sabato 20 gennaio 2018
Il manifesto del libero lettore
Alessandro Piperno è riuscito, con questo breve saggio, a farmi provare due distinte reazioni: godimento e lieve rammarico. Godimento nato dall'essermi abbastanza riconosciuto nella sua definizione di libero lettore, che cito testualmente: "Il libero lettore è un individuo un po' strambo, allo stesso tempo credulone e diffidente, squisito e volgare, sentimentale e cinico, devoto e apostata; un rompiscatole che diffida della gente ma ha un debole per i personaggi".
Piperno dichiara con questo saggio tutto il suo amore per la narrativa e i romanzi, per le storie, un amore che rasenta la patologia, e nel libro riporta alcuni pensieri interessanti, originali e per gran parte condivisibili. Scrive, ad esempio:
"Una cosa l'ho capita negli ultimi trent'anni, per lo più trascorsi a leggere e scrivere romanzi: il numero di persone a cui piace realmente la narrativa è relativamente modesto, persino tra coloro che ne hanno fatto un mestiere: editori, accademici, critici, giornalisti, e talvota i romanzieri stessi. Parlo di quella variegata classe di lettori professionisti che compulsa romanzi allo scopo di confermare le proprie idee sul romanzo. Ansiosi di pubblicare, definire, riassumere, promuovere, stroncare, canonizzare, rivoluzionare, costruire sofisticati sistemi ermeneutici, hanno dimenticato il piacere primigenio di aprire un romanzo per il gusto di perdersi ed essere trascinati altrove.
A questa categoria umana oppongo volentieri quella del libero lettore. Ovvero di colui che si lascia guidare dal capriccio, dalla sete e dalla necessità. Il libero lettore è un dilettante e come tale aspira al diletto. È il tipo che immergendosi in un'opera di narrativa non sta lì a interrogarsi sullo spazio che essa occupa nella storia letteraria; né si chiede se sia realista, vittoriana, modernista, tradizionale, sperimentale, di genere. Il libero lettore tralascia i proclami estetici dell'autore, le dotte postfazioni e i peana del risvolto di copertina. Cerca atmosfere, personaggi, buone storie, mica qualcuno che gli spieghi perché cercarle è un obbligo morale. La sola classificazione che lo interessa è quella che separa i romanzi che producono endorfina da quelli che fanno venire l'emicrania, i pochi che cambiano la vita dai troppi che non cambiano niente."
Concetti condivisibili, direi, anche se forse abbastanza ignorati da molti lettori. Capita spesso anche a me, ad esempio, di valutare l'acquisto o meno di un libro dalle idee personali che ho sull'autore e sugli stilemi delle sue opere. Se ad esempio leggessi un libro di Fabio Volo che mi inondasse di massicce dosi di noia, dubito che poi acquisterei qualcos'altro di Volo, pur conscio che magari il libro successivo potrebbe essere infinitamente più interessante. Insomma, ogni lettore ha un indirizzo o un'idea di massima di ciò che ama leggere e degli autori che preferisce, e magari gli riesce difficile fare salti nel buio. Che poi, alla fine, pensandoci bene sono tutti discorsi che lasciano il tempo che trovano, dal momento che, è noto, chi entra in una libreria o in una biblioteca non cerca un libro, è semplicemente cercato da un libro.
Il lieve rammarico cui facevo accenno all'inizio, invece, nasce dalla consapevolezza di avere accumulato immense lacune per quanto riguarda i classici della letteratura, cosa di cui peraltro ero già al corrente. Nella seconda parte del libro Piperno analizza e commenta brevemente alcune opere di alcuni grandi scrittori dell'ottocento e del novecento, quali Melville, Tolstoj, Joyce, Flaubert, Proust, Dickens, Stendhal ecc., e mentre scorrevo i suoi commenti e analisi mi rendevo appunto conto di non aver mai letto quasi niente di questi autori, nonostante legga da quando ero giovane. Mi impegno solennemente a colmare almeno parte di queste lacune.
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