Questa mattina, come vedete dalle schermate qui sopra, Libero e il Giornale se ne sono usciti entrambi con un paio di articoli in cui si evidenziava la completa assoluzione di Alberto Stasi, e nel contempo - ultimamente è l'esercizio preferito dagli house organ di casa - si dava addosso alla procura di Vigevano, rea in sostanza di aver preso un grosso granchio - il pm aveva chiesto 30 anni - e di aver voluto montare un caso e un'inchiesta su misura.
Bruno Tinti, al di la delle chiacchiere interessate di certi giornali, prova un po' più seriamente a spiegare perché certe sentenze lasciano sconcertati e perché, nel bene o nel male, le sentenze sono sempre punti fermi.
"...e soprattutto che la sentenza che conta, quella che avrà efficacia esecutiva, quella che regolerà i rapporti tra i cittadini, è l’ultima. Perché i cittadini debbono avere delle certezze; perché ai conflitti bisogna mettere fine; perché gli imputati vanno assolti o condannati; perché senza sentenze, cui tutti debbono rispetto e obbedienza, non potremmo vivere insieme.
E’ solo per questo che ci sono i tribunali, i giudici, le sentenze definitive. Ma tutto questo non rende la sentenza definitiva "giusta" e le altre, quelle che eventualmente essa ha riformato, "sbagliate". Nessuno può saperlo. Non viviamo nel regno dei cieli, dove giustizia e verità, si dice, sono chiare come la luce del sole. Qui viviamo, nel nostro mondo, dove conoscere la "verità" è difficile, faticoso, spesso impossibile.
Non abbiamo strumenti che ci diano certezze. Solo possiamo sperare che la nostra verità, quella che gli uomini provano a scoprire, sia quanto vicino possibile alla "verità"; che la sentenza del giudice sia "giusta". Possiamo sperarlo; ma non lo sapremo mai".
Articolo integrale qui.
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