martedì 7 dicembre 2021

Marx oggi


Ho terminato ieri questo saggio su Marx scritto da Juan Manuel Aragués, e mentre lo leggevo pensavo a cosa direbbe oggi il grande pensatore tedesco se fosse ancora vivo, vedendo che la sua feroce critica alla società capitalista - Marx scrive le sue opere in pieno Ottocento - era rivolta a una società in cui, in fondo, il sistema capitalista era ancora agli albori, pur avendo già una certa "consistenza", rispetto a ciò che sarebbe diventato successivamente. Oggi le contraddizioni e i pericoli che il grande filosofo denunciava e contro cui metteva in guardia sono talmente palesi e radicati nel nostro sistema economico e sociale che viene naturale affibbiargli l'aura di profeta (inascoltato, naturalmente).

Perché Marx criticava così ferocemente il capitalismo? Principalmente per il suo carattere sfruttatore e alienante. In sostanza per Marx l'operaio, che poteva contare sulla forza lavoro come suo unico possesso, era costretto dalle circostanze a sottomettersi al capitale. In questo contesto, il salario che l'operaio percepiva per il suo lavoro era sempre inferiore al valore delle merci che produceva. Qui stava lo sfruttamento: la mancanza di equivalenza tra il valore assegnato alla merce "forza lavoro" (salario) e il valore di quanto prodotto con questa forza lavoro. Questa differenza generava quello che Marx chiamò plusvalore e che era ciò che stava, e sta ancora oggi, alla base dello sfruttamento del lavoratore.

Oggi credo che nessuno che sia in buona fede possa evitare di vedere, a volte anche sulla propria pelle, a quali livelli sia arrivato questo sfruttamento. 

Ma Karl Marx si rivelò (purtroppo) profeta anche relativamente a un altro aspetto del capitalismo: la produzione non spinta da necessità. Scrive l'autore: "Il capitalismo promuove la mercantilizzazione della vita, tanto che il lavoratore si trasforma in uno strumento della merce, sia in quanto produttore, come abbiamo visto, sia in quanto consumatore. E qui ancora una volta Marx anticipò realtà che si sarebbero imposte con tutta la loro potenza solo in una fase successiva del capitalismo. Il filosofo, infatti, metteva in guardia su questo rischio: nella produzione capitalista non sono le necessità a promuovere il desiderio e con esso la produzione, ma è il capitalismo che fa di tutto per trasformare in desiderio e necessità quanto produce, incentivando questa dinamica di produzione. In poche parole: nel capitalismo non si produce ciò di cui si ha bisogno, ma si ha bisogno di ciò che si produce."

Quanto questo sia vero, oggi è sotto gli occhi di tutti. Guardate dieci spot pubblicitari in televisione e provate a vedere quanti prodotti, dei dieci reclamizzati, vi servono davvero. Uno? Due? Nessuno? Forse nessuno, ma non importa, perché l'importante è consumare altrimenti si ferma tutto. La produzione, oggi, non è più organizzata in vista della soddisfazione di un bisogno, ma è organizzata nel tentativo di tenere in piedi un circolo economico vizioso che se si fermasse provocherebbe il collasso dell'intero sistema. Si mettono sul mercato prodotti non perché servono ma perché se si ferma la produzione arriva la disoccupazione, con tutte le ricadute sociali che comporta e che fin troppo bene conosciamo. Quindi dobbiamo acquistare e consumare. Siccome però viviamo in una società che è satura di prodotti, ecco che la pubblicità si incarica non di reclamizzare prodotti (quello lo fa dopo) ma di generare bisogni, di inculcare la convinzione che quel prodotto ci serve, perpetuando questo schizofrenico sistema (ancora per quanto, non si sa). Marx, che saremmo arrivati a questo punto l'aveva previsto 150 anni fa.

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