La prima cosa da precisare, che molti hanno frainteso, è che al boss mafioso di Brancaccio, attualmente detenuto nel carcere di Opera, non è stato tolto il 41 bis, il cosiddetto carcere duro per i mafiosi, ma è stato solamente revocato l'isolamento. Una decisione dei giudici di Palermo che, formalmente, pare ineccepibile, come dice lo stesso avvocato difensore.
La decisione, richiesta dal legale di Graviano, è della terza sezione della Corte d'Assise d'appello di Palermo ed è motivata con il superamento del tetto massimo dei tre anni previsto dalla legge, dato che il boss è in cella dal 27 gennaio del 1994 e che l'isolamento gli è stato dato più volte durante la sua reclusione. "I magistrati - dice l'avvocato Gaetamo Giacobbe - hanno applicato la norma che stabilisce un tetto massimo per il carcere duro. Cumulati i periodi di detenzione diurna trascorsi al 41 bis, si è arrivati al tetto di tre anni previsto dalla legge".
E allora perché tutto questo can can? Qui occorre fare un passo indietro, e precisamente a dicembre 2009, quando il pentito di mafia Gaspare Spatuzza testimoniò a Torino al processo d'appello a Marcello Dell'Utri tirando in ballo Berlusconi e Dell'Utri stesso, referenti, sempre secondo Spatuzza, dei rapporti tra stato e mafia durante la stagione stragista dei primi anni '90. A Torino, Spatuzza, tra le altre cose dichiarò:
«Nel '94 incontrai Giuseppe Graviano [quello a cui è stato in questi giorni revocato l'isolamento, ndr] in un bar in Via Veneto, aveva un atteggiamento gioioso, ci siamo seduti e disse che avevamo chiuso tutto e ottenuto quello che cercavamo grazie alla serietà delle persone che avevano portato avanti quella storia e non come quei quattro "crasti" socialisti che avevano preso i voti nel 1988 e 1989 e poi ci avevano fatto la guerra. Mi vennero fatti due nomi tra cui quello di Berlusconi. Io chiesi se era quello di Canale 5 e mi disse: sì. C'era pure un altro nostro paesano. Graviano disse che grazie alla serietà di queste persone ci avevano messo il paese nelle mani»
Queste dichiarazioni, ricorderete, scatenarono un finimondo, specie tra le fila del centrodestra. Emilio Fede definì il pentito un "topo di fogna", e il leitmotiv di tutta la maggioranza batteva sul fatto che non era possibile dare credibilità e credito a chi si era macchiato di una innumerevole serie di omicidi, stragi, fino al famoso episodio del bambino sciolto nell'acido.
Ovviamente i giudici del processo Dell'Utri non presero per buone, subito, le dichiarazioni di Spatuzza, ma cercarono riscontri. Furono quindi interrogati pochi giorni dopo i due fratelli Graviano, Filippo e Giuseppe, i boss di Brancaccio dei quali Spatuzza era alle "dipendenze", diciamo così. E qui ci fu la clamorosa smentita di Filippo, il quale dichiarò: "Non ho mai detto quelle cose a Spatuzza". Gaudio e tripudio nelle file della maggioranza e della stampa filo-governativa. Il giorno dopo la smentita di Filippo Graviano, ad esempio, il Giornale se ne uscì a tutta pagina parlando di bluff scoperto. Qui ci sarebbero un paio di considerazioni da fare. Per esempio, in base a quale criterio uno è credibile e l'altro no? Non si sa. Spatuzza è un collaboratore di giustizia, un pentito, Filippo Graviano no. Spatuzza è quello che si è macchiato di crimini orrendi, è vero, ma i Graviano sono quelli che li hanno commissionati. Per quale motivo l'esecutore di un omicidio non è credibile e il mandante sì? Non si sa, e d'altra parte il Giornale non lo spiega.
Altra questione: perché nessuno, tranne pochi cani sciolti, ha messo in evidenza che il boss che ha smentito Spatuzza non è quello da lui indicato? L'ex killer di Brancaccio ha fatto chiaramente il nome di Giuseppe Graviano, non di Filippo. E, guarda a caso, Giuseppe è proprio quello che, interrogato dai giudici assieme al fratello Filippo, si è rifiutato di rispondere adducendo gravi problemi di salute, da addebitare, secondo molte interpretazioni, al regime di detenzione a cui è sottoposto.
Insomma, l’ergastolano aveva spiegato che la sua decisione di avvalersi della facoltà di non rispondere poteva essere rivista qualora le sue condizioni di salute fossero migliorate, lasciando intendere che questo sarebbe dipeso dal miglioramento del suo regime carcerario. (fonte)
Arriviamo quindi a oggi. A Giuseppe Graviano viene revocato l'isolamento; un provvedimento come abbiamo visto formalmente corretto, ma che visto alla luce di tutta la vicenda potrebbe apparire quanto meno "sospetto", come dice senza mezzi termini qualcuno:
A dire chiaramente quello che in molti pensano è Giovanna Maggiani Chelli, la portavoce dell’associazione dei familiari delle vittime di via Georgofili. Per lei, che il 27 maggio del 1993 ha visto sua figlia Francesca gravemente ferita e il fidanzato Dario ucciso da un’autobomba piazzata a Firenze dalla mafia per spingere lo Stato ad abolire il 41 bis, i fatti parlano da soli. La decisione della Corte d’Assise di appello di Palermo di attenuare il regime di carcere duro inflitto al boss Giuseppe Graviano, è solo “l’ennesimo capitolo di una trattativa che dura ormai da 16 anni”. Le carte, certo, sono come sempre a posto. Ma le coincidenze temporali non possono che far rabbrividire. (fonte)
Nel frattempo, l'unico chiamato in causa e invitato da più parti a riferire in Parlamento su quanto sta succedendo, e cioè il ministro della giustizia Alfano, tace. Non tacciono invece i giornali, i quali, a seconda dello schieramento di appartenenza, espongono il loro personalissimo punto di vista sull'intera vicenda. Che sostanzialmente è il seguente: quelli del centrodestra, vedi ad esempio Libero, vedono le agevolazioni date a Graviano come un "invito" adesso a raccontare tutto; quelli del centrosinistra una sorta di premio per aver taciuto e col quale comprare il suo silenzio. In mezzo ci siamo noi, che vorremmo sapere tante cose, vorremmo luce su tanti lati finora non chiariti, ma che dobbiamo ancora aspettare.
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