Il neofascista ha il cranio completamente rasato, occupato per intero da un vistoso tatuaggio. Sì, un tatuaggio, che poi cosa rappresenti mica sono riuscito a capirlo. È un bravo ragazzo, tra l'altro, quando vuole è pure simpatico, e poi a lavorare s'impegna, ha voglia. Un giorno gli ho chiesto: "Non è stato doloroso farsi un tatuaggio sul cranio?"
"Dolorosissimo," m'ha risposto, "ho patito come un cane."
"E allora perché te lo sei fatto?"
"Così, mi piaceva..."
Un giorno, passando tra i bancali, nota sul banco una pila di calendari del duce, pronti per essere distribuiti. Ne solleva uno, lo mostra agli astanti, sorride. "Va' là che quando c'era lui..." dice.
"Quando c'era lui... cosa?" rispondo.
"Come, 'cosa'? Guarda che se un giorno andrai in pensione sarà solo merito suo."
"Ah, sì?"
"Sì. E delle bonifiche pontine cosa mi dici?"
"Ti dico che un primo abbozzo di previdenza sociale è stato istituito alla fine del 1800 e le bonifiche pontine sono state iniziate dai Volsci nel sesto secolo avanti Cristo, se vogliamo essere precisi."
Mi è venuto in mente questo vecchio dialogo con un mio collega (sì, tra tanti, ce n'è anche qualcuno di loro), dopo aver letto delle sfilate neofasciste a Milano e a Roma nella vigilia del venticinque aprile. Dietro quegli striscioni c'erano per la maggior parte ragazzi, che, probabilmente come il mio collega, del fascismo hanno al massimo sentito qualcosa al bar o hanno fatto incetta delle bufale che girano sui social. Tutto qui. Oltre a questo, niente, il buio, il vuoto. E come puoi discutere col vuoto?
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