venerdì 5 marzo 2010

Scusi, lei usa l'acqua del rubinetto?

Voi direte: a noi che ci frega delle tue rogne? Beh, avete ragione, ma siccome penso che disavventure simili non capitino solo a me, ve la racconto. Si tratta per la precisione del resoconto di una bella telefonata che ho ricevuto ieri sera verso le 18,30. Vado a memoria, naturalmente, quindi il virgolettato non corrisponde all'esatto svolgimento del dialogo, ma rende bene l'idea. La prima a rispondere è Michela, mia figlia più grande, in quanto in quel momento era la più vicina al telefono.

"Pronto? No, sono la figlia; però c'è mio babbo qui, adesso glielo passo". (Prendo in mano io la cornetta).

"Pronto?"

"Pronto, buonasera, il signor Sacchini?" (tono gioviale e affabile).

"Sì, chi parla?"

"Ah, guardi volevo sapere se lei usa l'acqua del rubinetto oppure..." (a questo punto lo interrompo).

"Scusi, ma lei come ha avuto il mio numero?" (qui il mio interlocutore cambia tono).

"L'abbiamo avuto dalla società tal dei tali [il nome lo tralascio volutamente], perché?"

"Come perché? Io non ho mica autorizzato tale società a cedervi il mio numero privato per le vendite telefoniche..."

"E a me cosa importa? Il suo numero telefonico è o no sull'elenco? Quindi è pubblico..." (capisco subito che col tipo tentare di ragionare è un'impresa ardua, quindi lascio perdere e torno sulla fantomatica società).

"Va bene, mi può dare per cortesia gli estremi di questa società? un indirizzo, un sito, un recapito telefonico..."

"Ma che cavolo ne so io di questa società? Loro ci hanno venduto in blocco i numeri degli abbonati dell'elenco telefonico, mica è affar nostro chi sono..." (a questo punto cambio tono anch'io, anche perché comincia a salire la pressione pure a me).

"Scusate, voi comprate in blocco da un'azienda numeri privati di abbonati telefonici e non sapete nemmeno chi è?"

"Te l'ho detto [abbandona il 'lei'], si chiama tal dei tali, non so altro". ( butta giù e chiude la comunicazione).

A questo punto per me la cosa era finita lì: una "normale" telefonata da aggiungere alla folta schiera di maleducati che un giorno sì e l'altro pure ti vogliono rifilare qualcosa. E invece mi sbagliavo; tempo circa 3 minuti e il telefono suona di nuovo. Stavolta rispondo io.

"Pronto?" (è di nuovo lui, come mi aspettavo).

"Senti, ma tu ce l'hai un lavoro? Beh, questo è il mio."

"Sì, ce l'ho un lavoro - faccio io - ma non consiste nel rompere le palle alla gente a casa che se ne sta per i fatti suoi. Adesso, per l'ultima volta, mi dai il telefono dell'azienda che ti ha dato il mio numero?"

"Beh, cosa sei, handicappato? Cercatelo da solo!" (chiude di nuovo e butta giù, stavolta per sempre).

La storia finisce qui. Ovviamente ho fatto poi le mie ricerche in rete e ho scoperto che la società che ha venduto il mio numero all'altra fa proprio questo di mestiere: vendere numeri telefonici alle aziende. E non è la sola: ce ne sono almeno altre tre o quattro attive in questa "specialità"; e, cosa più importante, si tratta di aziende a cui è stato espressamente proibito dall'Autorità garante per la protezione dei dati personali di continuare a farlo. Non che l'attività in sé sia illegale, intendiamoci, ma da quello che ho capito spulciando il sito dell'Agcom, prima di cedere a terzi numeri di telefono per questo genere di attività occorre il consenso dell'interessato, che ovviamente io non ho mai dato a nessuno.

Insomma, alla fine, sommando tutto, non so se ci sia da arrabbiarsi di più per il fatto che questi continuino a "lavorare" in barba alle regole, o per la loro maleducazione. A quando anche in Italia una Robinson list?

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