giovedì 30 aprile 2020
Renzi e i morti di Bergamo e Brescia
Non so se i morti di Bergamo e Brescia, potendo parlare, chiederebbero di riaprire tutto, immagino piuttosto che chiederebbero perché non si sia chiuso prima. Ma Renzi, dall'alto delle sue doti di veggente che al confronto quelli di Medjugorje sono dei pivellini, ce lo dice con sicurezza, perché dunque non credergli?
Iniziai a diffidare di Matteo Renzi quando si affacciò alla politica nazionale, attorno al 2013/2014. Non lo conoscevo ancora, era una diffidenza a pelle. Poi, col tempo, imparai a conoscerlo, e il suo primo governo, nato all'insegna del patto del Nazareno e che stava in piedi con l'appoggio di Berlusconi, avallò e corroborò quella diffidenza.
Poi arrivò il famoso/famigerato referendum costituzionale e lì le mie perplessità e diffidenze si coagularono in una certezza: l'Italia aveva a che fare con un pericoloso cialtrone. Il twittare compulsivo, la smania di essere sempre al centro della scena, l'ostinata prontezza al facile slogan privo di ogni ragionamento retrostante, la costante ostentazione di una spaventevole ipertrofia dell'io, il disprezzo verso il dissenso e la critica e verso chiunque avesse una competenza; in ultimo, l'indecente e vergognosa esibizione odierna in Senato; tutti questi elementi insieme forniscono la definitiva certezza di trovarci di fronte a un politico forse addirittura peggiore, perlomeno in quanto a pericolosità, dei già indecenti Salvini e Meloni.
Uno che, esattamente come loro, è disposto a calpestare persone, idee, valori, sensibilità con l'esclusiva motivazione di mantenere un posto al sole, fosse pure un posto al sole quantificabile con percentuali da prefisso telefonico. Un giorno questo paese, ma non solo questo, dovrà farsi un serio esame di coscienza circa i criteri con cui ha selezionato la classe dirigente degli ultimi cinque o sei lustri.
Mark Twain?
Ho trovato Le avventure di Huckleberry Finn tra i libri delle mie figlie, e leggendo le note iniziali relative all'autore ho scoperto, cosa che non sapevo, che Mark Twain è uno pseudonimo. Il vero nome del grande scrittore americano è infatti Samuel Langhorn Clemens.
Da dove viene, quindi, Mark Twain? Dal suo secondo mestiere. Prima fu tipografo, poi, un giorno, navigando sul Mississippi, conobbe un pilota di battelli che lo iniziò all'arte della navigazione, finché egli stesso non cominciò a svolgere questo mestiere. "Mark twain!" è il grido con cui il pilota del battello ordinava al membro dell'equipaggio addetto di segnare due tacche sulla pertica che misurava la profondità.
Samuel Langhorn Clemens firmò in quel modo i primi scritti che inviò ai vari editori per farseli pubblicare, e quello pseudonimo gli restò per sempre.
Da dove viene, quindi, Mark Twain? Dal suo secondo mestiere. Prima fu tipografo, poi, un giorno, navigando sul Mississippi, conobbe un pilota di battelli che lo iniziò all'arte della navigazione, finché egli stesso non cominciò a svolgere questo mestiere. "Mark twain!" è il grido con cui il pilota del battello ordinava al membro dell'equipaggio addetto di segnare due tacche sulla pertica che misurava la profondità.
Samuel Langhorn Clemens firmò in quel modo i primi scritti che inviò ai vari editori per farseli pubblicare, e quello pseudonimo gli restò per sempre.
mercoledì 29 aprile 2020
Dov'è questa dittatura?
Ma dov'è questa dittatura di cui strillano Sgarbi e altri? Dove, esattamente, con le restrizioni di questo periodo sarebbe stata calpestata la Costituzione? In quale punto? In quale articolo? Chi fa queste affermazioni l'ha mai letta veramente, la Costituzione? Ne dubito. Essere obbligati per un paio di mesi a stare all'aperto il meno possibile per cercare di contenere una gravissima e inedita pandemia mondiale, provocata da un virus estremamente contagioso che solo qui in Italia ha fatto ormai quasi 30.000 morti, è una dittatura? Immagino che chi fa simili affermazioni non abbia probabilmente mai aperto un libro in cui è descritta cosa è veramente una dittatura. Ma oggi, si sa, aprire libri è fuori moda, è out, mentre invece diventare esperti di tutto senza sapere niente, specie sui social, è in, è di moda, fa tendenza.
martedì 28 aprile 2020
La CEI "esige"
Non ho potuto fare a meno di notare come la CEI, Conferenza Episcopale Italiana, di fronte alle misure governative anti-pandemia che prevedono la chiusura delle chiese alle funzioni religiose, "esige" (testuale) che le suddette chiese vengano riaperte e le funzioni ripristinate, laddove invece il papa, più responsabilmente (e cristianamente, a mio modesto parere), "chiede" (notate la lieve differenza tra esigere e chiedere?) prudenza e obbedienza alle disposizioni per contenere il contagio.
Non ricordo prese di posizione altrettanto dure della CEI quando Salvini sventolava rosari, madonne e crocifissi o quando respingeva navi con centinaia di disperati sopra, anche in questi frangenti ricordo solo gli appelli accorati del papa. Ma magari ricordo male.
Non ricordo prese di posizione altrettanto dure della CEI quando Salvini sventolava rosari, madonne e crocifissi o quando respingeva navi con centinaia di disperati sopra, anche in questi frangenti ricordo solo gli appelli accorati del papa. Ma magari ricordo male.
lunedì 27 aprile 2020
Una vita normale?
Stamattina, complice un bel sole già quasi estivo, ho inforcato bicicletta e mascherina e sono andato prima in edicola e poi in banca. Fiorenza, la mia edicolante, anche lei ovviamente con la sua bella mascherina, ha segnato sul pavimento con del nastro adesivo rosso il limite della distanza di sicurezza dal banco. Ho comprato il giornale, ho pagato - il tutto sempre a distanza ammessa, naturalmente - l'ho salutata e mi sono diretto in banca.
Qui, posizionata sullo sportello, è stata installata una specie di barriera in pexiglass trasparente che divide il cliente dall'impiegato, con una feritoia sul lato inferiore che permette il passaggio di fogli e documenti vari. Ovviamente, sia io che l'impiegato indossavamo la mascherina d'ordinanza, che, non so se abbiate anche voi questa sensazione, sta cominciando a essere un accessorio quasi normale nella vita di tutti i giorni. Un po' come portare gli occhiali, per dire.
Voglio dire che, rispetto ai primi tempi della pandemia, quando andare in giro con la mascherina provocava quel senso di... timorosa inquietudine, diciamo così, ora qualcosa è cambiato. Andare a fare spesa, andare in edicola o in banca o in qualsiasi altro posto, con indosso quell'accessorio all'inizio inquietante, sta diventando una cosa quasi normale, o almeno io avverto questa sensazione.
Ho l'impressione che, adottando le opportune cautele, sarà possibile, in questa famosa Fase due, tornare non dico alla vita normale come era prima della pandemia, ché per quella, se mai ci si tornerà, ci vorrà ancora un tempo indefinito, ma comunque a una vita simil-normale. In attesa, naturalmente, di poter togliere tutto, mascherine e restrizioni, perché il coronavirus sarà stato definitivamente sconfitto.
Qui, posizionata sullo sportello, è stata installata una specie di barriera in pexiglass trasparente che divide il cliente dall'impiegato, con una feritoia sul lato inferiore che permette il passaggio di fogli e documenti vari. Ovviamente, sia io che l'impiegato indossavamo la mascherina d'ordinanza, che, non so se abbiate anche voi questa sensazione, sta cominciando a essere un accessorio quasi normale nella vita di tutti i giorni. Un po' come portare gli occhiali, per dire.
Voglio dire che, rispetto ai primi tempi della pandemia, quando andare in giro con la mascherina provocava quel senso di... timorosa inquietudine, diciamo così, ora qualcosa è cambiato. Andare a fare spesa, andare in edicola o in banca o in qualsiasi altro posto, con indosso quell'accessorio all'inizio inquietante, sta diventando una cosa quasi normale, o almeno io avverto questa sensazione.
Ho l'impressione che, adottando le opportune cautele, sarà possibile, in questa famosa Fase due, tornare non dico alla vita normale come era prima della pandemia, ché per quella, se mai ci si tornerà, ci vorrà ancora un tempo indefinito, ma comunque a una vita simil-normale. In attesa, naturalmente, di poter togliere tutto, mascherine e restrizioni, perché il coronavirus sarà stato definitivamente sconfitto.
domenica 26 aprile 2020
Guccini e Bella ciao
Come gucciniano vero dico che la storpiatura di Bella ciao fatta da Guccini non mi è piaciuta. L'ho trovata una brutta caduta di stile per il cantautore/poeta che amo da una vita, e anche un abbassarsi e livellarsi al modus operandi comunicativo dei vari Meloni, Salvini e soci.
Non che non ne condivida i contenuti, tutt'altro, come non essere d'accordo con l'auspicio che arrivi un 25 aprile che si porti via certa gentaglia? Ma ho sempre considerato Guccini infinitamente superiore a questi stilemi un po' infantili tipici di un Povia qualsiasi. Spero sia solo una caduta di stile accidentale, magari dovuta all'età.
Coraggio, maestrone, grazie a te e alle tue canzoni ho conosciuto Dumas, Cervantes, Hemingway, non dilapidare la tua grandezza letteraria, poetica e musicale con uno stornello infelice.
Non che non ne condivida i contenuti, tutt'altro, come non essere d'accordo con l'auspicio che arrivi un 25 aprile che si porti via certa gentaglia? Ma ho sempre considerato Guccini infinitamente superiore a questi stilemi un po' infantili tipici di un Povia qualsiasi. Spero sia solo una caduta di stile accidentale, magari dovuta all'età.
Coraggio, maestrone, grazie a te e alle tue canzoni ho conosciuto Dumas, Cervantes, Hemingway, non dilapidare la tua grandezza letteraria, poetica e musicale con uno stornello infelice.
sabato 25 aprile 2020
Buon 25 aprile
Sì, è vero, dobbiamo restare in casa, ma anche in casa può essere un buon 25 aprile. Buona festa della Liberazione a tutti.
venerdì 24 aprile 2020
Il vecchio che leggeva romanzi d'amore
Iniziato stamattina e terminato stasera. Il vecchio che leggeva romanzi d'amore, che io non avevo mai letto, è il romanzo d'esordio di Luis Sepúlveda, pubblicato per la prima volta nel 1989, ed è probabilmente il suo libro più noto. Bellissimo e struggente, non aggiungo altro. Piccolo consiglio spassionato: se come me non l'avete mai letto, leggetelo; è un piccolo capolavoro.
Iniettare il disinfettante
Nel diluvio di sproloqui attorno al coronavirus che caratterizzano questi tempi bui, il suggerimento che il suddetto virus si potrebbe sconfiggere iniettando nei contagiati dosi di disinfettante ancora mancava. E, badate, non l'ha detto un Red Ronnie o un cazzaro qualsiasi, l'ha detto il presidente degli USA. Cioè, se non fosse chiaro, Donald Trump, il presidente della prima potenza economica del mondo, ha suggerito di provare a curare il coronavirus iniettando nei malati dosi di disinfettante (amuchina via endovena, tipo?) o, in alternativa o in aggiunta, di sottoporre i malati a trattamenti a base di raggi ultravioletti. Non so, adesso fate voi.
sabato 18 aprile 2020
Trent'anni (di lavoro)
Nel mese di aprile del 1990 - il giorno preciso non lo ricordo, dovrei andare a controllare - venivo assunto dall'azienda in cui lavoro tuttora. Iniziai, insieme ad altri, come stagionale. A fine settembre o inizio ottobre, non ricordo bene, mi venne chiesto se fossi interessato a rimanere. Lo chiese l'azienda a me, non io ad essa, cosa che sembra surreale, oggi. Al momento non avevo grosse prospettive, né, a dire la verità, avevo voglia di cercare altro. E comunque quel lavoro non mi dispiaceva, anche se prevedeva il notturno. Accettai e firmai un contratto a tempo indeterminato. Un contratto fisso, insomma, che mi ha permesso di arrivare a oggi e, forse (la forma dubitativa è sempre da mettere in conto sotto questi chiari di Luna), mi permetterà di arrivare alla pensione senza arrabattarmi in altri modi - la strada è ancora lunga ma il grosso è fatto.
Sono passati trent'anni, dicevo, come la famosa guerra omonima. Ma se di guerra vogliamo parlare, anche se il termine è inadatto, quella iniziò due anni dopo. Nel 1992, infatti, vide la luce la legge chiamata Pacchetto Treu, con la quale nacquero le prime forme di lavoro "flessibile" (ricordate i famigerati contratti co.co.co, co.co.pro. ecc.?). Era l'epoca in cui cominciava a prendere piede l'idea, rivelatasi poi clamorosamente illusoria, che la miglior risposta alla veloce trasformazione delle dinamiche del lavoro fosse la flessibilità. Flessibilità è un termine edulcorato e altisonante col quale si è sempre mascherato quello di precarietà. Insomma, un lavoro flessibile è un lavoro precario, giusto per non girarci troppo attorno.
Naturalmente il Pacchetto Treu fu solo il primo di una serie di riforme del lavoro che, nel corso degli anni, si sarebbero mosse sullo stesso binario: rafforzamento della flessibilità (precarietà), indebolimento delle garanzie e dei diritti di chi lavora. Nei primi anni duemila, incanalato nello stesso solco, vide infatti la luce la Legge Biagi, nel 2014 il famigerato JobsAct di Renzi (l'inglese ammanta di autorevolezza e bontà anche le porcate più invereconde, non trovate?), per finire col Decreto Poletti del 2016. Quando iniziai a lavorare io la norma erano i contratti stagionali o indeterminati, non ne esistevano di altri tipi, almeno che io ricordi; oggi non esiste più nulla di tutto questo, la norma è rappresentata dalla precarietà spacciata per flessibilità, strumenti coi quali un giovane dovrebbe avere l'arditezza di pianificarsi un futuro. Ai miei tempi si poteva fare. Forte dei miei vent'anni e del mio contratto a tempo indeterminato, potei organizzarmi e mettere su famiglia; oggi un giovane con un contratto a chiamata rinnovato di settimana in settimana può pianificare qualcosa?
Intendiamoci, non è che negli anni Novanta la disoccupazione non esistesse; esisteva, certo, anche se in misura minore, ma trovare un lavoro, all'epoca, non prevedeva la ricerca dell'Araba Fenice, che tutti sanno che c'è e nessuno sa dov'è, era molto più semplice, e soprattutto, quando si veniva assunti, si veniva assunti con le garanzie e le certezze che su quel lavoro si poteva fare affidamento e, di conseguenza, cominciare a progettare qualcosa. Oggi, con un contratto a chiamata, un giovane è già molto se riesce a pianificare una pizza un sabato sera.
Sono passati trent'anni, dicevo, come la famosa guerra omonima. Ma se di guerra vogliamo parlare, anche se il termine è inadatto, quella iniziò due anni dopo. Nel 1992, infatti, vide la luce la legge chiamata Pacchetto Treu, con la quale nacquero le prime forme di lavoro "flessibile" (ricordate i famigerati contratti co.co.co, co.co.pro. ecc.?). Era l'epoca in cui cominciava a prendere piede l'idea, rivelatasi poi clamorosamente illusoria, che la miglior risposta alla veloce trasformazione delle dinamiche del lavoro fosse la flessibilità. Flessibilità è un termine edulcorato e altisonante col quale si è sempre mascherato quello di precarietà. Insomma, un lavoro flessibile è un lavoro precario, giusto per non girarci troppo attorno.
Naturalmente il Pacchetto Treu fu solo il primo di una serie di riforme del lavoro che, nel corso degli anni, si sarebbero mosse sullo stesso binario: rafforzamento della flessibilità (precarietà), indebolimento delle garanzie e dei diritti di chi lavora. Nei primi anni duemila, incanalato nello stesso solco, vide infatti la luce la Legge Biagi, nel 2014 il famigerato JobsAct di Renzi (l'inglese ammanta di autorevolezza e bontà anche le porcate più invereconde, non trovate?), per finire col Decreto Poletti del 2016. Quando iniziai a lavorare io la norma erano i contratti stagionali o indeterminati, non ne esistevano di altri tipi, almeno che io ricordi; oggi non esiste più nulla di tutto questo, la norma è rappresentata dalla precarietà spacciata per flessibilità, strumenti coi quali un giovane dovrebbe avere l'arditezza di pianificarsi un futuro. Ai miei tempi si poteva fare. Forte dei miei vent'anni e del mio contratto a tempo indeterminato, potei organizzarmi e mettere su famiglia; oggi un giovane con un contratto a chiamata rinnovato di settimana in settimana può pianificare qualcosa?
Intendiamoci, non è che negli anni Novanta la disoccupazione non esistesse; esisteva, certo, anche se in misura minore, ma trovare un lavoro, all'epoca, non prevedeva la ricerca dell'Araba Fenice, che tutti sanno che c'è e nessuno sa dov'è, era molto più semplice, e soprattutto, quando si veniva assunti, si veniva assunti con le garanzie e le certezze che su quel lavoro si poteva fare affidamento e, di conseguenza, cominciare a progettare qualcosa. Oggi, con un contratto a chiamata, un giovane è già molto se riesce a pianificare una pizza un sabato sera.
venerdì 17 aprile 2020
Sì, è di King
Su invito di Francesca, mia figlia minore, abbiamo guardato tutti insieme, qualche sera fa, Le ali della libertà, film drammatico uscito nel 1994 per la regia di Frank Darabont, con Tim Robbins e un immenso Morgan Freeman. Lo vidi per la prima volta quando uscì, nel 1994 appunto, ma l'ho riguardato molto volentieri. Francesca ci ha proposto di guardarlo perché lei stessa, qualche tempo fa, vi aveva già assistito a casa di amici, e siccome a parte me e lei nessuno l'aveva ancora visto...
Terminata la visione, il film è piaciuto naturalmente a tutti, ho svelato quel che gli altri tre non sapevano (si poteva evincere dai titoli di testa, naturalmente, ma chi ci guarda, di solito?), e cioè che quel film, che obbliga a dotarsi di fazzoletto nel finale, è tratto da un racconto di Stephen King dal titolo Rita Hayworth e la redenzione di Shawshank, il primo dei quattro racconti lunghi che compongono la raccolta Stagioni diverse, pubblicata nel 1982.
Stupore generale, naturalmente, perché qua in famiglia, oltre che nell'immaginario collettivo, è ben radicato il luogo comune che ingabbia sbrigativamente Stephen King, ai cui libri mi sono avvicinato quando ancora portavo i calzoni corti, nel filone della letteratura gotica dell'orrore. Bene, non è così.
Certo, è vero, King ha raggiunto la celebrità con i vari Shining, It, A volte ritornano, Cujo e altri, ma è altrettanto vero che il grande scrittore di Portland si è cimentato, nella sua ormai cinquantennale carriera di romanziere, con tutti i generi letterari: dall'horror al noir, dal thriller al fantasy, dal poliziesco al romanzo d'appendice, dal romanzo di formazione all'autobiografia ecc. E Rita Hayworth e la redenzione di Shawshank è solo uno dei tantissimi esempi che lo dimostrano.
Insomma, diamo a Cesare ciò che è di Cesare e... al Re ciò che è del Re.
giovedì 16 aprile 2020
mercoledì 15 aprile 2020
Un merito del coronavirus
Se il coronavirus ha un merito, è quello di essere riuscito là dove Greta Thunberg e tutti i vari accordi internazionali sul clima degli ultimi decenni (quasi sempre disattesi) hanno fallito: diminuire l'inquinamento del pianeta.
Il problema è che questa sensibile diminuzione dell'inquinamento, che oggi è sotto gli occhi di tutti e oggetto di continui report, si ottiene al prezzo di un aumento della disoccupazione, perché con le fabbriche e le industrie ferme l'inquinamento scompare, è vero, ma le persone perdono il lavoro, e ciò significa nella migliore delle ipotesi disagio economico, nella peggiore la discesa nel baratro della povertà.
Questo circolo vizioso e perverso dovrebbe indurre tutti a elaborare qualche riflessione su come abbiamo costruito e impostato la nostra società, sui meccanismi che ci siamo inventati per regolarla. Meccanismi fragili e deleteri che, in sostanza, si possono ridurre alla scelta riguardo a quale sia il modo migliore di morire: di povertà o di inquinamento.
Ho sintetizzato brutalmente, ma il concetto che volevo esprimere credo sia chiaro.
Il problema è che questa sensibile diminuzione dell'inquinamento, che oggi è sotto gli occhi di tutti e oggetto di continui report, si ottiene al prezzo di un aumento della disoccupazione, perché con le fabbriche e le industrie ferme l'inquinamento scompare, è vero, ma le persone perdono il lavoro, e ciò significa nella migliore delle ipotesi disagio economico, nella peggiore la discesa nel baratro della povertà.
Questo circolo vizioso e perverso dovrebbe indurre tutti a elaborare qualche riflessione su come abbiamo costruito e impostato la nostra società, sui meccanismi che ci siamo inventati per regolarla. Meccanismi fragili e deleteri che, in sostanza, si possono ridurre alla scelta riguardo a quale sia il modo migliore di morire: di povertà o di inquinamento.
Ho sintetizzato brutalmente, ma il concetto che volevo esprimere credo sia chiaro.
mercoledì 8 aprile 2020
[...]
"La retorica è l'arte del dire bene quel che non è sicuro che sia vero" [...]
(Dal dialogo tra Ottone e Baudolino nell'omonimo romanzo di Umberto Eco, che sto leggendo in questi giorni.)
(Dal dialogo tra Ottone e Baudolino nell'omonimo romanzo di Umberto Eco, che sto leggendo in questi giorni.)
Murgia-Battiato
Ascolto Franco Battiato dalla tenera età di undici anni, quando di nascosto mi infilavo nella Due Cavalli di mio zio Mauro, accendevo il mangianastri e mandavo ad libitum il nastro Basf con su La voce del padrone, uno degli album più universalmente noti del cantautore siciliano. Non il migliore, a mio avviso, ma sicuramente il più famoso.
Da allora non ho più smesso, e disco dopo disco, cd dopo cd, musicassetta dopo musicassetta, sono riuscito a impossessarmi di quasi tutta la sua discografia, compresi gli album di musica sperimentale tipo Fetus, Pollution, Areknames e altri, pubblicati prima del 1979, quando, con l'album L'era del cinghiale bianco, avvenne la svolta popolare/leggera del cantautore.
Tra musica elettronica, lirica, d'autore e leggera, Battiato ha pubblicato nella sua carriera più di quaranta dischi (escluse raccolte, live, bootleg ecc.). Non so quale sia il livello di conoscenza di tale monumentale opera della signora Michela Murgia, ma giudicare genericamente i suoi testi come "minchiate assolute" e "citazioni su citazioni senza nessun significato reale", non mi fa propendere per una conoscenza esaustiva.
Intendiamoci, la signora Murgia ha espresso un suo giudizio e va bene, ma mi viene da pensare che fra cinquant'anni canteremo ancora Battiato, della Murgia resterà giusto questa figura barbina.
Da allora non ho più smesso, e disco dopo disco, cd dopo cd, musicassetta dopo musicassetta, sono riuscito a impossessarmi di quasi tutta la sua discografia, compresi gli album di musica sperimentale tipo Fetus, Pollution, Areknames e altri, pubblicati prima del 1979, quando, con l'album L'era del cinghiale bianco, avvenne la svolta popolare/leggera del cantautore.
Tra musica elettronica, lirica, d'autore e leggera, Battiato ha pubblicato nella sua carriera più di quaranta dischi (escluse raccolte, live, bootleg ecc.). Non so quale sia il livello di conoscenza di tale monumentale opera della signora Michela Murgia, ma giudicare genericamente i suoi testi come "minchiate assolute" e "citazioni su citazioni senza nessun significato reale", non mi fa propendere per una conoscenza esaustiva.
Intendiamoci, la signora Murgia ha espresso un suo giudizio e va bene, ma mi viene da pensare che fra cinquant'anni canteremo ancora Battiato, della Murgia resterà giusto questa figura barbina.
martedì 7 aprile 2020
Usare bene la virgola
Nel breve sommario posto sotto il titolo di questo articolo di Repubblica, si legge: "Nella Fase 2 gli stabilimenti produttivi avranno la priorità. Solo dopo un progressivo allentamento delle misure restrittive."
Messa giù così, la frase che ho evidenziato in neretto viene intesa nel senso che dopo l'allentamento delle misure restrittive, quelle che stiamo subendo tutti, ripartiranno gli stabilimenti, assunto che non corrisponde né a quanto dice il titolo né a quanto riporta l'articolo.
Per generare questa corrispondenza, l'articolista avrebbe dovuto fare seguire alla preposizione "dopo" una virgola, così: "Solo dopo, un progressivo allentamento delle misure restrittive." Cioè, prima si comincia a far ripartire le aziende, poi si allentano le misure restrittive, come si evince chiaramente dal titolo e dal contenuto della notizia.
L'estensore dell'articolo, omettendo quella virgola, ha quindi riassunto in maniera contraria il suo contenuto. Ora, che questa cosa la faccia un piccolo blogger di campagna come lo scrivente, passi, ma che una svista così grossolana sfugga a uno dei maggiori siti d'informazione del nostro paese, a me pare grave. Sarà che sono pignolo.
In ogni caso, qui sotto vi lascio un gustoso video del mitico Roberto Mercadini, postato giusto in questi giorni, che evidenzia come una virgola omessa, o posizionata in posti diversi, possa stravolgere completamente il senso di una frase. Se qualcuno lo volesse linkare a Repubblica...
Biciclettando
Oggi è stato il primo giorno in cui mi sono recato al lavoro in bicicletta, cosa questa che mi ha consentito di prendere coscienza di due cose: la prima è che sono gravemente fuori forma, e questo lo avevo messo in conto (il respiro un po' affannato nella prima parte del video è lì a testimoniarlo); la seconda è che Santarcangelo senza macchine e senza nessuno in giro è bellissima. Un po' inquietante ma bellissima.
lunedì 6 aprile 2020
Cinquanta
Oggi i miei hanno portato una torta per il mio compleanno. L'hanno lasciata sotto il portico, sopra il tavolo, e mi hanno fatto gli auguri a distanza di due metri.
I miei cinquant'anni nel tempo del coronavirus.
I miei cinquant'anni nel tempo del coronavirus.
domenica 5 aprile 2020
Spararle più grosse che si può
La stupidaggine, l'ennesima, di Salvini relativa all'apertura delle chiese per Pasqua è la conferma che, al momento, l’unica strategia del leader leghista è fare più cancan possibile su temi irrilevanti, con lo scopo di cercare di restare al centro dell'attenzione e tentare di arginare la costante emorragia di consensi. Andando avanti di questo passo, più Salvini cadrà nella marginalizzazione e più le sparerà grosse, e credo sia plausibile immaginare che più le sparerà grosse e maggiore sarà il numero di quelli che rinsaviranno e si renderanno conto del tipo di pasta di cui è fatto. Da queste parti l'auspicio è che, con questo andazzo, in capo a non moltissimo tempo il felpato si autoconsegnerà all'irrilevanza in cui merita di stare.
sabato 4 aprile 2020
Dentro Cuore
Sto leggendo Cuore di Edmondo De Amicis, e mi sono imbattuto in un racconto chiamato Il piccolo scrivano fiorentino. È uno dei racconti più belli ed emozionanti che mi sia capitato di leggere da un bel po' di tempo in qua.
venerdì 3 aprile 2020
Lutero
Iniziato stamattina e finito stasera. Lutero, la parola e la Riforma è un saggio storico, scritto da Federica Meloni, sulla vita di Martin Lutero (vero nome: Martin Luder), accademico e teologo agostiniano tedesco, vissuto a cavallo fra il 1400 e il 1500, che seppe sfidare l'immenso potere della Chiesa semplicemente brandendo la Bibbia e dando così i natali alla Riforma protestante.
Conoscevo a grandi linee la sua storia e le sue vicende, ma leggerle nel dettaglio mi ha consentito di avere una visione completa d'insieme di questo personaggio affascinante e carismatico. Uno dei saggi più belli letti ultimamente.
Siamo troppi
Vado al negozio di alimentari dall'altra parte della strada, mi servono un paio di cose. Due signore di mezz'età, davanti all'entrata, parlano del coronavirus e sono concordi nell'affermare che la pandemia è stata scatenata volutamente da non meglio precisati poteri forti perché nel mondo siamo troppi; ne avevano anche parlato - continuano - tempo fa in una trasmissione televisiva. Non è che dicevano queste cose con leggerezza, magari con qualche dubbio, no, lo affermavano convintamente. Ho sorriso e sono passato oltre.
giovedì 2 aprile 2020
Europa e coronavirus
L'Europa è veramente quella specie di mostro che da qualche tempo, in special modo da quando siamo alle prese con l'emergenza sanitaria del coronavirus, ci viene descritta, in particolar modo dalle varie ramificazioni della cosiddetta destra sovranista? Durante tutta la fase dell'emergenza coronavirus abbiamo sentito Salvini e Meloni, accompagnati dalla schiera al completo degli house organ sovranisti (Libero, Giornale, La Verità ecc.) apostrofare l'Europa come ignobile, l'Europa che durante l'emergenza ci ha abbandonati, l'Europa "una schifezza" e via di questo passo.
Come le persone più avvedute sanno, la realtà in cui viviamo è complessa, articolata, e per tentare di comprenderla al meglio occorre guardare le cose in ogni loro sfaccettatura e aspetto, pena l'impossibilità di capire come stanno realmente. Il problema è che approcciarsi alla complessità richiede impegno, fatica, disponibilità a mettere in discussione certezze e pregiudizi, ed è questo il motivo per cui fanno fortuna i politici che pontificano a suon di slogan. Buttare lì uno slogan a effetto, ripetuto più volte a mo' di dettato ipnotico e costruito in modo che soddisfi ciò che si vorrebbe sentir dire in quel particolare momento, specie se si vive in periodi di malcontento dilagante, elargisce soddisfazione immediata ed esonera il destinatario dalla fatica di ragionarci su per valutare l'attendibilità di ciò che si nasconde dietro lo slogan.
Analizzando la questione alla luce di quanto scritto sopra, è quindi vero che in questa fase di emergenza sanitaria l'Europa ha tenuto verso il nostro paese un comportamento "ignobile"? Dipende. Se si osserva la questione da ogni angolazione, troviamo comportamenti certamente discutibili, come ad esempio il rifiuto delle altezzose Olanda e Germania di finanziare i coronabond, ma se si guarda ciò che ha fatto l'Unione europea nel suo complesso durante questa emergenza, e non le mosse di due singoli paesi, si scoprono cose lodevoli e meritevoli, che vanno dalla sospensione del patto di stabilità al piano da 750 miliardi messo in campo dalla BCE; dallo sblocco delle esportazioni delle mascherine ai finanziamenti per la ricerca di un vaccino alla task force per il coordinamento dei soccorsi a livello europeo, solo per citare le principali (tutte le iniziative descritte in dettaglio sono qui).
In sostanza, quesiti complessi prevedono risposte complesse, non slogan facili confezionati per far presa sulla pancia della gente. E quando un politico impernia tutto il suo agire sulla costante emissione di slogan a cui non segue mai alcun ragionamento, significa che sta raccontando una piccola parte della verità. Quella che fa comodo a lui.
Come le persone più avvedute sanno, la realtà in cui viviamo è complessa, articolata, e per tentare di comprenderla al meglio occorre guardare le cose in ogni loro sfaccettatura e aspetto, pena l'impossibilità di capire come stanno realmente. Il problema è che approcciarsi alla complessità richiede impegno, fatica, disponibilità a mettere in discussione certezze e pregiudizi, ed è questo il motivo per cui fanno fortuna i politici che pontificano a suon di slogan. Buttare lì uno slogan a effetto, ripetuto più volte a mo' di dettato ipnotico e costruito in modo che soddisfi ciò che si vorrebbe sentir dire in quel particolare momento, specie se si vive in periodi di malcontento dilagante, elargisce soddisfazione immediata ed esonera il destinatario dalla fatica di ragionarci su per valutare l'attendibilità di ciò che si nasconde dietro lo slogan.
Analizzando la questione alla luce di quanto scritto sopra, è quindi vero che in questa fase di emergenza sanitaria l'Europa ha tenuto verso il nostro paese un comportamento "ignobile"? Dipende. Se si osserva la questione da ogni angolazione, troviamo comportamenti certamente discutibili, come ad esempio il rifiuto delle altezzose Olanda e Germania di finanziare i coronabond, ma se si guarda ciò che ha fatto l'Unione europea nel suo complesso durante questa emergenza, e non le mosse di due singoli paesi, si scoprono cose lodevoli e meritevoli, che vanno dalla sospensione del patto di stabilità al piano da 750 miliardi messo in campo dalla BCE; dallo sblocco delle esportazioni delle mascherine ai finanziamenti per la ricerca di un vaccino alla task force per il coordinamento dei soccorsi a livello europeo, solo per citare le principali (tutte le iniziative descritte in dettaglio sono qui).
In sostanza, quesiti complessi prevedono risposte complesse, non slogan facili confezionati per far presa sulla pancia della gente. E quando un politico impernia tutto il suo agire sulla costante emissione di slogan a cui non segue mai alcun ragionamento, significa che sta raccontando una piccola parte della verità. Quella che fa comodo a lui.
mercoledì 1 aprile 2020
Salvini, D'Urso e l'Eterno riposo
Ci sono tre modi, credo, di reagire all'abisso di populismo in cui siamo precipitati, al confronto del quale la Fossa delle Marianne è una pozzanghera primaverile: incazzarsi, rassegnarsi o riderci su. Forse è meglio riderci su, anche se c'è ben poco da ridere.
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