Ho appena terminato di leggere questo bel saggio di Roberto Burioni, Omeopatia, bugie, leggende e verità. La prima impressione che ho avuto è che si tratta di un libro che non servirà a niente, nel senso che chi crede a questa pseudo-medicina e ne fa uso difficilmente leggerà libri come questo e, anche in caso qualcuno lo leggesse, dubito che leggerlo servirebbe non dico a fargli cambiare idea ma anche solo a insinuargli qualche tarlo. È un po' come per i vaccini, dal momento che, è noto, gli antivaccinisti non si smuovono neppure davanti alle evidenze.
Diciamo che questo saggio ha una sua validità in senso storico, perché permette di conoscere (Burioni è un ottimo divulgatore) nel dettaglio la storia di questa "medicina": il fondatore, l'epoca in cui è nata, il contesto sociale, la sua evoluzione ecc. Segnalo un paio di cose, tra le tante, che mi hanno colpito.
L'omeopatia nacque attorno al 1800 da un'intuizione del medico tedesco Samuel Hahnemann. A quell'epoca una delle malattie più letali in circolazione in vaste aree del mondo era la malaria, di cui nessuno, per lungo tempo, riuscì a capire le cause e, conseguentemente, neppure a trovare una cura. Solo nel 1880, in Algeria, un medico francese, Alphonse Laveran, scoprì e isolò il batterio responsabile delle febbri malariche, il plasmodio. In realtà, già da molto tempo prima (ma in Europa non lo sapeva nessuno) gli indigeni del Sudamerica avevano scoperto una cura facendo essiccare la corteccia dell'albero della china, la quale contiene un alcaloide, il chinino, dalle elevate proprietà "febbrifughe".
Hahnemann venne a sapere questa cosa dagli scritti di un medico scozzese, William Cullen, che spiegava in che modo il chinino contrastava efficacemente le febbri malariche. Hahnemann, però, non era convinto di quelle spiegazioni e un giorno ebbe l'idea di fare un esperimento, che consistette nell'ingurgitare grandi dosi di estratti di corteccia di chinino. Si accorse con meraviglia che l'ingestione massiccia di questa sostanza gli provocava i medesimi sintomi della malaria: febbre, brividi e spossatezza, e da qui postulò, per fantasiosa analogia, che ciò che provocava i sintomi di una malattia sarebbe stato anche in grado di elimunarla. In sostanza, il simile cura il simile (il termine omeopatia significa questo).
Proseguendo questi esperimenti, però, si imbatté inevitabilmente in altre sostanze che non erano innocue come il chinino, che al massimo provocava febbre e un po' di stanchezza, ma molto più pericolose (mercurio, arsenico, belladonna, ipecacuana ecc.), sostanze che provocavano seri problemi al paziente e in molti casi lo spedivano direttamente al creatore (sapete com'è: se si ingurgita l'arsenico...). Da qui l'idea di cominciare a diluire le sostanze progressivamente fino a renderle innocue, nella convinzione che più fossero diluite e maggiore fosse il loro potere terapeutico. Oggi queste cose fanno ridere, ma è su questo ridicolo e assurdo principio che ancora, duecento anni dopo la sua invenzione, si regge l'omeopatia odierna.
L'altra cosa degna di nota è che, paradossalmente, all'epoca di Hahnemann l'omeopatia otteneva più risultati degli altri rimedi medici. Questa cosa si spiega, in realtà, col fatto che nel periodo in cui visse il medico tedesco la medicina era a livelli infinitamente più arretrati rispetto a quelli di oggi e le poche "cure" disponibili, principalmente i famigerati salassi, uccidevano più persone di quante ne guarissero. Le cure omeopatiche, invece, non contenendo nulla non uccidevano nessuno (non guarivano neppure, naturalmente), e quindi le normali remissioni spontanee delle malattie (ogni malattia ne ha una certa percentuale) venivano attribuite alle cure omeopatiche.
Insomma, all'epoca l'omeopatia poteva avere un senso, oggi non più. Sarà per questo che il fatturato dell'omeopatia, in Italia, si aggira attualmente attorno ai 300 milioni di euro all'anno: più le cose non hanno senso e più diamo loro credito.
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