Quando frequentavo le medie, le uscite coi professori erano abbastanza frequenti: partite a pallone l'ultima ora del sabato con l'insegnante di matematica, ad esempio, oppure qualche uscita in pizzeria. Alle superiori meno, ma alle medie era consuetudine abbastanza consolidata. Mi è venuta in mente questa cosa leggendo questo bel saggio del filosofo e psicanalista Miguel Benasayag: L'epoca delle passioni tristi, e ho scoperto, tra le altre cose, che le uscite coi professori erano quanto di più sbagliato ci fosse. Perché?
Uno dei temi più interessanti affrontati nel saggio riguarda il problema della progressiva perdita di autorità dei genitori e degli insegnanti verso i figli i primi e gli allievi i secondi. La faccenda è abbastanza complessa ma, sintetizzando brutalmente, e sempre che abbia correttamente inteso, Benasayag afferma che uno dei problemi maggiori nelle odierne relazioni tra adulti e giovani, che in sostanza è ciò che fa sì che fuori degli studi psichiatrici ci sia la fila, è questa sorta di simmetria relazionale tra i due soggetti, cioè questa mancanza di differenza dovuta alla perdita di autorità da parte degli adulti, autorità da non confondere con autoritarismo, che è altra cosa. Io sono il professore, tu l'allievo; io sono genitore, tu figlio. Io professore non vengo a mangiare la pizza con te, io genitore non divento tuo amico, come si sente dire spesso oggi in ossequio al fatto che i genitori aspirano a diventare amici dei figli.
In sostanza, gli adulti devono far valere questa autorità pena il ricorso alla forza e alla coercizione per riuscire a tenere a bada, diciamo così, il giovane. Scrive l'autore: "Il principio di autorità si differenzia dall'autoritarismo in quanto rappresenta una sorta di fondamento comune ai due termini della relazione, in virtù del quale è chiaro che uno rappresenta l'autorità e l'altro ubbidisce; ma allo stesso tempo è convenuto che entrambi ubbidiscono a quel principio comune che, per così dire, predetermina dall'esterno la relazione. Il principio di autorità è così fondato sull'esistenza di un bene condiviso, di un medesimo obiettivo per tutti: io ti ubbidisco perché tu rappresenti per me l'invito a dirigersi verso questo obiettivo comune, perché so che questa obbedienza ti ha permesso di diventare l'adulto che sei oggi, come io lo sarò domani".
Sinceramente non credevo che andare a mangiare una pizza coi professori fosse così deleterio, ma questo dice la scienza e amen. D'altra parte, aggiunge poi l'autore in una battuta, il successo di Dio è che nessuno l'ha mai visto.
Lo dice spesso anche Umberto Galimberti, per il quale esempi da evitare come la peste sono proprio i genitori che si fanno "amici" dei figli, e gl'insegnanti che vanno a mangiare la pizza con gli studenti: una confusione che fa perdere il senso dei rispettivi ruoli; in particolare nel caso degl'insegnanti si perde, oltre all'autorevolezza, soprattutto la fascinazione, requisito secondo lui indispensabile, senza il quale tra docente e discenti non passa nulla.
RispondiEliminaVero. Mi è capitato recentemente di assistere a una suo conferenza a Cesena. Secondo me è un grande.
EliminaNon è che lo dice la scienza lo dice questo signore e sinceramente non ci vedo niente di assurdo andare a mangiare la pizza con un professore. Alle medie - io ho 44 anni - a fine anno si organizzava una cena in pizzeria tra alunni ed era consuetudine invitare il prof (o la prof) di italiano.
RispondiEliminaE' andata avanti così per diversi anni. ora questa consuetudine è finita. Era - per noi - un gesto di riconoscenza nei confronti dell'insegnante di italiana e un modo per esprimere, non amicizia, ma rispetto, nei confronti di una figura importante nella nostra educazione.
Non vedo come questo sarebbe deleterio.
Mi auguro che la scienza non arrivi a dire che portare rispetto a qualcuno - e magari riconosenza per qualcosa - sia deleterio altrimenti non so cosa pensare.
ovviamente non ci era mai venuto in mente di invitare ai nostri compleanni, o alla partita di calcetto gli insegnanti ma una cena di fine anno non la trovo una cosa così tragica.
Credo che quello che voglia dire Galimberti, ricorrendo a questo esempio, è che il rapporto professore-allievo non dev'essere paritario. Poi, certo, si parla in via generale, scendendo nel particolare credo anch'io che la pizzata di fine anno col professore non sia deleteria. Certo che, leggendo ogni giorno sulle cronache di professori bullizzati da ragazzi, il sospetto che Galimberti sulla questione dell'autorità abbia ragione è forte.
Eliminache il rapporto non sia paritetico non ci piove e in tal senso allora è diverso. Il rapporto tra insegnante e studente non può essere paritetico e il problema si poneva negli anni '70 quando ci furono esperimenti in cui i professori cercavano - emulando una certa organizzazione socialista del lavoro - di eliminare ogni gerarchia ponendosi alla pari con gli studenti. I risultati furono mediocri e questi esperimenti poi furono abbandonati.
RispondiEliminaDi certo oggi la situazione si è rovesciata con gli studenti e i genitori che hanno la meglio sugli studenti finendo per minacciarli fino alle vie di fatto. Il problema di oggi non è il rapporto paritario tra professore e studenti ma l'inversione gerarchica per cui è lo studente ad avere la meglio sul professore o addirittura a comandare, o anche, in altri casi, l'assenza di un qualsiasi rapporto docente-discente.
Su questo bisognerebbe focalizzarsi.
Questo rapporto carente o nullo è dovuto al fatto che il professore non può più fare nulla contro lo studente indisciplinato: le note servono a poco, le bocciature sono scoraggiate, le punizioni pure, le denuncie idem. Alla fine il professore è impotente. Lo studente se ne approfitta perché tanto sa che alla fine verrà promosso con un bel 6 politico.