Il Gianrico Carofiglio romanziere lo conoscevo già da tempo. Il Gianrico Carofiglio saggista no, e devo dire che è stata una bellissima scoperta. Della gentilezza e del coraggio non è un saggio in senso stretto, diciamo che è più un insieme di riflessioni e di "regole" (meglio: suggerimenti) da adottare per permettere a ogni cittadino di utilizzare al meglio il suo potere nascosto, quello che nasce dalla capacità di porre e porsi buone domande e di esercitare sempre l'esercizio del dubbio.
Scrive l'autore: "Porre domande - vere domande - è né più né meno che un'attività sovversiva contro ogni tipo di autoritarismo, palese o mascherato che sia. La democrazia e la pacifica convivenza si fondano anche, se non soprattutto, sulla controllabilità delle asserzioni di chi esercita il potere. In altri termini: sulla visibilità del potere stesso, concetto su cui si è soffermato Norberto Bobbio, per il quale il principio fondamentale dello stato democratico è appunto il principio di pubblicità, ovvero del potere visibile. Vi è poi un altro aspetto non meno importante che emerge dalla riflessione sul rapporto tra domande, dubbio e qualità della vita civile. La tolleranza dell'incertezza, la tolleranza dell'errore e la disponibilità ad ammetterlo sono infatti requisiti fondamentali di personalità e società sane, e di democrazie vitali. Esse accettano l'idea che la complessità del mondo in cui viviamo supera spesso la nostra capacità di comprenderlo, e proprio questa (coraggiosa) accettazione è una delle premesse per un agire politico laico, tollerante ed efficace. Al contrario, le società e le culture caratterizzate dall'evitamento dell'incertezza, in cui le persone sentono il bisogno di rigidi codici di comportamento e di pensiero per incasellare, spesso artificiosamente, la complessità del reale, sono poco capaci di progredire, di sviluppare più libertà e più intelligenza."
Le riflessioni di Carofiglio sono di tipo politico, incentrate sulle dinamiche comunicative che utilizza oggi la politica, ma sono pertinenti anche ad altri ambiti, come la normale dialettica tra persone nella vita reale ma anche in rete. Una distinzione interessante, a questo proposito, è quella tra un buon comunicatore e un efficace manipolatore. "Un buon comunicatore trasferisce contenuti, cioè pratica un'azione munita di senso. Il criterio ispiratore, il valore alla base della comunicazione politica, per esempio, è la verità. Non intesa come verità assoluta, oggettiva, bensì come il punto di vista in buona fede, correttamente raccontato, del soggetto parlante. In quello che dice un manipolatore (il massimo esponente mondiale della categoria è probabilmente il quarantacinquesimo presidente americano Donald Trump) non vi è contenuto ma solo la sua apparenza. Le parole sono svuotate dei loro significati e vi è invece un dilagare, più o meno visibile, dell'ego e del narcisismo. [...] Una caratteristica della politica manipolatoria consiste nel funzionare non per letture della realtà ma per applicazione di una serie di etichette, di schemi, di classificazioni banali e preconcette. Tutte cose che servono a evocare la parte peggiore dei destinatari del messaggio. Le etichette, gli schemi, le categorie precostituite aiutano la demagogia, consentono magari di vincere un'elezione, ma non di capire la realtà e influire positivamente su di essa. Perché, una volta applicata l'etichetta, questa diventa la persona, il gruppo di persone o il fenomeno a cui si riferisce. Il modo in cui la interpretiamo, il modo in cui ne parliamo, il modo in cui la ricordiamo. Soprattutto, salvo eventi eccezionali, l'etichetta diventa un potente paraocchi. Ci impedisce di vedere ciò che non le corrisponde, i significati divergenti, dove di regola si nasconde la verità."
L'abilità del manipolatore politico è soprattutto abilità di manipolare e distorcere il significato delle parole. Qui Carofiglio, a mo' di esempio, prende il sostantivo popolo. Quante volte si sentono cose come "è desiderio della volontà popolare", "il popolo ha deciso" e cose simili? Scrive l'autore:
"La parola più abusata e manomessa, in tale lessico [riferito al lessico utilizzato da alcuni leader politici], è sicuramente popolo. Il termine è stato sempre molto amato dai demagoghi di ogni risma, avendo in sé una naturale ambiguità che si accorda alla perfezione con la funzione mistificatoria del discorso populista. Di cosa parliamo - anzi di cosa parlano - quando parliamo di popolo? Stando alla definizione dei vocabolari, il popolo sarebbe il complesso di individui dello stesso paese. Una universalità, si direbbe in linguaggio giuridico. La sovranità appartiene al popolo che la esercita nelle forme e nei limiti della Costituzione (art. 1, co. 2). Significa che il voto popolare a suffragio universale è il principio di legittimazione delle istituzioni democratiche, nel quadro delle norme che lo regolano. Il popolo come entità unitaria esiste solo come indicazione di una universalità che è la base legittimante della democrazia. Non esiste il popolo come entità omogenea e, soprattutto, non esiste una categoria come 'la volontà popolare' che si possa considerare in modo unitario. Nel migliore dei casi (e peraltro con una evidente semplificazione) si può parlare della volontà di una maggioranza di cittadini che abbiamo esercitato il diritto di voto. La creazione del concetto di volontà popolare e il suo uso spregiudicato, quando non sgangherato, sono la forma più classica dell'esercizio del populismo. Immaginiamo che si tengano delle elezioni politiche nel nostro paese; immaginiamo che vada a votare il 60 per cento degli aventi diritto; immaginiamo che un ipotetico Partito del popolo ottenga il miglior risultato raccogliendo il 40% (percentuale altissima e improbabile) dei volti validi. Prescindiamo da questioni relative al sistema elettorale, al tema delle alleanze, alle ipotesi di governabilità che non ci interessano per questo piccolo, elementare esperimento mentale. Il suddetto Partito del popolo, legittimo vincitore delle elezioni, avrebbe ottenuto il 24% dei voti del corpo elettorale. Avrebbe naturalmente il diritto-dovere di (provare a) governare. I suoi dirigenti non avrebbero invece titolo a dire cose del tipo 'siamo stati votati dal popolo', 'esprimiamo la volontà del popolo' o altre analoghe sciocchezze."
Sembra una banalità, questo concetto, ma quante volte si sente dire da chi ha vinto una tornata elettorale che è stato votato dal popolo?
Uno dei capitoli più belli è intitolato Fallacie. In esso vi sono elencate e descritte le principali. Le fallacie sono errori nella costruzione di un discorso che invalidano le argomentazioni e che di fatto rendono inutile proseguire la conversazione. A volte sono involontarie, altre volte vengono costruite deliberatamente con l'intento di ingannare l'interlocutore e il pubblico che ascolta. I dibattiti politici in televisione, per chi ancora li segue, sono il luogo in cui le suddette fallacie vengono utilizzate. Una delle più utilizzate e insidiose è chiamata argomento fantoccio, che consiste nella scorretta rappresentazione della tesi che si vuole contrastare. Scrive l'autore: "Si immagini una discussione sul tema della legalizzazione delle droghe leggere. Uno dei due interlocutori afferma l'opportunità di tale legalizzazione, sostenendo che essa toglierebbe spazi di manovra e profitti alla criminalità organizzata e precisando che già ora sono ammessi la produzione, la vendita e il consumo di sostanze almeno altrettanto dannose per la salute, come il tabacco o l'alcol. L'avversario della tesi della legalizzazione risponde che l'accesso indiscriminato alle sostanze psicotrope priva una società di ogni senso delle regole e dunque della capacità di funzionare correttamente. In questo caso l'argomento fantoccio viene attuato con l'estremizzazione della posizione avversaria, fino al suo stravolgimento. Il sostenitore della legalizzazione non ha infatti ipotizzato un accesso indiscriminato alle sostanze psicotrope (prospettiva difficilmente condivisibile), ma solo di legalizzare la coltivazione, la vendita e l'uso personale della cannabis. L'interlocutore scorretto sostituisce all'argomento x del suo avversario un nuovo argomento y, in apparenza simile, in realtà diverso, molto più debole e attaccabile. In questo modo la discussione si sposta su y e l'argomento x non viene affrontato. Ma l'argomento y non esiste, non è mai stato proposto, è stato costruito per mettere in difficoltà l'interlocutore, ed è per questo che viene definito fantoccio."
Ci sono altri argomenti che Carofiglio tocca con la sua tagliente efficacia, come il potere della stupidità, il vittimismo da complotti, l'umorismo (una delle più grandi, oggi ormai rarissima, virtù politiche), il coraggio, l'ironia. È un saggio agile (poco più di un centinaio di pagine), godibile, a tratti ironico. Io l'ho letto in un pomeriggio. Fateci un pensierino, se questi argomenti vi interessano: garantisco io.
Un'analisi perfetta, ma che mi porta a credere che questo saggio non sia adatto a me, nonostante le tematiche interessanti e i tratti ironici. Ho l'idea che sia troppo "scientifico" per i miei gusti, e per certi versi "pesante" (vedasi i riferimenti politici, ad esempio).
RispondiEliminaIl mio problema è che preferisco letture più leggere e distensive.
Ho appena terminato "Fai bei sogni" di Gramellini, però, che non ha nessuna delle due caratteristiche che ho enunciato, ma che ho amato moltissimo. Scoprirai perché apoena avrò tempo di scriverne due righe. 😉