venerdì 31 ottobre 2025

Perché si arrabbia?

Salvini, Meloni e compagnia cantante non hanno preso bene (eufemismo) la pronuncia della Corte dei conti sul ponte sullo stretto. La cosa è inspiegabile, se ci si pensa, dal momento che i magistrati contabili hanno dato ragione a Salvini su tutto.

Allontanamenti

Mi sto progressivamente allontanando da Facebook. Già da qualche tempo ho smesso di scriverci, limitandomi a entrare al volo, linkare i post che scrivo qui e andarmene. Ultimamente non faccio più neanche questo, i post che scrivo qui rimangono qui. Alcune cose mi mancano, non posso negarlo, penso ad esempio alle pagine culturali e scientifiche che seguo (perché, come accade in ogni dove e a ogni latitudine, nessun prodotto in sé è totalmente buono o totalmente cattivo, dipende dall'uso che se ne fa), oppure penso a quelle pagine che reclamizzano eventi, libri, conferenze, concerti e altre iniziative interessanti. Ma dall'altra parte ho recuperato un sacco di tempo che prima perdevo scrollando ipnoticamente la home page. E ho recuperato anche un po' di salute epatica, credo, avendo eliminato le incazzature generate da ciò che propone l'algoritmo (litigi tra politici, giornalisti, personaggi improbabili di qualsiasi risma). Perché mi sono reso conto che ci si può illudere di indirizzare le impostazioni secondo i propri desideri, ma alla fine l'algoritmo fa ciò vuole e ti mostra ciò che vuole.

Il guadagno di tempo per fare altre cose è stato immediatamente tangibile e un'altra cosa di cui mi sono reso conto è che, rispetto allo scrolling compulsivo della home di faccialibro, è molto più interessante scorrere il blogroll dei blog che seguo, dove nessuno urla, nessuno strepita e i contenuti di chi ancora ha voglia di scrivere un post che abbia un capo, uno svolgimento e una fine, sono molto più interessanti. Per ora non penso di cancellare l'account tout court, mi limito a godere della maggiore quantità di tempo recuperata, poi vedrò.

giovedì 30 ottobre 2025

"L'Atlantico, immenso, di fronte"

In questi giorni Francesca, la figlia più "apolide" e giramondo della famiglia, si trova in Portogallo con un po' di amici e sta visitando alcuni posti. Lunedì, ad esempio, erano a Lisbona, oggi invece mi sono arrivate un po' di immagini di lei sugli strapiombi sull'Atlantico di Ribeira Da Janela. A me il Portogallo richiama immediatamente alla mente due cose, la prima è José Saramago, la seconda è una certa canzone (ci arrivo).

Lunedì, quando Francesca ha fatto arrivare alcune foto da Lisbona, ho pensato immediatamente al grande scrittore portoghese e al rapporto ambivalente che nella sua vita ha avuto con questa città, che forse, chissà, un giorno avrò occasione di visitare anch'io. Saramago non è nato a Lisbona ma ci ha vissuto parecchi anni. L'ambivalenza del suo rapporto con la città si esplicita in una sorta di affetto non romantico né idealizzato, ma critico, lucido, spesso malinconico. Amava la città ma non chiudeva gli occhi davanti ai suoi "difetti". Ne vedeva al suo interno la bellezza della cultura portoghese e, al tempo stesso, le ferite di un paese diseguale, spesso ingiusto e pieno di contraddizioni. In uno dei suoi libri più celebri, Il vangelo secondo Gesù Cristo, un libro che in tempi un pochino più remoti sarebbe stato bruciato nei cortili di tutte le parrocchie, Lisbona appare come una presenza viva, quasi un personaggio. È una città avvolta dalla nebbia, enigmatica, ma piena di storia, di ironia e di contraddizioni. Ecco, mi piacerebbe un giorno poterla visitare anche per provare a "vederla" come la vedeva Saramago.

La canzone cui accennavo sopra, invece, dai cui versi è estrapolato il titolo del post, si chiama Canzone della bambina portoghese ed è un vecchio pezzo di Guccini, pubblicato nel 1972 all'interno dell'album Radici




Radici è il quarto album in studio del cantautore modenese e contiene canzoni ormai entrate nel mito come Il vecchio e il bambino, Incontro, Canzone dei dodici mesi, La locomotiva, Piccola città e la già citata Canzone della bambina portoghese, quella che mi viene in mente ogni volta che sento la parola Portogallo. 

Con questa canzone, costellata di metafore (compresa la bambina che se ne sta sulla spiaggia "al limite di un continente"), Guccini parla dell'idea che con un'intuizione si può quasi raggiungere la verità ma senza mai afferrarla completamente, e il punto geografico specifico, la fine dell'Europa di fronte all'Atlantico, simboleggia questo limite, questo ignoto e questo infinito oltre il quale si può intravedere qualcosa ma mai afferrarlo. È una canzone poetica, malinconica, evocativa, dove più che cercare un significato nelle parole lo si deve cercare nelle immagini evocate dal racconto. È anche una canzone sulla ricerca del senso della vita e dell'esistenza, uno dei pallini fissi del cantautore a cui ha dedicato più di una canzone. 

Di questa traccia sono in circolazione un'infinità di versioni e di cover, a me è sempre piaciuta molto questa dei Nomadi. Un giorno metterò da parte le titubanze e comincerò su questo blog a dedicare un post di spiegazione a ogni canzone che ha scritto Guccini :-)

E poi, e poi, se ti scopri a ricordare, ti accorgerai che non te ne importa niente 
E capirai che una sera o una stagione son come lampi, luci accese e dopo spente  
E capirai che la vera ambiguità è la vita che viviamo, il qualcosa che chiamiamo esser uomini E poi, e poi, che quel vizio che ti ucciderà non sarà fumare o bere, ma il qualcosa che ti porti dentro, cioè vivere, vivere, e poi vivere...


Occhiali nuovi

Questa lunga e interessantissima chiacchierata tra Gianluca Gazzoli e Dario Fabbri serve a smettere i soliti occhiali e a indossarne di nuovi, serve a vedere il mondo e le sue vicende cambiando angolazione e prospettiva. Poi non è detto che i nuovi occhiali consentano di vedere il mondo com'è realmente, così come non era detto indossando i vecchi. Ma i vari Fabbri, Barbero, Canfora, Cardini o chi volete voi, questo fanno: danno occhiali nuovi.

Innalzamenti di salario (in Germania)

Tra le pieghe delle notizie da cui siamo quotidiamente bombardati si può leggere, cercando bene, che la Germania porterà il salario minimo a 13,9 euro a partire dal 1° gennaio 2026 e a 14,6 euro dal 2027. Nelle teutoniche lande il salario minimo garantito fu introdotto dieci anni fa per contrastare le crescenti disuguaglianze e l'aumento progressivo del lavoro povero ("working poor") seguiti alle riforme Harz dei primi anni duemila e per ovviare alla mancanza di contrattazione collettiva in alcuni (pochi) settori.

Mentre la Germania aumenta il salario minimo garantito a tutti i lavoratori, in Italia si discute ancora, da almeno un decennio, se introdurlo o no fissandolo a 9 euro lordi all'ora. Cioè, in Germania lo portano a 15 euro/ora, in Italia non si vuole introdurlo a 9 euro/ora. Governo (questo governo) e Confindustria non ne vogliono neppure sentire parlare, mentre i sindacati hanno sposato questa battaglia solo recentemente, dal momento che anche loro sono sempre stati contrari per timore di perdere potere nelle contrattazioni collettive. 

In mezzo a questa battaglia ci sono ovviamente i lavoratori, che in Italia (unico Paese in Europa) hanno gli stipendi immobili da 30 anni col potere d'acquisto costantemente eroso dall'inflazione. Per non parlare naturalmente del livello di "working poor" nel nostro Paese e della contrattazione collettiva a macchia di leopardo che lascia nella precarietà e nella povertà milioni di lavoratori. L'Italia è attualmente l'unico grande Paese in Europa a non avere un salario minimo legale, e allo stesso tempo l'unico Paese in Europa col record di lavoro povero e col 20-25% dei lavoratori non coperti da un contratto collettivo genuino che consenta di non ricevere stipendi da fame.

Sì dirà: Vabbe', l'Italia è l'Italia e la Germania è la Germania.

Appunto.

martedì 28 ottobre 2025

Il problema dell'educazione affettiva e sessuale a scuola


Continuo a chiedermi, senza trovare risposta, perché Nordio e soci abbiano questa paura folle dell'educazione affettiva e sessuale nelle scuole, e non trovo risposta. Perché l'educazione affettiva e sessuale va bene se fatta in famiglia ed è deleteria se fatta nelle scuole? Forse perché questi signori pensano che i genitori abbiano maggiori capacità di parlare di sesso e relazioni affettive ai figli rispetto ai docenti e alle figure professionali eventualmente preposte a tale compito? Non è così, purtroppo. Un recente rapporto di Save The Children dice chiaramente che oltre il 90% dei genitori interpellati si è dimostrato più che favorevole allo svolgimento di ore di educazione sessuale e affettiva nelle scuole fatte da professionisti preparati. 

L'esperienza personale ovviamente non fa mai testo, ma so per esperienza diretta che in tante famiglie di queste cose non si parla, vuoi per motivi culturali, vuoi per motivi religiosi, vuoi per disagi a instaurare dialoghi aperti e liberi relativamente a tematiche sessuali. Ovviamente non bisogna mai generalizzare, ma esistono da anni studi e rilevazioni nel nostro Paese che dimostrano come l'educazione sessuale e affettiva nelle famiglie sia perlopiù carente, disomogenea e poco strutturata, e purtroppo sono altrettanto numerosi gli studi (OMS, ONU, Istat ecc.) che dimostrano come il terreno di coltura dei femminicidi risieda anche nella mancanza di percorsi di educazione seri e strutturati all'affettività, al rispetto e alla parità di genere, carenze che poi rendono più probabile lo sviluppo di stereotipi sessisti e relazioni basate sul dominio.

L'ultima rilevazione, che risale a pochi giorni fa, dice chiaramente che un adolescente su due non parla in famiglia di sessualità e contraccezione. Allora perché questa crociata nei confronti dell'educazione sessuale e affettiva nelle scuole? Che cosa spaventa tanto queste persone?

Separazione (di carriere)

Sta per arrivare a conclusione l'iter parlamentare della riforma costituzionale della giustizia voluta fortemente da questo governo, quindi i prossimi mesi vedranno il dibattito politico prevalentemente concentrato su questa riforma, che avrà come atto finale il referendum confermativo nella prossima primavera. Il ricorso al referendum è necessario in quanto la riforma sarà approvata in parlamento senza aver raggiunto la maggioranza dei due terzi di deputati e senatori, obbligatoria in caso di riforme costituzionali.

Siccome ho una certa età e siccome anche questo blog ha una certa età, sulla separazione delle carriere tra magistratura inquirente e giudicante, che è un po' il punto focale di tutta la riforma, avevo scritto molto negli anni a cavallo tra il 2009 e il 2011. Quindi non si tratta di una novità ma della riproposizione in salsa meloniana di un vecchio progetto berlusconiano che a sua volta affondava le radici nel famoso/famigerato Piano di rinascita democratica, di Licio Gelli. In sostanza, oggi come allora, lo scopo principale di questa riforma non è rendere più veloce ed efficiente la giustizia - dal punto di vista pratico non ne apporta alcun miglioramento - ma si tratta di un progetto con finalità esclusivamente politiche che si esplicitano nel tentativo di subordinare l'iniziativa giudiziaria al governo e limitare il campo d'azione penale dei magistrati.

La materia è complessa è ricca di tecnicismi che, ovviamente, non possono essere compresi da chi non ha le mani in pasta in ambito giuridico, quindi tutto il dibattito dei prossimi mesi si svolgerà all'insegna del sentimentalismo ideologico. La mia parte politica dice che è cosa buona? Lo è anche per me. La mia parte politica dice che è una schifezza? Lo è anche per me. Questo atteggiamento sarà poi ciò che deciderà le sorti del referendum di primavera, dove una minoranza parteciperà informandosi seriamente al netto di pregiudizi ideologici mentre la maggioranza si esprimerà a sentimento sulla base delle indicazioni del proprio partito. 

Tutto già visto.

lunedì 27 ottobre 2025

Cambi d'orario


Il problema del cambio di orario e conseguente diminuzione delle ore di luce si può declinare su due piani, uno interiore e uno esteriore, diciamo così. Quello interiore l'ha descritto benissimo Romina qui e non credo serva aggiungere altro. Quello esteriore, nel mio caso è relativo alle fatto che alle 17:15 devo appoggiare il libro che sto leggendo, alzarmi dalla poltrona e andare ad accendere la luce.

Ieri

Ieri, approfittando della giornata quasi estiva, io e mia moglie siamo andati a fare una gita a Cittadella, vicino a Padova, per visitare la famosa cinta muraria, costruita a partire dal 1225 per ragioni difensive e che ancora oggi circonda completamente la piccola cittadina con la possibilità di percorrerne a piedi i camminamenti, un percorso di circa un chilometro e mezzo. È splendida e magnificamente conservata; se non l'avete mai visitata, come non l'avevo mai visitata io, fateci un pensierino, merita veramente.








Dopo una veloce visita ad Abano Terme (deludente, a parte il duomo di San Lorenzo non c'è niente di interessante da visitare) e a Monte Grotto (molto più interessante), abbiamo imboccato la strada del ritorno. Durante parte del tragitto in autostrada mi sono imbattuto per caso in questa divertentissima lezione di neurolinguistica di Paolo Borzacchiello. Unico neo, il forse eccessivo ricorso al turpiloquio, ma per il resto una lezione interessantissima in cui abbiamo imparato che le parole, scritte o pronunciate che siano, hanno il potere di condizionare e modificare la morfologia del cervello e i comportamenti; interessante anche la spiegazione dei motivi per cui nei supermercati i banchi di frutta e verdura sono i primi che si incontrano appena si entra (spoiler: c'entra l'ossitocina), anche se questa cosa un po' la sapevo già. Il viaggio di ritorno è praticamente volato :-)

sabato 25 ottobre 2025

Diversamente anziani

Cos'hanno in comune Stephen King e Massimo Cacciari? Niente: il primo è uno dei maggiori scrittori contemporanei, il secondo è un filosofo e intellettuale tra i più "caldi" attualmente in circolazione. Caldi nel senso che, caratterialmente, definirlo ruvido e molto poco incline alla diplomazia nella dialettica è un eufemismo. E non hanno niente in comune neppure nel modo di approcciarsi al crepuscolo dell'esistenza. Il primo, King, in una recente intervista rilasciata a Usa Today ha detto di aver cominciato a liberare la sua scrivania il più possibile in quanto "alla mia età la garanzia è scaduta. Non puoi dare nulla per scontato. Non puoi garantire nulla una volta superati i 75, 76 anni [King ne ha 78]. Bisogna stare un po' attenti." 

Il secondo, Cacciari, a 81 anni suonati convolerà a nozze con la sua compagna conosciuta durante il covid. Due modi decisamente diversi di vivere la vecchiaia. Ovviamente chi scrive augura a entrambi i simpatici vecchietti di vivere ancora tanti anni e di godersi più che si può il crepuscolo.

Votare?

Paolo Ercolani, nella sua conferenza di ieri sera, tra le tante cose interessantissime che ha detto ha menzionato l'inutilità di andare a votare - il dibattito sull'astensione è ormai vecchio quanto il fenomeno stesso dell'astensione. Il discorso è partito ovviamente da lontano, dall'antica Atene, e si è sviluppato fino a oggi evidenziando le vicissitudini storiche di ciò che comunemente definiamo democrazia. La teoria di Ercolani non si esaurisce ovviamente nella proposizione che andare a votare è inutile, ma anche in quella secondo cui il non voto è un segno di intelligenza perché anch'esso ha un significato, e nello specifico significa smarcarsi dal sistema politico-economico-sociale in cui siamo immersi, il quale sostanzialmente prevede il progressivo aumento delle diseguaglianze e della precarietà; un sistema che vede chi è già povero impoverirsi sempre di più e chi è ricco arricchirsi sempre di più.

Ercolani ha citato il progressivo smantellamento della sanità, portato avanti da tutti i governi; il fatto che i giganti del web (dati del 2024) hanno registrato 2.200 miliardi di euro di utile e vengono tassati con percentuali ridicole, quando invece i lavoratori vedono andarsene quasi metà del loro stipendio in tasse. Ecco, non votare significa anche rifiutarsi di continuare ad avallare questo sistema, è un tirarsi fuori. A questo proposito è interessante (si fa per dire) notare come alle regionali di una decina di giorni fa per la prima volta nella sua storia in Toscana oltre metà degli aventi diritto non si è recata alle urne. Per la precisione, il 52% degli elettori è rimasto a casa, un calo di quasi 15 punti percentuali rispetto a 5 anni fa. Un fenomeno che naturalmente ha molte cause, e tra queste ci sono certamente la disillusione, la stanchezza elettorale, ma anche altro.

Come alcuni analisti hanno fatto notare, in Toscana si è avuto nel tempo un progressivo deterioramento del livello qualitivo della sanità: liste d' attesa più lunghe, saturazione dei pronto soccorso. Secondo alcune rilevazioni del Sole24Ore, la soddisfazione per la sanità pubblica in Toscana è calata di 10 punti in cinque anni. A questo si aggiungono aumenti dei costi della vita e della casa, insufficienti servizi per anziani e famiglie, tagli e ritardi nei contributi sociali. Alcuni politologi come Antonio Floridia e Vincenzo de Sio hanno indicato tutti questi motivi come cause di una sorta di astensione consapevole generalizzata. In sostanza si è verificato ciò che ha descritto Paolo Ercolani nel suo intervento: l'astensione come forma di critica al sistema e volontà di tirarsene fuori, nella convinzione (illusione?) che anche non votare possa portare a un cambiamento.

Io, che sono un vecchio ingenuo e inguaribile romantico, continuo a pensare, nonostante tutto, che il voto sia forse l'ultima e unica arma che ci è rimasta per tentare di incidere in quale modo nella vita pubblica, anche se devo ammettere che la tentazione di starmene a casa è a ogni tornata elettorale sempre più forte.

Ah, dimenticavo. Il filosofo ha esposto anche alcune interessanti riflessioni sull'intelligenza artificiale e, casualmente, Guchi ha scritto questo post che al riguardo mi sembra molto interessante. 

venerdì 24 ottobre 2025

Posti a teatro e parcheggi



Sono al teatro Astra di Misano Adriatico, dove fra un po' il filosofo Paolo Ercolani terrà una conferenza dal titolo Umani, troppo umani, disumani. Noto una cosa interessante: quando ci sono molti posti ancora liberi tante persone non sanno dove sedersi, la loro indecisione è alle stelle. Le vedi che si dirigono verso un posto, poi si fermano, ci ripensano e si dirigono verso un altro posto, poi si siedono e dopo un po' si alzano di nuovo e lo cambiano con un altro, e così via. Un po' come quando si arriva in un parcheggio con tantissimi posti vuoti (vabbe', l'idea di trovare parcheggi con tanti posti liberi oggi fa sorridere, ma può capitare).

L'indecisione ovviamente non c'è quando i posti a disposizione sono pochissimi, parcheggio o teatro che sia; in quel caso si prende ciò che si trova e si è ben contenti della fortuna capitata. In realtà il fenomeno della difficoltà di scelta è reale e studiato in psicologia. Si chiama "paralisi da scelta" e si verifica appunto quando le opzioni a disposizione sono molte. La difficoltà nasce da più di un fattore, ma il principale è che il nostro cervello è strutturato in modo da privilegiare le scelte con poche alternative in quanto è richiesta meno energia per la decisione. Quando le scelte sono tante la decisione richiede più energia e ciò determina le incertezze e i rallentamenti. Altri motivi sono:

Mancanza di punti di riferimento sociali. Se la sala è vuota non si hanno “indizi umani”: dove si siedono gli altri? Quali posti sembrano più comodi o con la visuale migliore? L’assenza di queste informazioni aumenta l’incertezza. 

Paura di sbagliare posizione. C’è il pensiero fastidioso: “E se dopo arriva qualcuno che si mette proprio davanti?” o “E se troppo avanti è scomodo?” Così, invece di sedersi subito, si continua a guardare intorno. 

Ricerca implicita di equilibrio. Le persone tendono inconsciamente a voler stare né troppo isolate né troppo esposte. Quando ci sono pochi altri spettatori è difficile trovare quel “giusto mezzo”.

Effetto “territoriale”. Scegliere un posto vuoto in una sala grande è anche una piccola affermazione di territorio. Il cervello valuta inconsciamente il controllo dello spazio, la distanza dagli altri, la visibilità, la facilità di fuga.

Tutto questo per dire che se dovesse capitarvi di essere indecisi di fronte a tante scelte, non c'è da preoccuparsi: siamo fatti così. Ora vado, ché la conferenza inizia :-)

(Ah, ovviamente di queste cose non sapevo niente, mi sono documentato al volo mentre aspettavo Ercolani.)

Louvre

Leggendo dell'incredibile furto al Louvre di domenica scorsa, mi sono tornate alla mente le tonnellate di fumetti di Diabolik che leggevo da bambino e anche i cartoni animati di Lupin che guardavo, e pensavo che è sorprendente come la maestria con cui quei personaggi di fantasia compivano i loro furti sia passata dai fumetti alla realtà. Quante volte, in quelle storie, i protagonisti hanno adoperato travestimenti di quel tipo per portare a termine le loro opere criminose? E quante volte hanno usato gli stessi metodi: scale improvvisate, forzature di finestre ecc.? Dalla fantasia dei fumetti alla realtà il passo è stato evidentemente breve.

La destrezza e la apparente semplicità del furto compiuto al Louvre e il valore inestimabile dei monili trafugati ha dato naturalmente il via a tutta una serie di più o meno fantasiose domande e congetture relative a chi fossero gli autori, per conto di chi hanno agito, che fine farà il bottino trafugato, come è stato possibile portare a termine con apparente facilità un furto nel più famoso museo del mondo, un museo che neppure assicura i suoi tesori perché non ritiene possibile che possano venire rubati. Roberto Saviano ha messo in fila e ha cercato di rispondere a queste domande in questo breve video

Io, nel frattempo, torno in cantina a rispolverare alcuni dei numeri di Diabolik che leggevo da bambino, magari la risposta a tutte queste domande sta lì :-)

giovedì 23 ottobre 2025

Canzoni di ieri e di oggi


Mi si rimprovererà, probabilmente a ragione, di essere un po' fissato con l'idea che il livello qualitativo della musica della mia generazione era significativamente più elevato di quello odierno. Non sto dicendo che la musica di oggi sia tutta da buttare, magari nei circuiti un po' più di nicchia o underground c'è anche oggi musica di qualità, così come del resto ai miei tempi assieme alla musica di qualità c'era anche quella usa e getta. Ma, mediamente, credo che il livello qualitativo generale di allora fosse di gran lunga più elevato. Me ne rendo conto ogni volta che ascolto i cantautori degli anni Settanta e Ottanta (nei Novanta cominciava già a vedersi una certa flessione in questo senso).

Ieri, ad esempio, ho riascoltato l'album Signora Bovary, di Francesco Guccini. Guccini, assieme a Paolo Conte e a pochi altri, è stato probabilmente uno dei cantautori più colti e raffinati che abbiamo avuto in Italia, degno rappresentante di quella generazione di musicisti-narratori che nelle loro canzoni raccontavano storie, scavavano nell'interiorità dell'umano e disseminavano i loro versi di richiami alla letteratura e alla storia. Nell'album di Guccini in questione almeno due canzoni si distinguono più delle altre in questo senso e una di queste è Scirocco.

Già l'incipit del testo lascia quasi senza fiato per la sua bellezza: "Ricordi, le strade erano piene di quel lucido scirocco, che trasforma una realtà abusata e la rende irreale. Sembravano alzarsi le torri in un largo gesto barocco, e in via de' Giudei volavan velieri come in un porto canale". Pensate alla genialità di utilizzare l'aggettivo lucido per definire un vento e all'impatto emotivo che genera questo inusuale accostamento, apparentemente privo di senso. Ma anche l'immagine delle torri che si alzano in un largo gesto barocco sorprende per il suo cozzare contro il senso comune e contro la linearità di significato che usiamo attribuire alle cose e alle espressioni. Poi si entra nella storia col richiamo a via de' Giudei. Credo si sia capito da questi elementi che la vicenda narrata nella canzone si svolge a Bologna. Le torri citate da Guccini sono infatti le famose Garisenda e Asinelli, strutture di origine medievale che avevano sia funzioni militari che gentilizie. Ma anche la citata via de' Giudei è densa di richiami storici. Si tratta infatti di una delle vie principali del ghetto ebraico di Bologna. Il nome via de' Giudei deriva dalla presenza di famiglie ebree ancora prima della creazione del ghetto. Il nome fu mantenuto fino agli anni Trenta, quando, in seguito alla promulgazione delle leggi razziali, a cui seguì un certo clima antisemita, fu cambiato in via delle Due Torri.

La vicenda narrata nella canzone riguarda una relazione extraconiugale. Il testo prosegue con l'immagine di un uomo seduto a "un tavolo da poeta francese" in un bar sotto le due torri. A un certo punto arriva frettolosamente una donna, e arriva "danzando nella rosa di un abito di percalle che le fasciava i fianchi", si siede al tavolino, ordina qualcosa e i due cominciano a parlare. Non si sa di cosa parlano, ma a un certo punto lei si alza e se ne va frettolosamente, uscendo dal bar senza voltarsi indietro. È un arrivederci? Un addio? Non si sa. Mentre la scena si svolge, Guccini racconta con versi mirabili tutta la lacerazione e il conflitto interiore dell'uomo, "schiacciato fra lei e quell'altra che non sapevi lasciare, tra i tuoi due figli e l'una e l'altra morale, come sembravi inchiodato..." Dopo che lei se n'è andata "lui restò come chi non sa proprio cosa fare, cercando ancora chissà quale soluzione, ma è meglio poi un giorno solo da ricordare che ricadere in una nuova realtà sempre identica..."

La vicenda si chiude... beh, il finale non ve lo racconto, lo lascio raccontare a Guccini stesso.




L'altra perla di questo album è la canzone che gli dà il titolo, Signora Bovary, una splendida e poetica riflessione sul senso della vita, vita scandita da giorni che "gocciolano come rubinetti nel buio", da "atri a piastrelle di stazioni secondarie", dai pensieri di ognuno che spesso "sono come i cani in chiesa, che tutti prendono a calci", e dall'eterna domanda su cosa ci sia là in fondo, "quando bene o male faremo due conti". La lascio qui di seguito, con tutto il suo carico di riflessioni che suscita e con la ferrea convinzione che tra la musica della mia generazione e quella di oggi non c'è storia.


Detesto i refusi

Rileggendo oggi il post di ieri su Sinner, mi sono accorto di un refuso: impero astro-ungarico invece di impero austro-ungarico, refuso vergato nonostante prima di pubblicare il post l'avessi riletto più volte. Detesto i refusi e prima di pubblicare qualsiasi cosa rileggo più volte per accertarmi che nello scritto non vi siano errori ortografici, grammaticali o sintattici, ma a volte non basta e qualcosa mi sfugge (dovrei assumere un correttore di bozze ma al momento non saprei come pagarlo).

Quindi, ecco, chiedo gentilmente ai miei 32 lettori la cortesia di segnalarmi errori che dovessero trovare scorrendo i post. Grazie. (Nel frattempo mi sto interessando per un appuntamento con un bravo professionista in grado di trattare gli ossessivi gravi.) :-)

mercoledì 22 ottobre 2025

Vespa e Sinner

Restando sullo stesso piano retorico di Bruno Vespa qualcuno potrebbe chiedersi: Perché un italiano dovrebbe guardare Bruno Vespa in TV? Se si riflette qualche secondo su questa domanda credo si possa ammettere che è arduo riuscire a rispondere. Con Sinner la faccenda è più semplice: è uno dei più grandi tennisti del mondo, è simpatico (dicono), alla mano e, cosa più importante di tutte, con la sua fama planetaria ha creato quella sorta di effetto-plagio che a noi umani piace tanto e in cui amiamo immergerci, per cui tanti italiani che fino a poco tempo fa confondevano una racchetta con una ciaspola oggi sbavano per il bel biondo tirolese. Se un gruppo italiano di tifosi di Sinner andasse in Cina e incontrasse un gruppo cinese di tifosi di Sinner, le distanze geografiche e culturali verrebbero annullate all'istante e tra i due gruppi scatterebbero l'amore e un certo afflato ricollegabile a qualcosa che assomiglia alla fratellanza universale. L'effetto Sinner spiegato dal punto di vista antropologico è più o meno questo. Converrete con me che con Vespa il medesimo discorso sarebbe un tantino più complicato.

Ma il vespaio suscitato da Vespa, mi si perdoni qui il non voluto gioco di assonanze, credo derivi maggiormente dal fatto che il conduttore di Porta a Porta ha osato negare l'italianità del tennista, che in un Paese come il nostro, dove un certo sciovinismo è ancora saldamente presente nell'inconscio collettivo, è qualcosa di molto simile a un sacrilegio. La questione, tuttavia, credo non sia affatto peregrina né semplice da dirimere. Sinner è italiano? Direi che dipende. Formalmente certo che è italiano, visto che è nato a San Candido. Ora, è vero che a San Candido si parla tedesco e il territorio in cui è inserito è stato annesso al Regno d'Italia solo alla fine della prima guerra mondiale con la sconfitta dell'impero austro-ungarico, ma Sinner è nato dopo il 1918, mi pare, quindi formalmente sì, è italiano. Ma sostanzialmente? Boh, difficile rispondere. Bisognerebbe chiedere a lui come si sente. Quello che si sa è che parla tedesco a livello madrelingua e utilizza quella lingua normalmente quando si interfaccia coi suoi familiari. Ma anche il suo italiano è più o meno allo stesso livello. Idem l'inglese. Quindi?

La questione delle tasse forse pone meno problemi. Da questo punto di vista direi che non è certamente italiano, dal momento che la residenza fiscale l'ha trasferita da tempo nel principato monegasco per sfuggire ai voraci tentacoli del fisco nostrano. Poi, naturalmente, va sempre precisato che non tutte le tasse le versa nella graziosa città-stato sulle rive del Mediterraneo nota per i casinò di alta classe e i porti pieni di yacht, in quanto i proventi delle vincite conseguite in giro per il mondo vengono ecumenicamente tassati secondo le legislazioni locali e rimangono all'interno del paese che ha ospitato l'eventuale competizione. Se per esempio non si fosse rifiutato di partecipare alla imminente coppa Davis, che si giocherà a Bologna, gli eventuali introiti derivanti da quel torneo sarebbero stati tassati secondo la legislazione italiana e sarebbero rimasti qui. Ma il punto della questione, comunque, è che fiscalmente non è residente in Italia, come del resto accade per gran parte dei personaggi più celebri e ricchi del nostro paese.

Quindi direi, tornando alla questione sollevata da Vespa, che Sinner è sicuramente italiano dal punto di vista formale, da quello sostanziale... magari non completamente, ecco. Ma il dramma reale è che Bruno Vespa è italiano. Qui, purtroppo, dubbi non ce ne sono.

Impronte

La scomparsa in poco più di 60 anni del quarto lago piu grande del mondo, che aveva un'estensione equivalente alle superfici di Piemonte, Lombardia e Veneto messi assieme, spiega più di tanti report scientifici l'entità delle impronte che la nostra specie ha lasciato e lascia continuamente sul pianeta. La storia raccontata dal Post, che non conoscevo, è impressionante. Un lago formatosi circa 18.000 anni fa dallo scioglimento dei ghiacciai alla fine dell'ultima era glaciale è stato reso un deserto in pochi decenni per meri motivi economici, ennesima prova dell'ambivalenza della nostra specie, capace di scolpire la Pietà, dipingere la Gioconda e scrivere la Divina commedia, e nello stesso tempo capace di distruggere un pezzo alla volta la casa in cui abita.

martedì 21 ottobre 2025

Mieli

Se non ricordo male, in passato qualche saggio di Paolo Mieli l'ho letto. Ne ricordo uno che si chiama Il tribunale della storia e un altro dal titolo Le verità nascoste, due libri anche piuttosto interessanti. Ma li lessi prima dell'invasione dell'Ucraina e prima dell'attentato di Hamas contro gli israeliani e all'epoca non avevo una conoscenza approfondita dell'autore, ho imparato a conoscerlo un po' meglio dopo questi due eventi e a conoscerlo molto bene dopo la sua uscita di ieri.

lunedì 20 ottobre 2025

Fallimenti


In questi casi mi chiedo sempre chi abbia fallito. La famiglia? La scuola? La società nel suo complesso? Qual è stato l'anello mancante nel lungo percorso che dovrebbe portare gli ammassi sanguinolenti di organi che siamo a capire la differenza tra bene e male?

domenica 19 ottobre 2025

Schiavismo



Questa pagina mi ha fatto venire in mente Umberto Galimberti quando scriveva che la lotta di classe è finita alcuni decenni fa quando padrone e servo (simbolicamente negli anni Settanta Agnelli da una parte e gli operai dall'altra) sono oggi dalla stessa parte e hanno come controparte il mercato e la tecnica. E come fai a prendertela con qualcuno? Chi è il mercato? Da cosa è rappresentato fisicamente?

Interessantissima anche la definizione di schiavismo moderno, non più basata sull'assunto che lo schiavo è colui che è gravato dalla fatica e dall'obbligo di lavorare per sopravvivere, ma è colui che da persona viene declassato a cosa, a strumento, indipendentemente dal grado di consapevolezza di ciò. 

Sembra quasi incredibile che questo saggio sia stato scritto a metà degli anni Sessanta del secolo scorso. Si tratta di un libro molto difficile e impegnativo, almeno per me, ma estremamente interessante.


Herbert Marcuse 

L'uomo a una dimensione, l'ideologia della società industriale avanzata 

Ormai vale tutto

Continuare a seguire le vicende politiche del nostro paese diventa progressivamente sempre piu difficile, perché il dibattere politico non si svolge più - questo succede grosso modo dall'avvento del berlusconismo in qua - nel recinto della legittima critica tra "avversari", col sostantivo "avversari" che già denota di suo la deriva imboccata, ma si svolge nel solco di guerre verbali che lasciano sostanzialmente il tempo che trovano e che servono solo a eccitare gli istinti più retrivi del consesso degli uditori.

Solo negli ultimi 15 giorni sono stati utilizzati fiumi di inchiostro sui giornali e fiumi di bit in rete su dichiarazioni che c'entrano molto con le curve degli stadi e quasi niente con qualcosa che assomigli a sostanza, come ad esempio la sferzata della capa di governo secondo cui la sinistra (quale sinistra? Qualcuno la vede?) sarebbe caratterizzata dallo stesso livello di fondamentalismo di Hamas, a cui replica Landini col suo "cortigiana", a cui si aggiunge Elly Schlein col suo "con l'estrema destra al governo la libertà e la democrazia sono a rischio" (qui un fondo di verità c'è, a dirla tutta).

Ma si tratta di urla che lasciano il tempo che trovano. Nella finanziaria appena partorita dal governo è previsto un aumento di 20 euro alle pensioni minime, che arrivano così a poco più di 600 e rotti euro al mese. Ci sono milioni di persone in Italia che campano con poco più di 600 euro al mese e nessuno si scanna su questo, un trafiletto a pagina 18 e poi tutto passa in cavalleria. L'ISTAT ha prodotto l'ennesimo report sulla drammatica situazione della povertà nel nostro paese e anche qui nessun sussulto. Mattarella ha lanciato ieri l'ennesimo grido sull'ormai imbarazzante forbice tra la costante perdita di potere dei salari delle persone comuni e gli emolumenti di manager e dirigenti di partecipate, società pubbliche e grandi industrie. Tutto a pagina 18 e via. Però pagine e pagine di discussioni su lui ha detto questo, lei ha detto quest'altro, lui ha fatto questo, lei ha fatto quest'altro.

Che palle, viene voglia di non seguire più niente e di mettersi a suonare.

sabato 18 ottobre 2025

Perché quella battuta di 5/4?

Tra le cose di cui sicuramente non fregherà nulla ai miei 32 lettori ci sono i motivi per cui Franco Battiato ha inserito all'interno della canzone Voglio vederti danzare una battuta di 5/4 in un brano interamente in 4/4, cosa a cui ho pensato dopo averla riascoltata casualmente alla radio. Ma partiamo dall'inizio. 

La canzone Voglio vederti danzare è inserita nell'album L'arca di Noè, pubblicato nel 1982. Questa è la copertina.

 

 

L'album uscì un anno dopo il leggendario La voce del padrone, che fu il primo vinile nella storia della musica italiana a raggiungere e superare il milione di copie vendute. L'arca di Noè si fermò invece a 550.000. All'interno di quest'album, in cui spiccano pezzi bellissimi ed evocativi come L'esodo e Clamori, c'è la già citata Voglio vederti danzare, qui in una bellissima versione dal vivo.

 


Come può accorgersi facilmente anche chi non è ferrato in musica, la canzone ha un andamento ritmico regolare in 4/4, cioè è possibile contare ripetutamente la sequenza 1-2-3-4 durante lo svolgimento del brano e i conti tornano sempre, diciamo così. Tranne in un punto, e precisamente dove il testo recita: "...e gira tutto intorno alla stanza, mentre si danza...". Ecco, sulla parola "intorno" la battuta in cui è inserita la frase si allunga di un quarto e diventa di 5/4, creando una asimmetria ritmica e uno sfasamento evidentissimi, che possono anche lasciare perplessi. Tanto è vero che in alcune cover, tipo quella di Prezioso e altri, l'asimmetria viene eliminata modificando il testo in modo che possa stare in una battuta di 4/4, evitando che tutto l'insieme perda di fluidità. Nel caso specifico, l'originale "...e gira tutto intorno alla stanza, mentre si danza..." diventa "...e gira tutta la stanza, mentre si danza...".

Ma perché Battiato ha creato questa asimmetria? Questa cosa me la chiedevo già da bambino ogni volta che ascoltavo il brano, e non sapevo come rispondere. Oggi la risposta la so. In primo luogo perché Battiato era un genio e i geni è noto che non stanno ai canoni della normalità (chi conosce il suo periodo di musica sperimentale a cavallo tra i Sessanta e i Settanta sa a cosa mi riferisco), in secondo luogo perché questa "sospensione" rende il ritmo più "etnico" e danzante, coerente col tema della canzone.

Ho mandato ChatGPT in giro per il web alla ricerca di dichiarazioni del cantautore che spiegassero le ragioni di questa scelta ma è tornata a mani vuote. La relativa pagina Wikipedia afferma che "la canzone svolge una funzione di celebrazione della danza in chiave etnica e sottolinea lo spirito dello 'spostamento' tra Est e Ovest." Alla fine, ciò che è sicuro è che non si tratta di un errore né di una imprecisione, è una scelta stilistica voluta la cui spiegazione stava solo nella mente geniale del grande cantautore.

venerdì 17 ottobre 2025

Ucraina, la guerra e la storia


Ci sono due modi per approcciarsi alle vicende complesse della nostra epoca: leggere gli articoli dei quotidiani o (meglio) leggere i libri che trattano delle suddette vicende. A questo proposito ho appena terminato questo interessantissimo saggio scritto dallo storico Franco Cardini e dal generale Fabio Mini, che negli anni 2000 ha ricoperto l'incarico di capo di Stato maggiore del comando Nato per il sud Europa. 

La parte più interessante del libro è la prima, quella scritta da Cardini, che indaga le cause storiche che hanno condotto al tragico epilogo dell'invasione dell'Ucraina da parte della Russia. Come ormai tutti dovrebbero sapere, la guerra russo-ucraina (in realta guerra russo-americana) non inizia il 24 febbraio del 2022, bisogna tornare indietro almeno fino al colpo di mano ucraino in funzione antirussa del 2014, come data di inizio. Ma i prodromi di quello che sarebbe successo cominciarono a prendere forma già negli anni Novanta del secolo scorso, quando - e qui Bill Clinton ci mise molto del suo - furono progressivamente disattese le rassicurazioni sul non allargamento a est della Nato fornite da tutti i paesi europei alla Russia dopo il crollo dell'Unione Sovietica, rassicurazioni riassunte dalla dichiarazione del 17 maggio 1990 dell'allora segretario Nato Manfred Wörner: "Il fatto che noi siamo pronti a non schierare un esercito della Nato fuori dal territorio tedesco offre all'Unione Sovietica una stabile garanzia di sicurezza".

Poi, come si sa, o come almeno sa chi ha voglia di approfondire un po' andando oltre l'infantile invaso-invasore, le cose andarono diversamente. Questo ovviamente non significa giustificare ciò che ha fatto la Russia, sia ben chiaro, significa solo provare a sviscerare una vicenda complessa vecchia di secoli per cercare di capire come si è arrivati alla guerra che da tre anni insanguina l'Europa orientale. Una guerra in cui la Nato, quella Nato che secondo Papa Francesco abbaiava alle porte della Russia, ha responsabilità evidentissime. Se si vuole, e chiunque lo può fare, si può andare oltre l'ormai stucchevole ritornello dell'aggressore e dell'aggredito (se vogliamo restare su questo piano: quanti Paesi sovrani ha aggredito la Nato negli ultimi 70 anni?), basta avere voglia di farlo.

giovedì 16 ottobre 2025

A chi importa del Nobel

La mancata assegnazione del Nobel per la pace a Trump ha mandato il suddetto Trump su tutte le furie, non tanto per il mancato riconoscimento in sé ma per il fatto che lui lo considerava un viatico per il paradiso (anche da dichiarazioni come questa si capisce il livello intellettivo dell'attuale inquilino della Casa Bianca).

Ma Trump a parte e polemiche sul Nobel a parte, qualcuno si è mai chiesto cosa importi di questo riconoscimento, per noi di vitale importanza, ai 7/8 del mondo fuori dell'Occidente? La risposta la fornisce il buon Dario Fabbri qui.

Il male?

Se si guardano le cronache si ha l'impressione di essere circondati dal male. Viene da chiedersi se si tratta di una impressione generata da esagerata enfasi data alle notizie o se effettivamente è così. Oppure se questo male ci sia sempre stato, in forme magari meno forti, e abbia avuto una recrudescenza col progressivo degrado morale e culturale della nostra società negli ultimi lustri.

mercoledì 15 ottobre 2025

Il rifugio

Ogni tanto avverto il bisogno di "staccare" dalle vicende del mondo, dai notiziari, dalle polemiche sui social, dal flusso caotico degli avvenimenti. Quindi mi allontano, spengo tutto per un po' e mi rifugio in un libro. Sì, lo so, qualcuno dei miei 32 lettori obietterà che io leggo sempre, quindi dov'è la novità? La novità sta nel fatto che quando stacco non c'è più la lettura come attività tra le altre, c'è solo quella. La lettura intesa come sollievo e come uscita dalla corrente del fiume per sedersi sulla riva e respirare.

Un paio di settimane fa Michela e suo marito sono andati al cinema a vedere The life of Chuck e ne hanno avuto un'ottima impressione. La raccolta di racconti che contiene la novella da cui è tratto il film si chiama Se scorre il sangue e fu pubblicata in Italia nel 2020. Ovviamente la lessi, ma di quel particolare racconto mi erano rimasti solo ricordi molto vaghi, resi poi un pochino più vividi dal racconto del film fattomi da mia figlia. Quindi sono andato in biblioteca, ho preso il libro e oggi pomeriggio ho (ri)letto per intero quel racconto. Un racconto stupendo: malinconico, spirituale quasi, per certi versi simile a romanzi come Il miglio verde o a racconti come Rita Hayworth e la redenzione di Shawshank, inserito nella bellissima raccolta Stagioni diverse. Un racconto sulla fragilità della vita e sulla gratitudine, magnificamente rese dalla prosa visionaria e a tratti poetica del grande Stephen King.

Ovviamente, a questo punto rileggerò anche gli altri tre racconti lunghi della raccolta, continuando a restare seduto sulla mia tranquilla riva del fiume, in barba al casino e alla velocità degli avvenimenti del mondo.

martedì 14 ottobre 2025

Zichichi


Domani il grande Antonino Zichichi compirà 96 anni. Mi è sempre stato simpatico, Zichichi, forse un po' anche a causa di quei tratti somatici che ricordano alla lontana Albert Einstein. Ha avuto una grande carriera accademica e scientifica come fisico delle particelle,  ma nel corso degli anni si è progressivamente spostato su posizioni che con la scienza cozzano non poco. È ad esempio un forte negazionista dell'impatto delle attività umane sul cambiamento climatico, ed è da sempre critico verso la teoria darwiniana dell'evoluzione.

Sul suo negazionismo circa la responsabilità dell'uomo sui cambiamenti climatici c'è poco da dire. Ne è convinta, con prove solidissime, la quasi totalità degli scienziati del pianeta, quindi l'opinione di Zichichi vale più o meno quanto la mia. Per quanto riguarda l'evoluzione darwiniana, la sua aspra critica si fonda sia sui famosi anelli mancanti, un argomento molto caro a papi, cardinali e creazionisti vari, sia sul fatto che mancherebbero solide basi scientifiche e matematiche che la dimostrano. In particolare non esisterebbe un'equazione in grado di spiegarla.

In realtà una base matematica a supporto della teoria darwiniana dell'evoluzione esiste ed è la cosiddetta legge di Hardy-Weinberg. Matematica a parte, oggi ci sono varie branche della scienza che hanno dimostrato la fondatezza della teoria darwiniana: paleontologia, biologia comparata, biogeografia, osservazioni dirette, ma soprattutto genetica e studio del DNA. Nell'epoca dell'Inghilterra vittoriana la genetica ancora non esisteva e quindi Darwin non la poteva conoscere, ma era un signore tanto intelligente e intuì cose che oggi la genetica ha dimostrato essere esatte, come ad esempio che tutti gli esseri viventi condividono un'origine comune e che le mutazioni genetiche sono la "materia prima" su cui la selezione naturale agisce.

Riguardo alla deriva antiscientifica del Zichichi degli ultimi decenni, Piergiorgio Odifreddi curò un simpatico libro, uscito nel 2003, chiamato le Zichicche, una raccolta di articoli a commento delle uscite più controverse del grande fisico delle particelle, che anche se mette sullo stesso piano l'oroscopo e Darwin rimane comunque simpatico.

Lucidità

Credo che il commento più lucido sul surreale comizio di Trump al parlamento israeliano sia quello di Marie Gouze.

lunedì 13 ottobre 2025

Era inevitabile che noi ci fossimo?

Chi segue un po' questi argomenti, che per me sono appassionanti, sa che in campo evoluzionistico la domanda delle domande è: la nostra specie, Homo Sapiens, è il risultato di un processo che avrebbe inevitabilmente portato a noi, oppure siamo arrivati qui in maniera del tutto fortuita? Le implicazioni di questa domanda sono ovviamente plurime e riguardano ad esempio l'eterna diatriba tra il cosiddetto disegno intelligente e il caso - il buon vecchio Darwin fu crocifisso per aver rimosso l'uomo dal piedistallo che si era costruito.

Comunque, lungimiranza di Darwin a parte, c'è unanime consenso tra gli scienziati sul fatto che noi siamo il frutto di processi contingenti e che la storia evolutiva che ci ha portati fin qui sarebbe potuta andare in infiniti altri modi. In altre parole, non c'era alcuna necessità che noi ci fossimo. Giacomo Moro Mauretto, con la simpatia e la competenza che lo contraddistinguono, riassume in questo breve e interessante video i tanti indizi che corroborano la teoria del caso. 


Quale Fallaci

In risposta alla proposta della sindaca Funaro di concedere la cittadinanza onoraria di Firenze a Francesca Albanese, Salvini replica che semmai sarebbe da dare a Oriana Fallaci. Nella sua immensa ignoranza nemmeno sa che Oriana Fallaci era nata a Firenze e quindi era già cittadina di quella città. 

Ma, a parte questo, sarebbe interessante sapere a quale Oriana Fallaci Salvini vorrebbe dare la cittadinanza. Perché di Oriana Fallaci non ce n'è stata solo una. C'era la Fallaci post-11 settembre che non distingueva più l'islam religioso da quello politico e ne divenne profonda odiatrice, ma in precedenza c'è stata anche la Fallaci che fece la Resistenza, la Fallaci laica, progressista e femminista (anni dai Sessanta agli Ottanta); negli anni Novanta abbiamo avuto la Fallaci che considerava la lega "un covo di pericolosi ignoranti" (difficile darle torto, mi pare). Quindi abbiamo avuto più Fallaci. 

Ovviamente, quando di ogni ramo dello scibile umano non si sa niente di niente, può capitare di chiedere la cittadinanza onoraria per qualcuno che in quella città ci è nato, oppure di prendere di un personaggio complesso e articolato come la Fallaci la parte che fa comodo e glissare su tutto il resto.

Tanto, ignoranza per ignoranza, l'elettorato a cui ci si rivolge è quello lì.

sabato 11 ottobre 2025

Un po' di consapevolezza

Tregua

Chi cerca di capire e di interpretare gli avvenimenti del mondo basandosi su quanto dicono e scrivono gli esperti e gli studiosi (in questo caso di geopolitica), non capisce bene cosa ci sia da festeggiare riguardo al raggiungimento della tregua tra Hamas e Israele. C'è sollievo, ovvio. Si vedono le immagini dall'alto delle centinaia di migliaia di sfollati palestinesi che tornano a casa loro e queste immagini commuovono. Sfollati che tornano perché immaginano che durante questa tregua nessuno gli sparerà più addosso mentre sono in fila per un piatto di minestra e nessuno bombarderà più le loro case. Quelle case che non esistono più, dal momento che il 90 per certo del territorio di Gaza è raso al suolo. Letteralmente.

Ma la tregua raggiunta, che non si sa quanto durerà, è il primo passo di altri cento che ci sono da fare prima di essere sicuri che si arrivi a qualcosa di definitivo. Siamo all'uno per cento del percorso da fare.

Personalmente gioirò quando Netanyahu sarà tradotto in galera per il resto della sua vita per ciò che ha fatto, assieme ai suoi ministri della destra religiosa radicale che non hanno firmato gli accordi e si rifiutano di farlo. Festeggerò quando si comincerà ad andare oltre il primo punto di partenza che è questa tregua, estremamente fragile e dagli esiti incerti. Festeggerò quando la Cisgiordania sarà liberata dalle violenze brutali dei coloni israeliani, che la occupano illegalmente da decenni in barba a ogni risoluzione ONU. Festeggerò quando finalmente i palestinesi potranno vivere nel loro territorio senza essere circondati da ogni lato dai carri armati israeliani. Ma ce n'è di strada da fare, ancora.

Festeggerò quando anche l'Europa risponderà dei due anni di connivenza silenziosa con lo sterminio dei palestinesi. La donnetta urlante a capo del nostro governo è già salita sul carro dei vincitori (vincitori di cosa?) dichiarando che per il raggiungimento di questa tregua l'Italia ha svolto "un lavoro silenzioso". Falso. L'unico lavoro silenzioso che ha fatto l'Italia è stato supportare in tutto e per tutto il genocidio dei palestinesi per due anni. Nient'altro. Festeggerò anche quando questa fabbricatrice seriale di menzogne se ne sarà andata a casa e, in un sussulto di dignità e orgoglio, la maggioranza degli italiani rassegnati e sfiduciati manderà al governo qualcuno che sia veramente degno di rappresentarli. Ma anche qui c'è ancora il 99 per cento di lavoro da fare.

venerdì 10 ottobre 2025

Sospetti

Ho il sospetto che parte del fiume di fango che da tempo stanno riversando su Francesca Albanese sia generato da mero maschilismo. Forse molti maschietti nostrani rimangono un po' urtati dal fatto che una donna sia in possesso di un curriculum accademico del genere e ricopra un ruolo di rilievo all'interno di una istituzione come l'ONU. 

Forse il sospetto non è cosi implausibile, dal momento che viviamo in una società che per larga parte vede ancora la donna come la vede Camillo Langone del Foglio.

giovedì 9 ottobre 2025

Concorsi


Se esistesse un concorso chiamato, che ne so?, Titolo ingannevole del giorno, oggi la Stampa vincerebbe a mani basse, non ci sarebbe partita con nessuno. Per smontarlo basta collegare un paio di neuroni. Se infatti fosse vero ciò che titola il quotidiano di Torino, significherebbe che Israele, dopo due anni di sterminio sistematico dei palestinesi con la scusa di dare la caccia ai terroristi di Hamas, libererebbe tutti o una parte di questi terroristi.

In realtà i quasi 2000 detenuti (la maggior parte dei quali senza alcun processo) che Israele libererà, in cambio della liberazione degli ostaggi ancora nelle mani di Hamas, fanno verosimilmente parte degli oltre 11.000 palestinesi tenuti prigionieri nelle carceri militari israeliani, prigionieri composti di persone accusate di essere più o meno direttamente affiliate a gruppi terroristici ma anche, in larga parte, composti di oppositori politici, attivisti, donne e bambini (i bambini reclusi si stima siano più di 400). Sono innumerevoli i rapporti di Amnesty International che da anni documentano le violenze, le torture, le sevizie a cui (specialmente le donne) molti di questi detenuti vengono sottoposti.

Naturalmente chi ha confezionato quel titolo queste cose le sa benissimo. Avrebbe potuto fare un titolo onesto, qualcosa tipo: "Sì allo scambio tra ostaggi israeliani e ostaggi palestinesi". Ha preferito confezionare un titolo falso e ingannevole per veicolare surrettiziamente l'idea che i buoni sono da una parte e i cattivi dall'altra, conscio anche del fatto che la maggioranza di chi ancora legge un giornale si limita a scorrere i titoli e a girare pagina. Piccolo consiglio che ormai tutti dovremmo aver fatto nostro da tempo: quando leggiamo un titolo di una testata mainstream, mettiamo sempre in conto che nove volte su dieci è falso, o comunque non rispecchia il contenuto del relativo articolo.

Il marketing dell'ignoranza


Ho girato l'ultima pagina di questo libro con un senso di tristezza, nonostante sia stato scritto con uno stile spesso ironico e graffiante. In questo lavoro l'autore analizza i princìpi ispiratori, i meccanismi di funzionamento e anche le conseguenze sociali del baratro culturale in cui il nostro Paese è precipitato, supportando il tutto con esempi concreti tratti dalla vita reale nella società. Ne esce un quadro piuttosto desolante ma a suo modo, paradossalmente, anche interessante, perché svela come questo marketing sia presente in tanti ambiti, spesso senza dare nell'occhio: informazione, social media, politica, economia, tecnologia... Quindi, indirettamente, fornisce anche suggerimenti su come cercare di arginare nel nostro piccolo questa deriva.

L'unica soluzione vera per tentare di uscire da questo baratro sarebbe investire tantissimo in cultura, cosa che non si fa. Si trovano soldi per la sicurezza, il riarmo, si aumenta la percentuale di PIL per gli armamenti, ma per l'unico investimento potenzialmente in grado di risollevare il Paese i soldi non ci sono.

Una approfondita analisi delle cause del declino dell'Italia ha certificato che il regresso economico, civile e culturale sono tra loro interdipendenti. "Un paese di ignoranti," scrive l'autore, "è destinato al collasso economico e al degrado civile." Queste cose ricordo che le scriveva già Umberto Galimberti nel bellissimo saggio I miti del nostro tempo, in cui spiegava, documentandolo, che le nazioni progrediscono a partire dal livello culturale e, senza eccezioni, quelle con livelli culturali più elevati sono anche quelle con condizioni economiche e sociali migliori. 

È un libro, dicevo, che lascia un po' di tristezza ma che è utile leggere per capire e "vedere" cose di cui altrimenti può essere difficile rendersi conto.

martedì 7 ottobre 2025

Abbandoni

Dal punto di vista del mero galateo, se vogliamo metterla su questo piano, l'abbandono di Francesca Albanese della trasmissione In Onda può anche dare adito a critiche. Diciamo che non è stato il massimo dell'eleganza. Purtroppo i talk show, non tutti ma gran parte sì, sono strutturati in modo da agevolare la conflittualità tra gli ospiti perché quest'ultima fa ascolti, e questo spiega perché per anni ci siamo trovati gente come Sgarbi in ogni trasmissione.

Se guardiamo i contenuti, la Albanese ha fatto benissimo ad andarsene perché la discussione tra lei e Giubilei non si svolgeva su un piano paritario. La signora Albanese esponeva le ragioni, documentate da sentenze di vari organismi, che spiegavano perché a Gaza è in corso un genocidio, Giubilei si muoveva furbescamente non citando sentenze e pareri di organismi autorevoli, ma riportando il parere della signora Segre, che sul piano della "scientificità", diciamo così, vale quanto il mio.

Insomma, da una parte c'era la razionalità empirica, dall'altra la mozione degli affetti che provoca reazioni emotive di nessuna validità sul piano fattuale. Quindi non mi sento assolutamente di biasimare Francesca Albanese. Ha fatto benissimo ad andarsene.

Fine dell'esperimento

Torno a chiudere, dopo un mesetto di prova, i commenti anonimi. È quasi incredibile che un blog di nicchia come questo, con poche decine di lettori, sia comunque preso di mira da cretini che si nascondono dietro l'anonimato, eppure è così. Quindi da oggi si torna alle origini. Un account Google oggi ce l'hanno tutti, quindi chi vuole commentare qui lo usi e si renda almeno riconoscibile. Fine dell'esperimento.

lunedì 6 ottobre 2025

Post-literate society

Questo interessantissimo articolo del Post (se avete cinque minuti leggetelo fino in fondo: merita davvero) mi ha fatto venire in mente due cose. La prima è una delle maggiori critiche che venivano rivolte a Stephen King agli inizi della sua carriera e cioè di essere un esponente della corrente della "prosa post-alfabetizzata", una critica che ovviamente lui prendeva tutt'altro che bene. Non c'entra col tema dell'articolo del Post, ma forse un po' sì. La seconda è un paragrafo molto interessante del libro Il marketing dell'ignoranza, che sto leggendo in questi giorni:

Oltre alle profonde conseguenze politiche ed economiche di questa situazione, i sottoprodotti socioculturali che sono derivati dall'esplosione incontrollata in particolare dei social media sono in gran parte inquietanti per il futuro dell'intera umanità. Solo per fare un esempio emblematico, dal quale scaturiscono peraltro numerose implicazioni gravemente preoccupanti, si stima che nel 2020 il tempo medio di attenzione degli utenti sui social network fosse di 8 secondi (contro i 12 del 2000, peraltro) e quello continuativo dedicato a leggere un articolo online fosse di 15 secondi. Informare e informarsi è impegnativo e faticoso, ed è quindi incompatibile con simili tempi. Questo è un problema, perché si tratta di attività essenziali per la democrazia e in generale per il benessere e lo sviluppo della società.

Senza che probabilmente gran parte delle persone se ne accorga, la nostra società sta attraversando un cambiamento antropologico di notevoli dimensioni: il passaggio dalla società della lentezza a quella della velocità, ciò che Umberto Galimberti chiama la velocizzazione del tempo. Tutte le società umane che ci hanno preceduto sono vissute nel tempo, noi viviamo nella velocizzazione del tempo. Il problema è che la dimensione naturale per l'essere umano è la lentezza: si legge lentamente, si studia lentamente, si apprende lentamente. La nostra dimensione antropologica è la lentezza, non la velocità. 

I social media, internet, la televisione sono invece strutturati per agevolare la velocità, la quale però non permette l'approfondimento. Si scrolla compulsivamente lo smartphone e si leggono velocemente i titoli delle notizie. Per la lettura fisica dei giornali è ormai la stessa cosa: si scorrono i titoli, si sfogliano velocemente le pagine e finita lì. Sono un abituale frequentatore del bar - oggi i bar sono anche sale da lettura - e non ricordo di aver mai visto nessuno leggere un articolo da cima a fondo. Ho ricordi molto vividi di mio babbo, il quale arrivava a casa tutto contento dopo essere stato in edicola a comprare i giornali. Si sedeva alla tavola e cominciava a leggerli con calma, non saltando titoli e pagine ma leggendo da cima a fondo gli articoli che lo interessavano, cosa che fa ancora oggi, peraltro.

Questo cambiamento sociale e antropologico che stiamo vivendo credo sia anche la causa del fatto che i libri non vengono più letti. Leggere libri è gratificante, ma è anche un'attività che richiede tempo, lentezza, concentrazione. I libri sono dei corpi estranei nella società di oggi, ma questo mettere ai margini i libri e la lettura, che significa mettere ai margini la capacità di approfondire e analizzare le cose, significa alla fine rischiare di non capire la società stessa e, di conseguenza, come muoversi all'interno di essa.

domenica 5 ottobre 2025

TdG

Mi sono imbattuto in due Testimoni di Geova sulla porta di casa, due persone gentilissime e cordiali, come lo sono sempre (dei TdG si può dire tutto, ad esempio che sono dei gran rompicoglioni, tranne che non siano gentili ed educati). Dopo dieci minuti di piacevole chiacchierata se ne sono andati senza cavare un ragno dal buco, cioè anche stavolta non sono riusciti a portarmi dentro. Ritenta, sarai più fortunato, ho pensato dentro di me.

La domanda scelta per rompere il ghiaccio è la classica che fanno a chiunque incontrino per strada: "Buongiono, le possiamo chiedere se lei ha qualche soluzione per risolvere il problema delle guerre in cui siamo precipitati?"

"Temo che sia un problema senza soluzione" rispondo.

"Perché?"

"In primo luogo perché, come spiega l'antropologia, la conflittualità è da sempre la principale forma di interazione tra gli esseri umani. In secondo luogo perché anche se dal 1945 in qua in Europa abbiamo dormito, convinti che la storia fosse finita e che le guerre fossero antichi retaggi del passato, in realtà gran parte del resto del mondo ha continuato tranquillamente a farsi guerre di ogni tipo. Il problema è che noi, tutti presi dalle apericene e dalle serie tv, non ci facevamo caso."

Probabilmente i due si aspettavano una risposta tipo: "Boh, non lo so" o qualcosa di simile. Infatti la replica di uno dei due è stata: "Mi faccia indovinare, lei è professore di qualcosa e insegna da qualche parte, l'ho capito dalla sua risposta."

"No, guardi, si sbaglia. Ho mollato le superiori al terzo anno, quando mi è arrivata la chiamata per i militari, quindi non insegno da nessuna parte. Ho solo il vizio di leggere molto."

Visto che sulla soluzione al problema delle guerre non c'era più niente da dire, hanno virato sulla teologia: Bibbia, Gesù, Giovanni, il battesimo, l'assurdità di alcuni dogmi della chiesa cattolica (e qui siamo tutti d'accordo) ecc. Fino alla domanda fatale: "Secondo lei Dio esiste? E cosa pensa al riguardo?"

"Guardi, non se ne abbia a male," ho risposto, "ma a differenza di chi crede, io sono sicuro che Dio non esiste. Quindi sono altrettanto sicuro che non è stato lui che ci ha creati, ma siamo stati noi a creare lui."

"Ah beh, certo, comprendiamo il suo punto di vista, è più che legittimo. Adesso noi dobbiamo andare, è stato un piacere. Possiamo lasciarle un volantino e una copia della nostra rivista?"

"No, grazie, ho già fin troppi libri in arretrato sul comodino."

Alla fine i TdG non sono così terribili come sembra, basta saperli prendere :-)

venerdì 3 ottobre 2025

Premessa

Ho iniziato a leggere un saggio di Paolo Guenzi che si intitola Il marketing dell'ignoranza. Riporto qui sotto la premessa perché da sola vale già quasi tutto il libro.

La tesi di questo libro è semplice: l'ignoranza è un prodotto di straordinario successo, e l'Italia è uno dei migliori luoghi del mondo per la sua ideazione, produzione, commercializzazione e consumo. Il nostro è un Paese pieno di problemi, ma dispone anche di molte risorse. Fra queste, una delle più straordinarie - eppure, sorprendentemente, quasi mai citata - è la capacità di concepire, realizzare e vendere ignoranza. La mia opinione, che cercherò di illustrare e supportare in questo lavoro, è che in questo campo siamo fra i migliori del mondo, non solo come creativi, indefessi produttori ed efficientissimi distributori, ma anche come avidi, insaziabili consumatori. È inutile negarlo, l'ignoranza da noi piace, e molto. E fa anche fare un sacco di soldi. Procura fama, notorietà, potere, ricchezza. Ma, attenzione, non tutti sono capaci di crearla e diffonderla. Ci vuole un ta- lento particolare, un articolato insieme di strumenti e un sofisticato bagaglio di tecniche guidate da una ferma volontà e da un'assoluta fede nel suo valore. In altre parole, ci vuole uno strutturato approccio di marketing, cioè un mix di attività di creazione del «prodotto» ignoranza, nonché di sua comunicazione e distribuzione al «pubblico» (gli italiani). Tutto questo, naturalmente, a un «prezzo» (salato) che consiste nell'impoverimento del bagaglio culturale della popolazione, che va peraltro di pari passo, in un perverso meccanismo di reciproca alimentazione, con il collasso morale e il degrado civile del nostro disgraziato Paese.

L'ignoranza un tempo era fonte di imbarazzo, di vergogna, di senso di inferiorità. Oggi in molti casi, e il nostro Paese ne è un esempio emblematico, la situazione si è ribaltata. L'ignoranza viene spesso sbandierata con orgoglio, rivendicata sfacciatamente. Non è più solo giustificata e difesa, ma anzi promossa come un valore sociale. Molte persone sono fieramente ignoranti, ostentano la loro ignoranza come una dote o la usano come giustificazione per attuare comportamenti discutibili. Un posto d'onore, in questo processo di galoppante affermazione del marketing dell'ignoranza, va ai politici e ai pubblici amministratori, nonché al sistema dei mezzi di informazione. Ma non preoccupatevi, c'è posto per tutti: senza neppure impegnarsi troppo, ciascun cittadino può fare la propria parte e contribuire attivamente, sia come produttore che come consumatore, al trionfo dell'ignoranza. L'Italia è il paradiso delle microimprese, dell'imprenditorialità diffusa, delle aziende unipersonali, dei liberi professionisti e delle partite IVA... e questo vale anche per il prodotto ignoranza. Nello Stivale c'è una straordinaria vitalità del mercato dell'ignoranza, che genera in milioni di persone una pervasiva capacità di idearla, produrla, promuoverla, comunicarla e distribuirla in modi accattivanti. Nel marketing dell'ignoranza il nostro Paese registra una quasi inarrivabile imprenditorialità diffusa e, prerogativa raris- sima, addirittura una produttività crescente. In questa prospettiva, le nuove tecnologie e soprattutto i social network offrono opportunità formidabili a qualunque individuo, soprattutto quelli più ignoranti, di diventare sempre più protagonisti. Quindi diamoci da fare, si può sempre peggiorare!

Dalla parte giusta

Ovunque ci sono immagini di piazze piene. Alcuni commentatori, più o meno sempre i soliti, alzano le spalle, irridono, sfottono e dicono che le manifestazioni in piazza non servono a nulla e che anche la missione della Flotilla non è servita a nulla, e continuano una sistematica opera di delegittimazione sia delle piazze che della missione. 

Invece servono, servono eccome queste manifestazioni. Servono a riconoscere chi sta dalla parte giusta della storia da chi sta da quella sbagliata. Servono a smarcarsi e a mettere le distanze tra chi ha ancora un minimo senso di umanità da chi l'ha perduto definitivamente. Tra chi se ne frega dello sterminio del popolo palestinese e chi ritiene disumano e intollerabile che un esercito spari su bambini in fila per un pezzo di pane e un po' d'acqua. Queste manifestazioni servono a distinguere chi è morto dentro da chi ancora ha un cuore. 

È notizia di qualche giorno fa che l'organo israeliano che ha il compito di controllare l'ingresso degli aiuti a Gaza (Cogat) obbliga i donatori di alimenti a rimuovere dai loro carichi biscotti, miele e vasetti di marmellata, perché considerati troppo energetici per i bambini, quei bambini e quelle donne che stanno morendo di fame. Ecco, quelle piazze e quella missione servono a separare chi rifiuta tutto questo da chi lo accetta, chi ritiene che non si possono ammazzare centomila persone e radere al suolo un paese intero e chi invece pensa che si possa fare. Il discrimine è tutto qui, il resto è solo fumo negli occhi.

mercoledì 1 ottobre 2025

Nessunə è normale


Ci sono libri che quando li leggi danno la sensazione di respirare aria pulita, come quando si apre la finestra di una stanza rimasta chiusa per troppo tempo. Questo libro è quella finestra che si apre. 

Chi è normale? Cosa è normale? In base a quali parametri definiamo cosa/chi è normale e cosa/chi non lo è? E chi ha definito quei parametri? È possibile che i concetti di normalità e di norma non siano altro che strumenti di un gruppo dominante per esercitare forme di potere e prevaricazione su gruppi meno forti, come ad esempio le donne, i migranti, i poveri, le persone con orientamenti sessuali diversi da quello "normale"?

Non credo che guarderò molti aspetti della nostra società con gli stessi occhi di prima, dopo questo libro. E d'altra parte i libri servono anche a questo: vedere cose che prima non si vedevano.

La parte con cui stare



La signora Meloni è particolarmente attiva, in questi giorni, sui suoi canali social. Oggetto dei suoi post è la missione umanitaria, e soprattutto politica, della Flotiglia. Nell'ultimo di questi post accusa addirittura i partecipanti di irresponsabilità perché rifiutandosi di invertire la rotta e tornare indietro metterebbero in pericolo la realizzazione del fantasmagorico piano di pace partorito da Trump. 

Ovviamente si tratta di una scemenza colossale, ma sappiamo bene, e soprattutto la Meloni lo sa bene, che su un certo tipo di elettorato le sue uscite hanno sempre buona presa.

Quello che effettivamente è incredibile è che questi 500 attivisti, di cui 60 sono italiani, oltre ai possibili e molto probabili attacchi militari che potrebbero arrivare dalla marina israeliana devono guardarsi dagli attacchi che arrivano dalla stampa, da una parte cospicua parte della società e dalle più alte cariche istituzionali, Mattarella compreso.

Questi atteggiamenti sono incredibili perché la scelta è tra due situazioni. Da una parte ci sono 500 attivisti che partecipano a un'iniziativa umanitaria internazionale con l'obiettivo di rompere il blocco navale israeliano (illegale, secondo la quasi totalità degli esperti) della Striscia di Gaza, rifornire di viveri e medicinali la popolazione palestinese che muore letteralmente di fame e istituire un corridoio umanitario permanente che consenta di supportare i superstiti allo sterminio portato avanti da Israele. Dall'altra parte ci sono gli autori dello sterminio. Com'è possibile non essere dalla parte dei primi?

Poi, ovvio, sappiamo tutti, e lo sanno bene anche gli attivisti, che poche decine di tonnellate di cibo e medicinali sono una goccia nel mare di quella disperazione, ma l'iniziativa prima ancora che umanitaria è politica e serve a dire al mondo (Europa in particolare): Signori, mentre voi da due anni non muovete un dito contro il genocidio dei palestinesi, e anzi ne siete in larga parte anche complici, noi cerchiamo di porre un argine alla vostra ignavia. 

Com'è possibile non stare da questa parte senza se e senza ma?

Stomaci forti

Riguardo alla questione della casa editrice filo-fascista alla manifestazione Più libri Più liberi, non so bene cosa pensare. Da un lato la...