Due dei provvedimenti che in questo ultimo periodo hanno fatto parecchio parlare (e arrabbiare, perlomeno lo scrivente), si sono oggi risolti con un nulla di fatto, o quasi. Il primo riguarda la norma, inserita nella legge sul riordino del lavoro, che prevedeva il ricorso all'arbitrato invece che al giudice per le controversie tra lavoratore e datore di lavoro. In particolare era previsto che la famosa "clausola compromissoria" fosse inserita nel contratto di lavoro già all'atto dell'assunzione. Molti, in prima fila i sindacati, hanno visto subito in questa manovra un subdolo tentativo di aggiramento dell'art. 18 dello statuto dei lavoratori.
Tutto l'impianto di legge ha raggiunto l'onore delle cronache anche per il fatto di essere stato il primo, approvato dal Parlamento, che Napolitano ha rispedito alle Camere rifiutandosi di firmarlo (speriamo che il prossimo sia quello sulle intercettazioni). Oggi la commissione Lavoro della Camera ha spazzato via tutto, sostenendo che "La clausola compromissoria sull'arbitrato non può riguardare controversie relative al licenziamento".
Si è concluso tutto sommato positivamente anche il tira e molla, che tiene banco ormai da più di un anno, sulla famosa questione dell'allungamento dei tempi in cui è possibile cacciare. In pratica si può cacciare solo 10 giorni in più rispetto al normale calendario venatorio attualmente in vigore. Da segnalare che questa retromarcia del governo non è stata determinata solo dal lavoro dell'opposizione, ma anche, se non soprattutto, dalla frattura che si è creata su questo argomento all'interno del centrodestra. A cominciare dall'opposizione netta di due ministri di un certo "peso", la Brambilla e la Prestigiacomo, fino ad arrivare al piccolo esercito di deputati che addirittura hanno firmato un documento congiunto, inviato poi a Berlusconi, col quale si chiedeva di fermare "doppietta selvaggia".
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