lunedì 3 ottobre 2011

Il quartier generale racconta/67

Non dev'essere difficile fare il direttore editoriale di una testata come il Giornale. Per il semplice motivo che i lettori non stanno lì a guardare se quello che viene propinato loro sono cavolate oppure no.

Ed è per questo che Sallusti può ancora permettersi il lusso di scrivere cose come "grande operazione di spionaggio messa in piedi da un potere dello Stato, la magistratu­ra"; "Siamo al pro­cesso numero 26 in diciotto anni, senza che l'imputato sia mai stato condannato una so­la volta" e cose di questo genere.

Ovviamente, è del tutto superfluo da parte di Sallusti specificare che la mancanza di condanne non significa automaticamente assoluzione, ma spesso e volentieri significa prescrizione, magari proprio perché la suddetta prescrizione per certi tipi di reati è stata accorciata su misura. Ed è sempre del tutto superfluo specificare che accanto alle assoluzioni nel merito, che pure ci sono, ce ne sono alcune rimediate grazie al fatto che il relativo reato non è più previsto come reato. Magari perché qualcuno (a caso) l'ha nel frattempo depenalizzato.

Ma questi sono particolari insignificanti, specie per il lettore quadratico medio del Giornale. L'importante è buttare tutto nel calderone.

Ma è la chicca finale che è da incorniciare: "In un Paese normale nessun pm avreb­b­e potuto fare come la Boccassini e compa­gni. Li avrebbero cacciati con infamia dalla magistratura per attentato contro lo Stato". E' vero: in nessun paese normale uno dei magistrati che più si è messo in luce nella lotta alla mafia e al terrorismo sarebbe trattato come un attentatore dello Stato dai pennivendoli prezzolati al soldo di un capo di governo.

Inutile anche aggiungere che in nessun paese normale, come ama ripetere Sallusti, un capo di governo come quello che ci ritroviamo sarebbe ancora al suo posto.

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