sabato 5 aprile 2025

La piazza che preferisco

Rispetto alla piazza pro-Europa (qualunque cosa volesse dire) organizzata da Michele Serra qualche settimana fa, preferisco la piazza contro il riarmo e a favore dello stato sociale organizzata dai pentastellati oggi a Roma. Per alcuni motivi.

Il primo è che non ne ha parlato e non ne parla nessuno. La piazza pro-Europa è stata raccontata e reclamizzata per giorni e giorni su giornali, siti, televisioni; sulla piazza contro il riarmo di oggi non si trova una riga da nessuna parte e io ho sempre avuto un debole per le iniziative che si tenta di occultare, specie se si tratta di iniziative che rispecchiano la volontà della stragrande maggioranza delle persone (tutti i sondaggi collocano la contrarietà generale al riarmo su percentuali altissime).

Il secondo motivo è che concordo con chi dice che spendere un fiume di miliardi a debito, un debito che dovranno ripagare i nostri figli e i nostri nipoti, per riarmare in maniera disordinata e caotica gli eserciti dei singoli stati europei, mentre si taglia ovunque lo stato sociale, non ha alcun senso né alcuna utilità pratica. Un riarmo, tra l'altro, che è organizzato in vista di una difesa da una minaccia, quella russa, a detta di tantissimi analisti inesistente. 

Il terzo motivo è che mi sento vicino a chi si definisce pacifista, un termine che ha sempre avuto una valenza nobile ma che nel corso degli anni è stato progressivamente fatto oggetto di dileggio e utilizzato distorcendone il significato per marchiare e categorizzare surrettiziamente le persone o i movimenti. L'esempio più lampante, solo per restare a oggi, è l'equazione pacifista = putiniano, una semplificazione stupida e completamente priva di senso che qualifica intellettualmente chiunque vi faccia ricorso, e purtroppo sono in tanti.

Più in generale, mi sento vicino alla piazza di oggi perché non è equivoca, non dà adito ad ambivalenze né a molteplici interpretazioni spesso confliggenti tra loro come è stata la piazza di Serra. È una piazza che dice chiaramente no a questa sorta di isterismo bellicista collettivo totalmente privo di senso, e a me basta questo per esserle solidale.

venerdì 4 aprile 2025

Compulsività

Stamattina nel tavolino accanto al mio è arrivato un signore con in mano la tazzina di caffè e un paio di quotidiani. Ha bevuto il caffè, ha allontanato la tazzina e steso i due quotidiani sul tavolino. Poi ha cominciato a "leggerli", nel senso che si è soffermato un attimo sui titoli di prima pagina e poi ha cominciato a sfogliarli velocemente buttando un occhio solo ai titoli di ogni articolo. Vabbe', ho pensato, magari ha fretta ed è per questo che li sfoglia velocemente. Poi però ho pensato che se qualcuno ha fretta non si porta il caffè al tavolo con due quotidiani, lo beve al banco e poi se ne va per la sua strada. Invece no, lui è venuto al tavolino con caffè e due giornali. Anche io ero al tavolino con un paio di quotidiani, ma li sfogliavo tranquillamente soffermandomi a leggere gli articoli che dal titolo immaginavo potessero interessarmi. Non mi limitavo al titolo, leggevo il pezzo.

Riflettevo sul fatto che quel signore sfogliava i quotidiani con la stessa modalità con cui si consultano i social. Sui social fai lo scrolling, i quotidiani li sfogli. Sui social leggi al volo il flusso ininterrotto di ciò che passa, i quotidiani li sfogli compulsivamente leggendo solo i titoli. Cambia il mezzo, ma la sostanza è uguale. In entrambi i casi non si approfondisce, quindi non si capisce o si capisce limitatamente a ciò che si può dedurre da un titolo. Non è la stessa cosa.

Probabilmente la tecnolgia ci ha ormai definitivamente immersi nella civiltà della velocità, una dimensione che antropologicamente non ci appartiene perché il nostro cervello è regolato sulla lentezza, non sulla velocità. Non possono stare insieme approfondimento e velocità, approfondimento e superficialità, e lo sa benissimo chiunque abbia ad esempio a che fare con gli studi. Se si vuole apprendere si deve leggere, rileggere, capire ciò che si legge e poi interiorizzarlo, e non lo si può fare velocemente o superficialmente altrimenti alla fine non rimane niente. Invece oggi tutto deve essere immediato, veloce, domande e risposte a ritmo continuo altrimenti si è fuori dal gioco. Quante volte, ad esempio, tardando a rispondere a una mail arriva la telefonata in cui viene chiesto perché non si è ancora risposto? 

La velocità è sinonimo di superficialità, un binomio non esattamente molto indicato per vivere in una società complessa.

giovedì 3 aprile 2025

Gravità diverse

Non riesco a comprendere chi tende a ridimensionare la gravità dei femminicidi mettendo a confronto i numeri di questi con quelli dei morti sul lavoro (nel 2024 i femminicidi sono stati 34, i deceduti sul lavoro 1094). Si tratta a mio parere di due drammi che non possono essere messi a confronto per le loro differenti peculiarità e che non possono quindi essere inseriti in gerarchie di gravità basandosi sui numeri.

Ok, se accettiamo di restare sul piano dei numeri è pacifico che le morti sul lavoro sono maggiori dei femminicidi, ma è il modo in cui i due drammi vengono percepiti che è profondamente diverso. I femminicidi destano molta più riprovazione sociale e provocano maggiore risalto mediatico perché le vittime vengono uccise volontariamente da uomini cresciuti come bestie, con tutto ciò che ne consegue in termini di reazioni emotive. I morti sul lavoro suscitano minore riprovazione sociale, o comunque molto più fuggevole, perché manca il dolo diretto, diciamo così, quindi per loro natura si tende a inserirli in una sorta di alone di ineluttabilità che ne limita l'impatto emotivo. 

Ecco perché a mio avviso non ha senso stilare classifiche di gravità. Sono due drammi della società contemporanea che bisognerebbe impegnarsi a sradicare, e magari c'è anche chi prova a farlo. Purtroppo, sembra, senza grossi successi.

Dazi

Nella percezione collettiva la bomba dei dazi lanciata da Trump è una novità, una cosa che non si era mai vista prima. In realtà non è così. A noi sembra una novità perché ci colpiscono direttamente come mai era successo prima, ma tutte le amministrazioni americane del passato, chi più chi meno, hanno avviato guerre commerciali o sono state costrette a rispondere a guerre commerciali avviate da altri ricorrendo a queste gabelle. 

Li impose Lyndon Johnson nel 1963 sulla fecola di patate, il brandy e i furgoni europei in risposta a quelli imposti dall'Europa sui propri polli; li impose Clinton nel 1993 sul cashmere scozzese e i formaggi francesi e italiani in risposta a quelli europei sulle banane importate dal Sudamerica; li ha imposti Biden (dazi del 100%) sull'importazione di auto dalla Cina e così via.

Niente di nuovo sotto il sole, quindi. Il problema è che i dazi raramente hanno prodotto i benefici che chi li imponeva si aspettava. Anzi, quasi mai. L'esempio più eclatante sono i danni all'economia americana prodotti dai dazi che nel 2018, nella sua amministrazione precedente, Trump impose sull'importazione delle lavatrici, una misura che provocò un aumento del prezzo degli elettrodomestici per il bucato del 34% e fece salire l'inflazione al 21%. Nel 2018, quindi, Trump avviò una guerra commerciale che perdette

Adesso ci riprova "col ghigno e l'ignoranza del primo della classe", mi verrebbe da dire citando Guccini, e l'impressione è che, dilettantisticamente, Trump abbia lanciato una bomba senza avere la minima contezza degli effetti reali. Un po' come se dicesse: Io provo e vedo cosa resta in piedi. Da ciò che prospettano gli analisti, in piedi resterà ben poco.

mercoledì 2 aprile 2025

Quattro ipotesi sull'origine del linguaggio

Perché la nostra specie parla? Perché, a differenza di tutte le altre specie che popolano il pianeta, la nostra è l'unica in cui i suoi appartenenti comunicano tra loro non solo attraverso la gestualità ma attraverso il linguaggio parlato? Non si sa. Non a caso questo stupendo saggio di Lorenzo Pinna si intitola Quattro ipotesi sull'origine del linguaggio. Appunto perché tutto ciò che gli studiosi hanno in mano oggi, nonostante il tema sia studiato da secoli, sono ipotesi.

Ciò di cui si ha certezza è che il linguaggio umano è il risultato di un complesso intreccio di evoluzione biologica e culturale che l'ha reso non solo un potente mezzo di comunicazione ma anche uno strumento di rappresentazione, controllo e manipolazione della realtà, ma le sue origini rimangono ancora oggi senza spiegazione.

L'ipotesi più interessante è quella della casualità: noi possediamo un apparato fonatorio che possiamo controllare grazie a una mutazione genetica completamente casuale. Una mutazione che si sarebbe innescata 300.000 anni fa, agli albori della nostra specie, rimanendo poi inutilizzata per quasi 200.000 anni, finché fu "scoperta" dai nostri lontani antenati circa 100.000 anni fa, periodo in cui si ipotizza sia nato il linguaggio più o meno nella forma in cui lo conosciamo oggi.

Un'altra ipotesi molto interessante è che il linguaggio articolato sia lo sviluppo di primitive espressioni vocali che i nostri antichissimi antenati utilizzavano per segnalare pericoli o presenza di cibo. Espressioni vocali utilizzate ancora oggi da molti nostri "cugini" primati come alcune specie di scimmie, le quali emettono suoni vocali specifici per segnalare agli altri appartenenti al gruppo la presenza di predatori. Alcuni di questi nostri "cugini", come i cercopitechi, sono in grado addirittura di usare espressioni fonetiche diverse per ogni tipo di pericolo che incombe (un leone piuttosto che un serpente) e di farsi capire.

Linguaggio a parte, il libro è un interessantissimo viaggio nella nostra storia evolutiva e una esplorazione delle radici profonde che ci legano ai nostri antenati e al mondo della natura. Vale la pena leggerlo anche solo per questo.

martedì 1 aprile 2025

Il male


È dall’inizio dell’invasione nella Striscia di Gaza che Israele prende sistematicamente di mira operatori sanitari e personale civile che opera all’interno della Striscia, violando moltissime norme del diritto internazionale. Secondo una recente stima dell’OCHA dall’ottobre del 2023 sono stati uccisi nella Striscia di Gaza circa 400 fra medici, infermieri, insegnanti e operatori umanitari, di cui almeno 76 dipendenti di organizzazioni non governative.
 

Mentre leggevo questo articolo del Post sull'ultima atrocità compiuta da Israele, cioè il massacro deliberato di un gruppo di operatori umanitari che stavano operando nel sud della Striscia, pensavo che l'esercito israeliano e Netanyahu sono il male. Se volessimo, oggi, indicare qualcosa o qualcuno che rappresentino il male nella sua accezione più ampia, dovremmo indicare questi due soggetti.

Perché se si uccidono deliberatamente - tecnicamente si tratta di una esecuzione - delle persone e si occultano i loro corpi in una fossa comune coi bulldozer, e per di più le vittime erano operatori umanitari che correvano a soccorrere feriti, chi si rende colpevole di questo orrore può solo essere definito il male.

E pure noi, la nostra Europa e il nostro Occidente coi suoi silenzi conniventi siamo parte di questo male. Se mai l'occidente ha avuto una qualche forma di superiorità morale (in realtà sappiamo bene che non l'ha mai avuta) rispetto al resto del mondo, dopo il 28 ottobre 2023 l'ha persa.

Come gli orchestrali

Mi viene in mente una vecchia canzone di Battiato che a un certo punto dice: "Gli orchestrali sono uguali in tutto il mondo, simili ai segnali orario delle radio". Dagli orchestrali ai politici è un attimo. 

Come succede sempre anche da noi, in particolare quando di mezzo c'è un politico di destra, il ritornello è sempre quello: è una sentenza politica emessa da un giudice (generalmente comunista) in ossequio a un complotto organizzato per sovvertire per via giudiziaria il volere del popolo. Cambiano le latitudini ma la sostanza rimane quella e la Le Pen non fa eccezione.

Naturalmente l'uscita dalla partita della signora francese non impedirà la vittoria del Rassemblement National alle elezioni del 2027, e il giovane Bardella è già pronto a raccogliere il testimone.


La piazza che preferisco

Rispetto alla piazza pro-Europa (qualunque cosa volesse dire) organizzata da Michele Serra qualche settimana fa, preferisco la piazza contro...