Ho letto in un giorno questo bellissimo saggio filosofico di Daniela Steila. Il tema del libro è la grande rimossa della nostra civiltà occidentale: la morte. Si tende a non parlarne, è quasi un argomento tabù, un tema che è tanto universale e comune quanto difficile da accettare. È come se non stesse bene tirare in ballo l'argomento. La cosa è comprensibile, in realtà, dal momento che siamo pieni di "io" (io sono, io vivo, io faccio, io programmo, io progetto, io...) e la morte è la fine di tutti questi "io" (non a caso Sartre diceva che per l'uomo "la mort est l'absurde"). In più, come scriveva Max Scheler, "la società contemporanea ha prodotto una radicale negazione della morte attraverso l'idea del progresso e della sua infinità; la scienza moderna in particolare è nata per realizzare il dominio sulle cose del mondo e implica la rimozione della morte."
Questo interessantissimo libro è in pratica una rassegna in cui si analizza il modo in cui i grandi filosofi e pensatori della storia, da Platone a Heidegger, da Hegel a Sartre, passando per sant'Agostino, Tommaso D'Aquino, Montaigne, Marx, Freud, fino ai bioeticisti moderni, hanno descritto e inteso la morte (compresa la sua variante del suicidio), quale è stata la loro idea, come l'hanno inquadrata e spiegata. La filosofia si è occupata da sempre della morte, del suo significato, delle sue implicazioni morali, ma anche le persone comuni, prima o dopo, si sono interrogate su questo. D'altra parte noi umani, rispetto agli altri esseri viventi, abbiamo consapevolezza della nostra finitudine, quindi noi non solo moriamo ma pensiamo al nostro destino mortale, meditiamo sulla fine della nostra vita e di quella altrui. Da questo infinito pensare sono nate anche le idee che hanno tentato di neutralizzare e lenire l'assurdità inaccettabile della morte. Su queste basi è stata concepita ad esempio l'anima, la sua immortalità, l'idea della resurrezione, oppure quella di una vita oltre la morte, idee ricorrenti, queste, che ogni civiltà apparsa sulla terra ha elaborato.
È un libro che stimola molte riflessioni a cui generalmente non si pensa, appunto perché in genere si tende a rimuovere l'argomento, riflessioni che possono però aiutare a considerare la nostra umana vulnerabilità come un valore. Anche se non è facile.
Un interessante corollario è la rimozione del dolore. Nel mondo occidentale (non so cosa accade in altre culture) le esperienze dolorose vengono vissute in privato, e spesso anche lì negate o minimizzate. In pubblico si fa finta di niente, si "combattono battaglie " si "vincono sfide" si cerca di "superare la cosa", trasformando assurdamente un dolore che si subisce in una gara che si deve vincere. Dobbiamo essere forti, fighi, unstoppable.
RispondiEliminaE siccome invece non siamo né forti né figli né, tantomeno, unstoppable, ecco che rimuoviamo la morte
Sembra un libro interessante, prendo nota
PS: hai poi trovato il volume scritto da Odifreddi e papa Ratzinger?
No, quel libro non sono ancora riuscito a trovarlo.
RispondiEliminaPer quanto riguarda la rimozione del dolore, un paio d'anni fa lessi questo interessantissimo saggio di Stanley Cohen. Illuminante.