- Riconosci e pattuglia i limiti della tua conoscenza. Stana stereotipi e automatismi linguistici. Resisti all'istintiva xenofobia umana.
- Poniti dubbi su quello che leggi e senti; chiediti se qualcuno sta provando a manipolarti. Se qualcosa ti infastidisce, chiediti perché.
- Pratica l'aikidō della comunicazione: non rispondere a violenza verbale con violenza verbale, non schernire chi sa meno di te o chi sbaglia, ignora l'aggressività e rimani sulla questione.
- Costruisci la tua reputazione in un certo ambito: non c'è bisogno, e non è possibile, sapere tutto. Anche il più esperto lo è in un determinato campo.
- Pratica l'autoironia, ma non difenderti mai dicendo che eri ironicə.
- Sii capace di riconoscere il tuo errore.
- Se non capisci, di' che non hai capito; se non lo sai, di' che non lo sai.
- Ricordati che sei sempre in pubblico: i nostri spazi privati sono più ristretti di quanto pensiamo e vanno difesi curando bene la "faccia pubblica".
- Non smettere mai di studiare e approfondire; la conoscenza non è mai abbastanza. Trova una dieta mediatica varia ed equilibrata. Coltiva la curiosità.
- Quando serve, scegli il silenzio.
sabato 30 aprile 2022
Le ragioni del dubbio
Quanto mi secca avere sempre ragione
giovedì 28 aprile 2022
Democrazia
Ho visto Nina volare
Ho scoperto per caso che Zucchero ha realizzato una sua versione di Ho visto Nina volare, una struggente e intensa ballata di De André inserita nel suo ultimo (ahimè!) album di inediti pubblicato nel 1996: Anime salve. Solitamente non amo i rifacimenti di canzoni di autori che mi piacciono, ma devo ammettere che la versione di Zucchero è molto interessante e coinvolgente.
La canzone non ha un testo dal significato immediatamente intelligibile, è vago, ermetico, a suo modo etereo, indefinito, e forse la sua poesia sta anche in questa indefinitezza. Alcuni tentativi di analisi del testo sono comunque stati fatti, come questo, ad esempio. Ma alla fine credo che ognuno possa vedere in quella bambina che vola tra i fili dell'altalena chiunque voglia.
Mastica e sputa, da una parte il miele
mastica e sputa, dall'altra la cera
mastica e sputa, prima che venga neve
Luce luce lontana, più bassa delle stelle
quale sarà la mano che ti accende e ti spegne
Ho visto Nina volare tra le corde dell'altalena
un giorno la prenderò come fa il vento alla schiena
e se lo sa mio padre dovrò cambiar paese
se mio padre lo sa mi imbarcherò sul mare
Mastica e sputa, da una parte il miele
mastica e sputa, dall'altra la cera
mastica e sputa prima che faccia neve
Stanotte è venuta l'ombra, l'ombra che mi fa il verso
le ho mostrato il coltello e la mia maschera di gelso
e se lo sa mio padre mi metterò in cammino
se mio padre lo sa mi imbarcherò lontano
Mastica e sputa, da una parte il miele
mastica e sputa, dall'altra la cera
mastica e sputa prima che metta neve
Ho visto Nina volare tra le corde dell'altalena
un giorno la prenderò come fa il vento alla schiena
Luce luce lontana, che si accende e si spegne
quale sarà la mano che illumina le stelle
mastica e sputa prima che venga neve
Questa è la versione originale contenuta nell'album di De André.
Questa, invece, è la versione di Zucchero.
Doppio cognome
mercoledì 27 aprile 2022
Aramostre
martedì 26 aprile 2022
Noi schiavisti
Ho terminato questo libro provando due diverse sensazioni: senso di colpa e incredulità. Il senso di colpa è generato dalla consapevolezza di essere, come consumatore, corresponsabile delle più variegate forme di schiavismo e sfruttamento su cui si regge buona parte dell'economia del nostro paese; l'incredulità è generata dalla presa di coscienza delle dimensioni del fenomeno (presente non solo in Italia, in verità).
Il fenomeno dello sfruttamento nel mondo del lavoro si origina indietro nel tempo, nei primi anni Novanta, quando con quello che è generalmente noto come Pacchetto Treu venne inaugurata l'epoca del lavoro cosiddetto flessibile (la flessibilità è un termine gentile con cui si è sempre cercato di edulcorare la precarietà). Lavoro flessibile via via rafforzato nel corso degli anni con altre riforme del lavoro che sono sostanzialmente sempre andate nella stessa direzione (ne avevo già parlato qui).
Il senso di colpa di cui parlo nasce dal fatto che io, come tutti, quando vedo in un supermercato offerte che sembrano incredibili e ne approfitto, contribuisco ad alimentare questo perverso meccanismo di sfruttamento, perché ogni volta che trovo le cosce di pollo a 2 euro al chilo o i pomodori a prezzi stracciati, vuol dire che dietro ci sono gli schiavi di oggi che per fare arrivare sui banchi quei prodotti a quel prezzo lavorano per 12 ore al giorno a 2 o 3 euro all'ora, sabato e domenica compresi, e vanno a ingrossare il giro d'affari del caporalato, delle cooperative di lavoro in subappalto che sfruttano migliaia di persone senza diritti e che vengono ricattate appunto perché in virtù del loro status non possono rivendicare alcunché (stranieri, irregolari, poveri ecc.).
Ho fatto l'esempio della carne e della frutta, ma questo sfruttamento si è ormai infiltrato in ogni altro settore dell'economia: sanità (sì, anche gli ospedali, oggi, reclutano personale appoggiandosi a cooperative), assistenza ad anziani (le famose badanti), edilizia, cantieristica nautica, logistica, manifattura, commercio, trasporti, industria e via di seguito. A proposito di badanti, ad esempio, ho scoperto una cosa che non sapevo: esistono solo in Italia. Le abbiamo inventate noi. E le abbiamo inventate noi perché, a differenza degli altri paesi europei, come al solito molto più lungimiranti, di fronte al progressivo invecchiamento della popolazione non abbiamo cominciato per tempo a immaginare forme di assistenza pubbliche e abbiamo consegnato i nostri anziani a un esercito di badanti dietro alle quali, molto spesso, manco a dirlo si nasconde il racket.
L'aspetto paradossale e tragico di questa situazione è che non c'è via d'uscita perché è una situazione che fa comodo a tutti. Scrive a questo proposito l'autrice: "Un sistema [quello dello schiavismo] che va avanti da anni, legale, che fa comodo a tutti, ai consumatori e alle aziende, alle cooperative e alle ditte di lavorazione della carne, alla politica di destra, che può addossare agli immigrati la colpa di rubare il lavoro agli italiani, e a quella di sinistra, che ha uno storico rapporto con le cooperative; fa comodo agli immigrati che trovano lavoro e appena possono diventano intermediari o fondano una cooperativa o una ditta di subappalto a loro volta, agli italiani che possono acquistare prodotti o servizi a bassissimo costo che altrimenti non si potrebbero permettere. Fa comodo a me, che posso andare al supermercato e trovare il tacchino a 2,5 euro al chilogrammo. Ma accettare questo sistema significa accettare che esistano cittadini e schiavi, paghe di seria A e paghe di serie B. Si potrebbe dire che l'Italia è diventata una 'Repubblica democratica fondata sul lavoro in subappalto' perché questo sistema si replica, identico, in diversi settori."
Circa il sistema delle cooperative e del lavoro in subappalto potrei parlare tantissimo perché ne ho esperienza diretta. Mi limito solo a dire che (già lo sapevo, ma dopo aver letto questo libro ne ho ancora maggiore consapevolezza) mi ritengo un privilegiato, oggi, a poter lavorare da ben 32 anni con un contratto a tempo indeterminato con tutte le garanzie di legge.
lunedì 25 aprile 2022
Preferisco chi spiega le cose
Io mi sono fatto una idea sui motivi per cui Orsini è così detestato, e il principale credo stia nel fatto che spiega le cose. Cioè non si limita a buttare là affermazioni e a dare in pasto al pubblico degli slogan. Esterna idee, esprime concetti, ma subito dopo spiega perché ha esternato un dato concetto, perché ha espresso una data idea. E pretende di portare a termine la spiegazione anche se viene interrotto.
domenica 24 aprile 2022
La Russia di Putin
La Russia di Putin è un libro che impressiona. Impressiona perché da fuori non si riesce a farsi l'idea di cosa sia la Russia sotto Putin. Forse, lentamente, qualcosa si è cominciato a intuire dall'invasione dell'Ucraina, che ha indotto molti a documentarsi e a cercare di avere qualche informazione su chi sia Putin e come "governi" il paese di cui è a capo dal 2000.
Il libro di Anna Politkovskaja, assassinata nel 2006 nell'androne del palazzo in cui abitava, a Mosca, ritrae un quadro impietoso di un paese in completo sfacelo, devastato dal comunismo prima e dalla svolta capitalista avvenuta dopo il crollo dell'Unione sovietica. Un paese dove il crimine, la corruzione e il malaffare regnano sovrani e infettano ogni ganglio dell'apparato statale: politica, forze armate, magistratura.
Uno dei capitoli che lascia maggiormente stupefatti è la descrizione di ciò che succede nell'esercito, dove gli ufficiali e i più alti in grado hanno diritto di vita e di morte sui sottoposti, i soldati semplici, che vengono sottoposti a ogni genere di sevizie, torture e angherie, fino ad arrivare alla morte - esistono associazioni di genitori di giovani deceduti sotto le armi che si battono per sapere che fine abbiano fatto i loro figli. Un sistema criminale che non teme nulla perché gli autori possono contare sulla totale impunità grazie alla corruzione di un apparato giudiziario totalmente asservito al potere dittatoriale instaurato da Putin.
Putin non governa la Russia. La Russia è cosa sua e lui ne fa ciò che vuole. Tutto è sotto il suo controllo o sotto il controllo dei suoi fedelissimi. Ogni apparato dello Stato, fin nelle sue più periferiche articolazioni, è diretto da ex funzionari del KGB che rispondono solo a lui. L'opposizione è solo formale, in realtà non esiste, così come la libera stampa. Un qualsiasi cittadino vittima di soprusi o ingiustizie di qualsiasi tipo non ha alcuna speranza di vedersi riconosciuta giustizia perché i tribunali seguono la logica, voluta da Putin, che l'interesse dello Stato ha preminenza sull'interesse del singolo, e se i due interessi confliggono quello dello Stato prevale.
È un libro che disarma, lascia allibiti, un libro che tutti dovrebbero leggere. In particolare lo dovrebbero leggere i vari Salvini, Berlusconi e compagnia cantante che per un decennio hanno decantato le lodi da statista dello zar russo, lo hanno corteggiato, si sono vantati di averlo come amico, ci hanno fatto selfie insieme, pur sapendo chi è e come "governa" la Russia.
sabato 23 aprile 2022
Breve resoconto della presentazione di un libro di Vera Gheno
A volte è sorprendente come gli avvenimenti capitino per caso e stravolgano il corso di una giornata che sembrava incanalata sui soliti binari. Così doveva essere anche questo sabato: un sabato come gli altri. Invece stamattina, mentre sfogliavo il giornale al bar davanti ai soliti cappuccino e cornetto, ho casualmente letto che nel pomeriggio ci sarebbe stato, qui alla "mia" biblioteca di Santarcangelo, la biblioteca Baldini, un intervento di Vera Gheno, che avrebbe parlato di comunicazione, lingua, linguaggio, e avrebbe presentato il suo ultimo saggio Le ragioni del dubbio. Ho quindi deciso di andarci pur non conoscendo, se non vagamente di fama, l'autrice in questione, e anche perché il titolo del libro mi sembrava interessante.
Mi ha fatto piacere rimettere piede, dopo un tempo abbastanza lungo, nella mia amata biblioteca, dove ho scoperto (cosa che mi ha fatto molto piacere) che c'è un gruppo di lettura formato da ragazzi tra i 12 e i 15 anni che si ritrova regolarmente per leggere La bambina che amava Tom Gordon, di Stephen King.
La presentazione, interessantissima, aveva purtroppo i tempi abbastanza contingentati ed è durata solo un'ora. Peccato. Vera Gheno è una affabulatrice nata: ironica, spigliata, competente; per un'ora ha intrattenuto i presenti raccontando un po' di sé: i suoi studi, le sue pubblicazioni, il suo ruolo di ricercatrice all'università di Firenze. La parte più interessante dell'intervento ha riguardato, ovviamente, le sue discettazioni su comunicazione e linguaggio. Mentre parlava ho preso alcuni appunti, ma solo durante la prima mezzora, poi ho lasciato perdere perché ascoltarla era talmente interessante che non volevo distrarmi, scrivendo, col rischio di perdere qualcosa del suo intervento.
Elenco qui di seguito, brevemente, alcuni dei temi toccati.
Uno su cui ha insistito molto riguarda la facilità con cui oggi, tramite la rete, possiamo accedere alla comunicazione, alle notizie. Ma com'è la qualità di questa comunicazione? Il maggiore problema che la riguarda, oggi, è che coi media digitali e con la televisione abbiamo a disposizione un flusso ininterrotto e velocissimo di notizie, immagini, stimoli, che proprio a causa di questa velocità non riusciamo a fissare. Se si viene sommersi da una quantità eccessiva di stimoli, la nostra mente non riesce a elaborarli compiutamente, deve giocoforza operare una selezione. Per riuscire a renderli il più possibile digeribili, questi stimoli vengono quindi forniti in maniera semplificata, eliminando la loro complessità, perché complessità e velocità non sono compatibili, e la prima vittima di questa velocità è la possibilità/capacità di pensare.
Questo concetto non è nuovo - ne ho già parlato anch'io, in passato, su queste pagine -, è già stato studiato da sociologi e psicologi tra cui Andreoli, Crepet, Galimberti e altri. Galimberti, ad esempio, definisce la nostra epoca l'epoca della velocizzazione del tempo. Noi non viviamo, come hanno fatto le generazioni precedenti alla nostra per migliaia di anni, nel tempo, ma nella velocizzazione del tempo. Tutto dev'essere immediato, non esiste più la possibilità della riflessione, della ponderazione; a un messaggio bisogna rispondere subito con altro messaggio pena l'insorgenza di ansia e angoscia. Vera Gheno ha fatto l'esempio delle mail, raccontando che le capita spesso di ricevere messaggi di posta elettronica a cui, se non risponde in tempi ristrettissimi, segue subito una seconda mail o altro tipo di messaggio coi quali le si chiede ragione della mancata risposta. Questa velocizzazione del tempo costituisce, anche se noi non ce ne rendiamo conto, una mutazione antropologica radicale a cui non siamo abituati, che ci prende in contropiede e obbliga alla semplificazione. È anche a causa di questo che nascono le cosiddette polarizzazioni manichee dove tutto è solo bianco o solo nero, dove c'è un cattivo e un buono, uno che ha totalmente ragione e l'altro totalmente torto, uno rigorosamente in possesso della verità e l'altro della fallacia. E tutto ciò che sta nel mezzo, le sfumature, le gradazioni, in altre parole la complessità, non conta, non è importante, ruba troppo tempo.
A proposito di mancata complessità, la Gheno ha fatto un interessante riferimento al modo in cui, a volte, vengono strumentalmente confezionati i titoli che devono attirare la nostra attenzione. L'ha fatto prendendo come esempio il recente caso di cronaca - avevo letto qualcosa anch'io - in cui a un gruppo di persone disabili è stato negato l'accesso a un treno. Se un giornale fa un titolo tipo "Negato l'accesso a un treno a un gruppo di persone disabili" la prima cosa da fare è drizzare le antenne, mettersi sul chi va' là, evitare la immediata reazione/indignazione di pancia. Perché è tutto troppo bello, troppo semplice; in un titolo del genere viene già indicato nettamente al lettore chi è il buono (i disabili) e chi il cattivo (l'addetto che fisicamente ha impedito loro di salire, in senso più generale le ferrovie). Ma magari la situazione non è così semplice, ci possono essere (e immagino ci siano sicuramente) motivi diversi a noi sconosciuti che hanno generato e che spiegano questa incresciosa situazione, ma noi non li sappiamo perché magari sono nascosti in qualche minuscola riga in fondo all'articolo. A noi viene dato in pasto il titolone strumentale col preciso scopo di spingerci ad abbandonarci a reazioni di pancia e inondare i social di post indignati. In altre parole, ci siamo cascati, e ci siamo cascati perché non abbiamo più la possibilità e/o la capacità di pensare che le cose possono essere più complesse di quanto raccontato nel titolo. E poi, diciamolo, come si fa a rinunciare al piacere che dà poter esternare davanti all'universo mondo la nostra sacrosanta e fondamentale indignazione, evitando di prendere in considerazione l'idea di tacere fino a quando, magari, della vicenda si è capito qualcosa di più?
Altri punti toccati, ma li elenco solo altrimenti finisco domattina, riguardano l'assurdità della pretesa di democrazia nell'informazione, in ossequio alla quale un terrapiattista può vedersela alla pari in un dibattito televisivo con chi dice che la terra è sferica; oppure il fastidio recato dagli esperti in una materia che si trasformano in esperti di tutto, tipo certi virologi che diventano anche esperti di linguistica, geopolitica e tanto altro.
Alla fine, naturalmente, il libro l'ho comprato e mi ci butterò non appena avrò terminato il saggio di Anna Politkovskaja che sto leggendo in questi giorni. E so già che mi piacerà.
Vera (Gheno)
venerdì 22 aprile 2022
Giornalisti
giovedì 21 aprile 2022
Libri elettronici
martedì 19 aprile 2022
L'ultimo rimasto
Attese (del proprio turno)
lunedì 18 aprile 2022
Piccoli
Ho terminato poco fa Il Big Bang e l'origine dell'universo, del fisico spagnolo Antonio M. Lallena. Non è il primo libro che leggo relativamente a questi argomenti, ma ogni volta una cosa non smette di stupirmi: la nostra insignificanza all'interno dell'universo, ma ancora di più mi sorprende il fatto che a questa cosa generalmente non si pensi.
Vedi cara
domenica 17 aprile 2022
Lucio Dalla, Bettino Craxi e gli euromissili
Su La Stampa di ieri c'era una bellissima intervista a Samuele Bersani nel quale, tra le altre cose, il cantautore riminese parlava dell'imminente tour che lo porterà in giro per l'Italia e del suo ultimo album, Cinema Samuele, uscito nel 2020.
Samuele Bersani, come è noto, è una "creatura" di Lucio Dalla, nel senso che è uno dei molti artisti scoperti, valorizzati e lanciati dal grande cantautore bolognese. Nell'intervista in questione Bersani parla di lui con deferenza e affetto, rievocando momenti del loro sodalizio artistico e della loro amicizia, e menziona anche la grande cultura e competenza di Dalla riguardo all'attualità politica, invitando, per averne conferma, a cercare su YouTube la chiacchierata tra lui e Bettino Craxi sulla questione degli euromissili (la vicenda relativa all'installazione di missili nucleari a medio raggio sul territorio europeo da parte di USA e URSS che tenne banco nei primi anni Ottanta).
Incuriosito come non mai, mi sono messo a cercare quella chiacchierata e sono riuscito a trovarla. Sono rimasto a bocca aperta. Nella suddetta chiacchierata, che ripubblico qui di seguito, si può ascoltare un Lucio Dalla che disquisisce con Craxi di geopolitica, Europa, società con la stessa competenza di un docente universitario.
Intendiamoci, non ho mai pensato che Lucio Dalla fosse ignorante, anche perché apparteneva a una generazione di cantautori (Guccini, De André, De Gregori, Gaber, Fossati, Graziani e altri) colti, gente che studiava, che leggeva, che sapeva, ma sentirlo padroneggiare questi argomenti con tale competenza e padronanza mi ha comunque sorpreso.
sabato 16 aprile 2022
La storia di Lisey
Le ultime 250 pagine di questo monumentale romanzo di Stephen King le ho lette tutte in un fiato tra ieri pomeriggio e la tarda notte. Perché King - non sempre ma molto spesso - è così: tiene incollati alle pagine e impedisce di abbandonarle fino all'epilogo.
La storia di Lisey è un romanzo complesso, introspettivo, psicologico, drammatico, con un continuo ricorso a flashback che obbligano il lettore a tenere sempre alta l'attenzione pena lo smarrimento, un romanzo con una larga componente fantastica (qui King è da sempre maestro) e immancabili sfumature horror.
Narra le vicende di Lisey, vedova dello scrittore di successo Scott Landon, che dopo due anni dalla morte del marito decide di entrare nel suo studio per riordinare le sue carte, i suoi appunti, i suoi manoscritti. Non è un lavoro tranquillo, questo, perché riprendendo in mano le sue cose si apre una cascata di ricordi, ricordi che - ne prenderà coscienza piano piano Lisey - non si riaffacciano alla memoria in maniera casuale.
Scott non era un uomo "normale", la sua infanzia era stata costellata da vicende familiari drammatiche (tra queste, le vessazioni a cui era sottoposto dal padre), spesso al limite del reale e il successo dei suoi romanzi era dovuto alla trasposizione in essi di questo suo lato oscuro, che Lisey aveva imparato a conoscere molto bene. La non casualità del riaffiorare dei ricordi induce la vedova dello scrittore a pensare che il mondo immaginario da cui Scott traeva ispirazione per la stesura dei suoi scritti, forse non era così immaginario e in qualche modo stia adesso cercando di approcciarsi a lei.
Vicende del romanzo a parte, La storia di Lisey è una bellissima descrizione di uno dei modi in cui la mente può elaborare un lutto, in particolar modo il lutto per la perdita di una persona, in questo caso il marito scrittore, che è stata al fianco di un'altra persona per 25 anni, 25 anni di profonda intimità e complicità.
Non è un romanzo semplice, da fine settimana per distrarsi, e i giudizi su di esso sono spesso contrastanti, suddivisi più o meno equamente tra chi l'ha abbandonato dopo le prime trenta pagine e chi l'ha considerato uno dei grandi capolavori di King. Io mi colloco tra i secondi.
Pasqua e Natale
mercoledì 13 aprile 2022
Televisione
Presunta immoralità
Anche oggi sono qua, a manipolare tonnellate di alberi e foreste trasformati in giornali pieni di gossip che verranno poi acquistati da signore insoddisfatte della propria vita, sfogliati frettolosamente e poi gettati. A volte penso che il mio lavoro sia immorale.
lunedì 11 aprile 2022
Le Pen
domenica 10 aprile 2022
Casellati e Pasolini
Quella della signora Casellati non è una gaffe. Una gaffe la rimedi, ti accorgi di averla fatta e la correggi lì per lì. Ma chiamare Pasolini Gian Paolo significa non conoscere il suo nome, cioè non sapere chi è, e il fatto che la seconda carica della Repubblica italiana non conosca uno dei più grandi intellettuali (romanziere, saggista, poeta, regista) che ha avuto il nostro paese, spiega come in modo migliore non si potrebbe perché il suddetto paese è messo come è messo.
Accenni di sensi di colpa
Sulla libertà
Non è che in un post su un blog si possa discettare sul concetto di libertà, concetto smisurato e dalle molteplici sfaccettature, ma si può provare ad accennare qualcuna di queste sfaccettature.
Noi siamo liberi? Formalmente sì, o almeno amiamo pensare che sia così, ma molto dipende dal piano su cui vogliamo porre la questione. Rispetto a un carcerato, ad esempio, è ovvio che siamo liberi. Possiamo uscire di casa a qualsiasi ora del giorno o della notte, possiamo scegliere se uscire a piedi, in bicicletta, in macchina. Abbiamo la libertà di scegliere se andare in spiaggia, oppure in collina ecc. Questa è senz'altro una forma di libertà. Ma ci sono altre forme di libertà che ci sono negate, o che comunque sono negate alla maggior parte di noi. Siamo liberi, ad esempio, di non andare a lavorare? No, non lo siamo (non mi riferisco, ovviamente, a chi per i motivi più vari e fortunati può permettersi di non andarci), perché ci muoviamo all'interno di una società strutturata in modo che sia possibile viverci solo possedendo un reddito. Quindi, da questo punto di vista, non si è liberi di poter trascorrere le giornate facendo solo ciò che piacerebbe fare (andare a passeggio, leggere, scrivere, viaggiare ecc.). Qui è facile vedere come il concetto di libertà si ridimensioni alquanto.
Ma c'è un altro aspetto della libertà abbastanza interessante a cui in genere non si pensa molto: la relazione tra libertà e identità, cioè tra libertà e carattere o modo di essere, di cui parla Galimberti nei pochi minuti del breve video qui sotto.
In sostanza la questione è la seguente: Siamo liberi di non essere ciò che siamo? Galimberti porta un esempio. Un giorno Sartre andò in montagna per una escursione, cadde e si ruppe una gamba. Convalescente in ospedale, andò un giorno a trovarlo Maurice Merleau-Ponty, filosofo e suo grande amico, il quale gli chiese perché per andare a fare una escursione in montagna non si fosse fatto accompagnare da una guida. Risposta di Sartre: "Maurice, secondo te io sono uno che va in montagna con una guida?"
Con questa risposta Sartre ha voluto dire che, col suo carattere, per come è fatto lui, per il suo modo di essere, non sarebbe mai andato in montagna con una guida. La sua identità gli nega la libertà farlo. E non è una forma di limitazione della libertà (in questo caso della libertà di farsi accompagnare da una guida) anche questa?
In questo caso, quindi, la libertà si ridimensiona e si adegua al modo di essere, e molto difficilmente può essere diversamente. Quando succede, subentra la sorpresa, lo sconcerto. Quella sorpresa e quello sconcerto che ci fanno dire: "Questa cosa da lui non me la sarei mai aspettata", in riferimento a un comportamento, un atteggiamento, una frase detta da una persona da cui, in virtù di come la conosciamo, mai ce la saremmo aspettata.
Quindi, forse, non siamo liberi; diciamo però che ci piace un sacco pensarlo.
sabato 9 aprile 2022
Interconnessioni
venerdì 8 aprile 2022
Tra il gas, l'aria condizionata e i sacrifici
Fratelli
Fare ciao ciao con la manina
giovedì 7 aprile 2022
Troll
Ogni tanto si fa vivo da queste parti qualche troll, che lascia commenti idioti e provocatori tipo questo. Naturalmente sempre sotto anonimato. Che un povero blog di campagna come il mio, con pochi lettori e ancora meno commentatori, riesca a suscitare l'interesse di qualche provocatore è una cosa abbastanza curiosa, tutto sommato.
Assodato che replicare a un provocatore è una cosa a cui non penso neanche lontanamente, sorge il problema sul da farsi. Cancellare i commenti? Ignorarli e passare oltre? Qualche blogger che ha o ha avuto lo stesso problema come mi suggerirebbe di procedere?
Si vuole capire?
La più autorevole rivista italiana di geopolitica, Limes, è alla terza ristampa in un mese (numero di marzo). Limes a parte, mi sono accorto che c'è un proliferare di libri e riviste specializzate che trattano di geopolitica. Segno che le persone non vanno in edicola solo per comprare Novella 2000, ma anche per cercare di capire, approfondire. Mi sembra molto bella questa cosa.
mercoledì 6 aprile 2022
42 (52)
martedì 5 aprile 2022
Strategia della tensione
Quella che vedete qui sopra è la prima pagina di Libero di questa mattina. Si notano due cose: non c'è una riga sulla sentenza della Cassazione relativa alla vicenda di Stefano Cucchi (ogni altro quotidiano, perfino il Giornale, ne ha parlato); c'è un titolone a caratteri cubitali in cui si ipotizza che un ordigno atomico russo potrebbe essere lanciato sull'Italia.
L'omissione di qualsiasi riferimento alla vicenda Cucchi non stupisce. Da che mondo è mondo le notizie non conformi alla linea vengono sempre occultate dalla stampa, almeno dalla prima pagina, e generalmente relegate in nicchie poco visibili all'interno del giornale, e non lo fa solo Libero, anche se qui questa consuetudine raggiunge da sempre il parossismo.
Il titolone sulla possibilità che un ordigno nucleare russo piova sulle nostre teste, invece, mi pare appartenga a quell'ormai consolidata maniera di fare giornalismo che a me è venuto in mente di chiamare come l'omonimo, infausto periodo storico italiano che ha contraddistinto gli anni Settanta del secolo scorso.
Eccessi di Libero a parte, avrete infatti probabilmente notato come l'informazione, in generale, tenda a descrivere la guerra in Ucraina creando un filo ininterrotto di tensione, di inquietudine costante. Ogni giorno, ogni prima pagina di ogni quotidiano riporta a caratteri cubitali la notizia di una strage, di una carneficina, di un'imboscata: una volta in un teatro, un'altra volta in un centro commerciale, un'altra volta ancora in un quartiere di una città o in qualsiasi altro luogo. Ogni giorno viene enfatizzato un fatto truce che fa leva sulla nostra emotività e che dà il la all'indignazione o alla pietà o al dolore o a tutti questi sentimenti insieme. E alla fine si crea quel meccanismo psicologico che fa nascere nel lettore l'aspettativa relativamente a quale sarà il fatto cruento del giorno dopo.
Ora, non vorrei essere frainteso: non sto dicendo, né mi sognerei mai di pensarlo, che ciò che sta succedendo in Ucraina non sia una tragedia di dimensioni immani e non sia di una gravità inaudita, ma mi chiedo: qual è l'utilità di questa condotta giornalistica? Essere costantemente tenuti sotto "tensione", essere continuamente bombardati dalla truculenza e dall'orrore è un aiuto a comprendere meglio ciò che sta accadendo - e si tratta di vicende caratterizzate da enorme complessità - o ne è un ostacolo?
A me sembra che sia un ostacolo. Io credo che sia molto più difficile tentare di approcciarsi con una certa tranquillità ai fatti, provare ad approfondire, a farsi un'idea ponderata se ogni ora si viene sommersi da morti, sangue, bombe. Di nuovo: non sto dicendo che di queste cose non si debba parlare, dico solo che andrebbero ridimensionate e collocate gerarchicamente in posizioni più defilate, dando invece la priorità (i famosi titoloni) all'evolversi delle dinamiche politiche, militari e geografiche del conflitto.
Ma conosco l'obiezione: se non si mettono le truculenze in prima pagina, se non si fanno i titoloni sangue-morti-bombe, chi li compra i giornali? E, sul web, chi clicca sui titoloni generando introiti? Quante copie in più avrà venduto, Libero, con la paura irrazionale e irrealistica (e anche sciacalla, diciamolo) generata da quel titolo? E quanti clic in più avrà totalizzato sul suo sito? Non si sa. Si sa solo a quanto poco è servito per capire qualcosa in più e tentare di fare chiarezza.
Fenomenologia di Mike Bongiorno
Chi ha grosso modo la mia età è probabile che abbia conosciuto Mike Bongiorno, il cosiddetto re dei telequiz che ha imperversato tra Rai e Mediaset per oltre quarant'anni, tanto da diventare fenomeno di costume. Umberto Eco, tra le infinite cose di cui ha scritto, si è occupato anche di comunicazione e di mass media, e quindi anche di lui, pubblicando nel lontano 1961 un articolo intitolato appunto Fenomenologia di Mike Bongiorno. Qui Eco traccia un profilo del presentatore ma anche della società a lui contemporanea, perché Mike Bongiorno, in fondo, non è stato che lo specchio di quella società, con i suoi difetti e i suoi pregi.
Mi sono imbattuto in questo articolo mentre leggevo una raccolta di scritti di Eco intitolata Costumi di casa. Lo ripubblico qui di seguito perché credo meriti sicuramente una lettura.
Mentre lo leggevo mi chiedevo, sorridendo, se Mike Bongiorno l'abbia mai letto. Chissà... :-)
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L'uomo circuito dai mass media è in fondo, fra tutti i suoi simili, il più rispettato: non gli si chiede mai di diventare che ciò che egli è già. In altre parole gli vengono provocati desideri studiati sulla falsariga delle sue tendenze. Tuttavia, poichè uno dei compensi narcotici a cui ha diritto è l'evasione nel sogno, gli vengono presentati di solito degli ideali tra lui e i quali si possa stabilire una tensione. Per togliergli ogni responsabilità si provvede però a fare sì che questi ideali siano di fatto irraggiungibili, in modo che la tensione si risolva in una proiezione e non in una serie di operazioni effettive volte a modificare lo stato delle cose. Insomma, gli si chiede di diventare un uomo con il frigorifero e un televisore da 21 pollici, e cioè gli si chiede di rimanere com'è aggiungendo agli oggetti che possiede un frigorifero e un televisore; in compenso gli si propone come ideale Kirk Douglas o Superman. L'ideale di consumatore di mass media è un superuomo che egli non pretenderà mai di diventare, ma che si diletta a impersonare fantasticamente, come si indossa per alcuni minuti davanti a uno specchio un abito altrui, senza neppure pensare di possederlo un giorno.
La situazione nuova in cui si pone al riguardo la televisione è questa: la tv non offre, come ideale in cui immedesimarsi, il superman, ma l'everyman. La tv presenta come ideale l'uomo assolutamente medio. A teatro Juliette Gréco appare sul palcoscenico e subito crea un mito e fonda un culto; Joséphine Baker scatena rituali idolatrici e dà il nome a un'epoca. In tv appare a più riprese il volto magico di Juliette Gréco, ma il mito non nasce neppure; l'idolo non è costei, ma l'annunciatrice, e tra le annunciatrici la più amata e più famosa sarà proprio quella che meglio rappresenta i caratteri medi: bellezza modesta, sex appeal limitato, gusto discutibile, una certa casalinga inespressività.
Ora, nel campo dei fenomeni quantitativi, la media rappresenta appunto un termine di mezzo, e per chi non vi si è ancora uniformato, essa rappresenta un traguardo. Se, secondo la nota buotade, la statistica è quella scienza per cui se giornalmente un uomo mangia due polli e un altro nessuno, quei due uomini hanno mangiato un pollo ciascuno, per l'uomo che non ha mangiato, la meta di un pollo al giorno è qualcosa di positivo cui aspirare. Invece, nel campo dei fenomeni qualitativi, il livellamento alla media corrisponde al livellamento a zero. Un uomo che possieda tutte le virtù morali e intellettuali in grado medio, si trova immediatamente a un livello minimale di evoluzione. La "medietà" aristotelica è equilibro nell'esercizio delle proprie passioni, retto dalla virtù discernitrice della "prudenza". Mentre nutrire passioni in grado medio e avere una media prudenza significa essere un povero campione di umanità.
Il caso più vistoso di riduzione del superman all'everyman lo abbiamo in Italia nella figura di Mike Bongiorno e nella storia della sua fortuna. Idolatrato da milioni di persone, quest'uomo deve il suo successo al fatto che in ogni atto e in ogni parola del personaggio a cui dà vita davanti alle telecamere traspare una mediocrità assoluta unita (questa è l'unica virtù che egli possiede in grado eccedente) ad un fascino immediato e spontaneo spiegabile col fatto che in lui non si avverte nessuna costruzione o finzione scenica: sembra quasi che egli si venda per quello che è e che quello che è sia tale da non porre in stato di inferiorità nessuno spettatore, neppure il più sprovveduto. Lo spettatore vede glorificato e insignito ufficialmente di autorità nazionale il ritratto dei propri limiti.
Per capire questo straordinario potere di Mike Bongiorno occorrerà procedere a un'analisi dei suoi comportamenti, a una vera e propria "Fenomenologia di Mike Bongiorno", dove, si intende, con questo nome è indicato non l'uomo, ma il personaggio.
Mike Bongiorno non è particolarmente bello, atletico, coraggioso, intelligente. Rappresenta, biologicamente parlando, un grado modesto di adattamento all'ambiente. L'amore isterico tributatogli dalle teenager va attribuito in parte al complesso paterno che egli è capace di risvegliare in una giovinetta, in parte alla prospettiva che egli lascia intravvedere di un amante ideale, sottomesso e fragile, dolce e cortese.
Mike Bongiorno non si vergogna di essere ignorante e non sente il bisogno di istruirsi. Entra a contatto con le più vertiginose zone dello scibile e ne esce vergine e intatto, confortando le altrui naturali tendenze all'apatia e alla pigrizia mentale. Pone gran cura nel non impressionare lo spettatore, non solo mostrandosi all'oscuro dei fatti, ma altresì decisamente intenzionato a non apprendere nulla.
In compenso Mike Bongiorno dimostra sincera e primitiva ammirazione per colui che sa. Di costui pone tuttavia in luce le qualità di applicazione manuale, la memoria, la metodologia ovvia ed elementare: si diventa colti leggendo molti libri e trattenendo quello che dicono. Non lo sfiora minimamente il sospetto di una funzione critica e creativa della cultura. Di essa ha un criterio meramente quantitativo.
Mike Bongiorno professa una fiducia e una stima illimitata verso l'esperto; un professore è un dotto; rappresenta la cultura autorizzata. È il tecnico del ramo. Gli si demanda la questione, per competenza. L'ammirazione per la cultura tuttavia sopraggiunge quando, in base alla cultura, si viene a guadagnare denaro. Allora si scopre che la cultura serve a qualcosa. L'uomo mediocre rifiuta di imparare ma si propone di fare studiare il figlio.
Mike Bongiorno ha una nozione piccolo borghese del denaro e del suo valore ("Pensi, già centomila lire: è una bella sommetta!"). Mike Bongiorno anticipa quindi, sul concorrente, le impietose riflessioni che lo spettatore sarà portato a fare: "Chissà come sarà contento di tutti quei soldi, lei che è sempre vissuto con uno stipendio modesto! Ha mai avuto così tanti soldi tra le mani?"
Mike Bongiorno, come i bambini, conosce le persone per categorie e le appella con comica deferenza (il bambino dice: "Scusi, signora guardia...") usando tuttavia sempre la qualifica più volgare e corrente, spesso dispregiativa: "Signor spazzino, signor contadino." Mike Bongiorno accetta tutti i miti della società in cui vive: alla signora Balbiano d'Aramengo bacia la mano e dice che lo fa perché si tratta di una contessa (sic).
Oltre ai miti accetta della società le convenzioni. È paterno e condiscendente con gli umili, deferente con le persone socialmente qualificate. Elargendo denaro, è istintivamente portato a pensare, senza esprimerlo chiaramente, più in termini di elemosina che di guadagno. Mostra di credere che, nella dialettica delle classi, l'unico mezzo di ascesa sia rappresentato dalla provvidenza (che può occasionalmente assumere il volto della Televisione).
Mike Bongiorno parla un basic italian. Il suo discorso realizza il massimo di semplicità. Abolisce i congiuntivi, le proposizioni subordinate, riesce quasi a rendere invisibile la dimensione della sintassi. Evita i pronomi, ripetendo sempre per esteso il soggetto, impiega un numero stragrande di punti fermi. Non si avventura mai in incisi o parentesi, non usa espressioni ellittiche, non allude, utilizza solo metafore ormai assorbite dal lessico comune. Il suo linguaggio è rigorosamente referenziale e farebbe la gioia di un neopositivista. Non è necessario fare alcuni sforzo per capirlo. Qualsiasi spettatore avverte che, all'occasione, potrebbe essere più facondo di lui. Non accetta l'idea che a una domanda possa esserci più di una risposta. Guarda con sospetto alle varianti. Nabucco e Nabuccodonosor non sono la stessa cosa; egli reagisce di fronte ai dati come un cervello elettronico, perché è fermamente convinto che A è uguale ad A e che tertium non datur. Aristotelico per difetto, la sua pedagogia è di conseguenza conservatrice, paternalistica, immobilistica.
Mike Bongiorno è privo di senso dell'umorismo. Ride perché è contento della realtà. Gli sfugge la natura del paradosso; come gli viene proposto, lo ripete con aria divertita e scuote il capo, sottintendendo che l'interlocutore sia simpaticamente anormale; rifiuta di sospettare che dietro il paradosso si nasconda una verità, comunque non lo considera come veicolo autorizzato di opinione.
Evita la polemica, anche su argomenti leciti. Non manca di informarsi sulle stranezze dello scibile (una nuova corrente di pittura, una disciplina astrusa... "Mi dica un po', si fa tanto parlare oggi di questo futurismo. Ma cos'è di preciso questo futurismo?"). Ricevuta la spiegazione, non tenta di approfondire la questione, ma lascia avvertire anzi il suo educato dissenso di benpensante. Rispetta comunque l'opinione dell'altro, non per proposito ideologico, ma per disinteresse. Di tutte le domande possibili su di un argomento sceglie quella che verrebbe per prima in mente a chiunque e che una metà degli spettatori scarterebbe subito perché troppo banale: "Cosa vuol rappresentare quel quadro?" "Come mai si è scelto un hobby così diverso dal suo lavoro?" "Com'è che viene in mente di occuparsi di filosofia?"
Porta i cliché alle estreme conseguenze. Una ragazza educata dalla suore è virtuosa, una ragazza con le calze colorate e la coda di cavallo è "bruciata". Chiede alla prima se lei, che è una ragazza così perbene, desidererebbe diventare come l'altra; fattogli notare che la contrapposizione è offensiva, consola la seconda ragazza mettendo in risalto la sua superiorità fisica e umiliando l'educanda. In questo vertiginoso gioco di gaffe non tenta neppure di usare perifrasi: la perifrasi è già una agudeza, e le agudezas appartengono a un ciclo vichiano cui Buongiorno è estraneo. Per lui, lo si è detto, ogni cosa ha un nome e uno solo, l'artificio retorico è una sofisticazione. In fondo la gaffe nasce sempre da un atto di sincerità non mascherata; quando la sincerità è voluta non si ha gaffe ma sfida e provocazione; la gaffe (in cui Buongiorno eccelle, a detta di critici e pubblico) nasce proprio quando si è sinceri per sbaglio e per sconsideratezza. Quanto più è mediocre, l'uomo mediocre è maldestro. Mike Bongiorno lo conforta portando la gaffe a dignità di figura retorica, nell'ambito di una etichetta omologata dall'ente trasmittente e dalla nazione in ascolto.
Mike Bongiorno gioisce sinceramente col vincitore perché onora il successo. Cortesemente disinteressato al perdente, si commuove se questi versa in gravi condizioni e si fa promotore di una gara di beneficenza, finita la quale si manifesta pago e ne convince il pubblico; indi trasvola ad altre cure confortato sull'esistenza del migliore dei mondi possibili. Egli ignora la dimensione tragica della vita. Mike Bongiorno convince dunque il pubblico, con un esempio vivente e trionfante, del valore della mediocrità. Non provoca complessi d'inferiorità pur offrendosi come idolo, e il pubblico lo ripaga, grato, amandolo. Egli rappresenta un ideale che nessuno deve sforzarsi di raggiungere perché chiunque si trova già al suo livello. Nessuna religione è mai stata così indulgente coi suoi fedeli. In lui si annulla la tensione tra essere e dover essere. Egli dice ai suoi adoratori: voi siete Dio, restate immoti.
Stefano Cucchi
lunedì 4 aprile 2022
Vuoi la cittadinanza? Devi conoscere le sagre
Fratelli d'Italia e Lega stanno sommergendo con centinaia di emendamenti la legge sullo ius scholae, in discussione in questi giorni alla Camera. Si tratta della legge (ex ius soli) che regola la concessione della cittadinanza italiana ai minori stranieri. Nello specifico, il testo di legge in discussione prevede il diritto di acquisire la cittadinanza italiana alle seguenti condizioni: essere nati in Italia o essere arrivati da un altro paese a patto di non avere più di 12 anni; aver completato un ciclo di studi di almeno cinque anni.
Le centinaia di emendamenti presentati hanno l'evidente scopo di affossare la legge. Fin qui niente di nuovo: la destra è storicamente e antropologicamente sempre stata sinonimo di negazione di diritti, quindi non stupisce questo accanimento, accanimento che tra l'altro non ha alcuna giustificazione che non sia radicata nel pregiudizio e nel mero razzismo.
Ma la cosa che stupisce e che per certi versi fa vergognare è il contenuto di molti di questi emendamenti, che descrivono le "condizioni" che si vorrebbero imporre per vedersi riconosciuti ufficialmente come italiani. Tra queste (ne parla Wired qui) la perfetta conoscenza delle sagre religiose e delle feste di santi e patroni italiani. Non solo: "dovranno padroneggiare con la massima competenza storia e tradizioni italiane dall’antichità a oggi, snocciolare le principali festività del paese, dimostrarsi competenti nella musica, nei costumi enogastronomici e nell’immancabile presepe. Praticamente una laurea in etnoantropologia della penisola italica."
Ecco, adesso pensate a un ragazzino di dieci anni che si presenta alla commissione che dovrà valutare se sia "degno" o meno di essere italiano e che si sente fare domande sulla sagra degli asparagi di Monte Colombo o la fiera del tartufo di sant'Agata Feltria, e provate a non incazzarvi.
Naturalmente si dà per scontato - una delle condizioni è la conoscenza storica di tutto ciò che è successo nella penisola italica dall'antichità a oggi - che i leghisti che hanno scritto tali emendamenti siano tutti degli Alessandro Barbero e mastichino di storia allo stesso modo in cui masticano salsicce e cipolle ai raduni della Lega.
Quando leggo questa cose non solo m'incazzo, ma mi vergogno di essere italiano e mi vergogno del fatto che chi appoggia queste porcherie razziste abbia la mia stessa cittadinanza, porcherie scritte oltretutto dagli adepti di un partito capeggiato fino a pochi anni fa da un figuro condannato per vilipendio alla bandiera dopo aver affermato che lui col tricolore ci si puliva il culo.
A volte, e non scherzo, mi vergogno di vivere in questo paese.
domenica 3 aprile 2022
Canzone delle domande consuete
Ci sono ancora delle stazioni radio che passano certi capolavori. Mentre la ascoltavo pensavo che si tratta, probabilmente, della più bella canzone d'amore che sia mai stata scritta. Niente banalità tipo la sua maglietta fina o splendi sole domattina come non hai fatto ancora. Ma amore che è dubbio, lacerazione, mancanza, domande, poesia. Una canzone che solo Guccini poteva scrivere.
Buona domenica a chi passerà di qui.
sabato 2 aprile 2022
Storia di Gordon Pym
Mandato di arresto per Netanyahu
Ovviamente si tratta di un mandato d'arresto simbolico, dal momento che la Corte penale internazionale ha, nonostante il nome, un limita...
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Sto leggendo un giallo: Occhi nel buio, di Margaret Miller. A un certo punto trovo una frase, questa: "Qualche minuto più tardi la luc...
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L'estate scorsa ho comprato una macchina nuova, una normale utilitaria senza pretese, pagata per metà a rate perché qua non si nuota nel...
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Nel racconto Direttissimo , di Dino Buzzati, si narra di un misterioso viaggiatore che sale su un treno, un treno potente, veloce, che scalp...