partito entro pochi minuti. Il vagone su cui salì non era molto affollato e molti scompartimenti erano liberi o occupati da una o due persone. Non aveva voglia di convenevoli, e, in più, la prospettiva di sorbirsi un'ora di treno sopportando le eventuali chiacchiere di compagni di viaggio eccessivamente petulanti, lo convinse a scegliere uno scompartimento deserto. Entrò, chiuse la porta, appoggiò la sua ventiquattrore nell'apposito alloggiamento, sopra la sua testa, e si sedette. Poi udì un fischio e il treno si mosse.
La giornata era molto bella, c'era il sole e la temperatura era gradevole, tipicamente primaverile. Scostò le tendine del finestrino e guardò fuori. L'intreccio caotico dei binari, tipico delle stazioni ferroviarie, si andava esaurendo mano a mano che il treno guadagnava l'uscita della stazione. Vide passare, in successione, il grattacielo di Rimini, il portocanale sotto di lui, poi il ponte sul deviatore Marecchia. Pensò che Rimini, la sua Rimini, era una città stupenda, caotica come l'inferno ma stupenda. Pensò anche che, con un po' di fortuna, sarebbe arrivato a Bologna restando l'unico occupante di quello scompartimento.
Sì alzò, aprì la sua ventiquattrore e tirò fuori Tragedia in tre atti, l'unico libro di Agatha Christie che ancora non aveva letto. Adorava i gialli e adorava Agatha Christie. Le pagine scorrevano veloci e lui vi si immerse, trasferendosi, quasi anima e corpo, dallo scompartimento di quel treno al salone in cui si teneva il ricevimento fatale, quello dove trovò la morte il pastore protestante protagonista del giallo.
"Pensa di riuscire a leggerlo tutto prima di arrivare a Bologna?" Marcò alzò gli occhi per capire chi avesse parlato e da dove venisse quella voce che lo stava riportando dal salone dell'omicidio allo scompartimento del treno. "Sta... dicendo a me?" balbettò, rendendosi conto che il ritorno alla realtà si stava rivelando una faccenda più lunga e difficile del previsto.
"Beh, suppongo di sì, anche in considerazione del fatto che non vedo altre persone, qui." L'operazione rientro sulla Terra alla fine si concluse, e Marco vide seduta, di fronte a sé, una giovane donna che lo fissava, ovviamente attendendo una risposta. "Cercavo uno scompartimento vuoto e non l'ho trovato," riprese la donna, "e allora mi sono infilata qui. Spero di non esserle di disturbo."
"No, si figuri, nessun disturbo," mentì spudoratamente Marco, "anzi, speravo proprio che venisse qualcuno a farmi compagnia."
"Sa che lei non è affatto bravo a mentire?" disse sorridendo la donna. "non finga, su," riprese, "lo capirebbe anche un cieco che lei sperava di arrivare a Bologna senza essere disturbato da nessuno."
"E come sa che io sono diretto a Bologna?"
"Questo treno fa capolinea là, e visto che abbiamo già superato Faenza, ho pensato che ci fossero buone probabilità che là lei fosse diretto." Marco guardò la donna che gli aveva appena dato la seconda stoccata nel giro di un minuto. Era vestita in modo semplice e pratico: scarpe da tennis, jeans e camicia. Niente di vistoso o elaborato o raffinato. Aveva lunghi capelli biondi, legati con una coda. Sul viso solo un accenno leggero di trucco, anche lì niente di vistoso, giudicò che dovesse avere grossomodo una trentina d'anni. "Sì, effettivamete sono diretto a Bologna," riuscì infine a dire. "E lei, invece?"
"Anche io a Bologna, vado a trovare un'amica che non vedo da molto tempo. Ah, dimenticavo, il mio nome è Anna," disse la giovane donna alzandosi in piedi e tendendo la mano a Marco. Questi si alzò a sua volta, e le tese la sua. "Io sono Marco: piacere." Restarono un attimo in piedi, guardandosi negli occhi. In quei pochi istanti lui sentì il suo profumo. Non sapeva dire di che tipo fosse, riuscì solo a sentire una fragranza che gli ricordava il ciclamino. Erano ancora in piedi. Anna continuava a fissarlo, la mano ancora nella sua mano. Poi lei avvicinò il suo viso. Successe tutto in un istante, ma a Marco sembrò un istante lunghissimo. Lei appoggiò le sue labbra su quelle di lui. Marco si ritrasse, istintivamente, ma lei lo trattenne a sé. Alla fine lui sentì cedere ogni resistenza, fisica e morale. Ricambiò il suo bacio, con impeto, appassionatamente, senza più nessun freno, nessuna inibizione, niente. Mentre la baciava pensò che tutto il resto non esisteva, il mondo finiva dove finiva quello scompartimento, il mondo era solo lì dentro.
All'improvviso sentì muoversi qualcosa, sembrava una vibrazione, come se qualcuno lo stesse afferrando per la spalla... "Scusi se l'ho disturbata, mi mostra il suo biglietto?" Marco aprì gli occhi, sollevò il capo. Era seduto. Era solo. Nello scompartimento non c'era nessuno, a parte il controllore che voleva vedere il biglietto. Il libro di Agatha Christie era per terra, rovesciato. Si rese conto di essersi addormentato, e di aver sognato. Anna non c'era più, non c'era mai stata, era stato solo un sogno. Tirò fuori il biglietto e glielo mostrò con noncuranza, mista a fastidio e delusione.
"C'è qualcosa che non va?" chiese il controllore, guardandolo, "mi pare abbia un'espressione strana..." Marco lo guardò a sua volta. "Eh? No, no, va tutto bene... è solo che... quanto manca a Bologna?"
"Una decina di minuti, siamo quasi arrivati."
"Ho capito. Grazie mille," disse Marco sforzandosi di sorridergli.
"Di nulla. Arrivederci," lo salutò il controllore toccandosi il cappello. Fece per richiudere la porta dello scompartimento. Poi si fermò e si riaffacciò all'interno. "Sì?" chiese Marco. "Scusi se glielo chiedo," fece il controllore, "ma anche lei avverte un leggero profumo di ciclamino?"
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Molto molto carino.
RispondiEliminaMe le donne di casa tua lo sanno che sei così un romanticone? :DD
Sì, sì, lo sanno. Sono un orso solo di fuori, dentro sono un tenerone ;)
RispondiElimina(y) ;)
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