"Sono omosessuale, nessuno capisce il mio dramma, e non so come farlo accettare alla mia famiglia". Queste parole, secondo quanto scrivono molti quotidiani, sarebbero state vergate dal ragazzino romano prima di suicidarsi. Non so se avete notato: è lui stesso ad ammettere di trovarsi in un dramma. Ebbene sì: essere omosessuale, oggi, nel nostro paese, è ancora un dramma, una tragedia. Non so niente di questo ragazzino appena quattordicenne; magari aveva già altri problemi suoi, non si può escludere niente.
Ma è incontrovertibile il fatto che viviamo in una società che ancora emargina chi considera diverso. Una società dove chi è omosessuale viene messo all'angolo senza speranza, recluso al confino, spesso apostrofato come "frocio".
Una società dove un ex presidente del consiglio, puttaniere conclamato, può permettersi di dire che "è meglio guardare ragazze che essere gay" senza che nessuno lo cacci a calci nel culo. Una società dove una chiesa cattolica, o una parte di essa, ancora legata ad anacronistici e ridicoli convincimenti, considera gli omosessuali malati da curare. Una società in cui non mi riconosco più, e della quale - ormai mi capita sempre più spesso - mi vergogno di far parte.
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