sabato 13 novembre 2021

Vedersi attraverso gli altri

Nel romanzo L'omicidio del Commendatore, che sto leggendo in questi giorni, ci sono alcune pagine molto belle. Ad esempio queste. 

La ragazzina arriva a casa del pittore che deve farle il ritratto e si siede. Il pittore le dice di rilassarsi e di non fare niente, penserà a tutto lui. Lei gli risponde che non è possibile non fare niente, perché bisogna comunque respirare, pensare. Il pittore ribatte che intende non fare niente di speciale, è ovvio che può pensare, ci mancherebbe. La ragazzina, però, non è convinta e dice al pittore che vorrebbe fare qualcosa, ad esempio aiutarlo a dipingerla. Il pittore rimane perplesso e la ragazzina aggiunge: "Spiritualmente, è ovvio." La perplessità del pittore rimane e la ragazzina aggiunge: "Se fosse possibile, vorrei entrare dentro di lei. Dentro di lei mentre mi dipinge. E guardarmi con i suoi occhi. In questo modo, forse riuscirei a comprendermi più profondamente. E anche lei, professore, riuscirebbe a capirmi meglio. [...] Però, sa, in certi casi è qualcosa che fa davvero paura."

Il pittore chiede quindi alla ragazzina se la paura è generata dal fatto che per comprendersi meglio è necessario ricorrere a qualcun altro. Lei risponde di sì e il pittore replica che, in realtà, per comprendersi meglio è necessario ricorrere a una terza parte. "Per capire il significato della relazione tra A e B è necessario mettersi da un terzo punto di vista, quello di C. Ci vuole una terza valutazione. Ed è questa terza valutazione che certe volte provoca paura." La ragazzina annuisce e il pittore aggiunge: "Se riuscirò a raffigurarti nel modo giusto, tu potrai vederti come ti vedo io, con i miei occhi. Se tutto funziona bene, ovviamente." La ragazzina risponde chiedendo: "È per questo motivo che abbiamo bisogno dei quadri?" Risposta del pittore: "Esatto. Proprio per questo motivo. Così come abbiamo bisogno di letteratura, di musica, di arte... questo genere di cose."

Queste pagine mi hanno fatto pensare a quante volte è successo anche a me di chiedermi a come mi vedono le persone che mi conoscono e a come mi vedrei io se mi guardassi coi loro occhi. In aggiunta a questo, mi capita spessissimo, ad esempio quando devo prendere una decisione particolarmente difficile, di mettermi nei panni di qualcun altro che conosco e di provare a immaginare cosa farebbe lui. Poi, certo, alla fine la decisione la prendo io, ma l'interrogativo su come si comporterebbe un altro al mio posto a volte me lo pongo. Probabilmente per compensare una mia insicurezza.

4 commenti:

  1. Si direbbe che a volte certe idee e pensieri stiano circolando -e sconfinando- più di altri, infatti prima del tuo avevo letto un altro post, da un blog francese, che tra cita tra l'altro (dalla Recherche di Proust):
    "Notre personnalité sociale est une création de la pensée des autres. Même l'acte si simple que nous appelons "voir une personne que nous connaissons" est en partie un acte intellectuel. Nous remplissons l'apparence physique de l'être que nous voyons de toutes les notions que nous avons sur lui, et dans l'aspect total que nous nous représentons, ces notions ont certainement la plus grande part..."
    E' difficile dare torto, tanto a te quanto a Proust ;-))

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    1. È vero, la nostra personalità sociale è una creazione del pensiero degli altri, come dice Proust, e forse questa cosa è ancora più vera nel mondo di internet. È che spesso non ci pensiamo.
      Quel libro di Proust è da una vita che mi riprometto di leggerlo ma non ho ancora avuto il coraggio. Ma prima o poi... ;-)

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  2. ...e siamo tutti uno, e nessuno e anche centomila

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