L'anno scorso, nel Mar Mediterraneo, sono morte almeno 2.571 persone. La maggior parte dei naufragi si sono verificati nel Canale di Sicilia. I dispersi non sono conteggiati, o quasi, anche perché veniamo a conoscenza solo dei naufragi di cui c'è una qualche testimonianza. Ma il mare è grande e gli sguardi sono pochi.
Le navi delle Ong, unico baluardo di ricerca e soccorso, vengono intanto spedite, grazie alla burocrazia spietata offerta dai decreti del ministro Piantedosi e degli altri fieri ideologi di questo governo (e dei precedenti), a sbarcare i salvati in porti sempre più lontani, con dispendio di carburante e con la conseguente assenza di presidi di salvataggio nei luoghi in cui sarebbe necessaria la presenza per il soccorso.
Risultato prevedibile: più sommersi, meno salvati.
Queste altre notizie di barche affondate nel Canale di Sicilia, sull'altro versante della regione, non sono in apertura, a volte nemmeno arrivano alle pagine di cronaca: sono numeri a cui ci siamo assuefatti, strategie di morte diventate prassi politiche. Le regole del soccorso, l'impegno per salvare chi finisce in acqua, valgono per chi affonda su uno yacht, non per chi annaspa su un gommone.
Roberta Covelli via Facebook.
Io ho avuto una sensazione diversa da questo affondamento, mi ha ricordato il Titanic. Un veliero che sembra inaffondabile e bellissimo, soprattutto costosissimo, alla fine ha ceduto alla violenza della natura come una barca qualunque. Elisa
RispondiEliminaUmani di serie A e di serie B...
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