Vorrei nel mio piccolo fare presente che le proteste nelle università americane non sono iniziate oggi. Neppure ieri. Neppure un mese fa. Sono iniziare il 7 ottobre dello scorso anno in conseguenza dell'attentato di Hamas a Israele. Da allora, diversi gruppi studenteschi hanno protestato sia per manifestare solidarietà a Israele, sia per rigettare le politiche di Netanyahu, che ormai da mesi ha assediato e invaso Gaza uccidendo fino ad oggi 35mila persone.
So bene che approcciarsi alla complessità sui social è impresa ardua, ma accusare genericamente di antisemitismo chiunque in America protesti è una semplificazione che grida vendetta. La maggior parte delle persone che protestano, sia nelle città che nelle università, non lo fa in nome dell'antisemitismo ma unicamente per manifestare contrarietà al modo in cui il governo israeliano sta gestendo la guerra e le trattative per liberare gli ostaggi ancora nelle mani di Hamas.
Poi, certo, nessuno è nato ieri e nessuno che sia intellettualmente onesto può negare che nella moltitudine dei manifestanti ci sia anche chi lo fa per spirito antisemita/antisionista. Ma ricondurre a questo tutte le proteste in corso negli USA denota, credo, una certa dose di malafede. Anche perché la componente ebraica non è assente dalle proteste.
Le imponenti manifestazioni di New York di ottobre e novembre erano composte di persone perlopiù ebree, che manifestavano per i civili palestinesi massacrati dall'esercito israeliano. Accusiamo di antisemitismo anche loro?
La realtà è complessa e davanti alla complessità l'uomo, per sua natura, sceglie sempre la semplificazione e la partigianeria manichea. È fatto così, non gliene si può fare una colpa. Ma ha anche la possibilità di emanciparsi da queste puerili semplificazioni, basta che lo voglia.